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Europee, i candidati sociali

Bruno Molea (Forza Italia):  «Sui temi sociali, vogliamo un’Europa unita»

Presidente dell'Aics e di Fictus, Bruno Molea è candidato alle elezioni europee nella circoscrizione Nord-Est con Forza Italia. «I valori del Terzo Settore possono essere strumenti determinanti per orientare le politiche comunitarie verso i bisogni della società civile d'Europa». Prosegue il "faccia a faccia" di VITA con i candidati provenienti dall'associazionismo

di Veronica Rossi

un uomo (Molea) in giacca e cravatta seduto dietro a un tavolo per conferenze, su una poltrona blu

Uno dei nomi più influenti nell’ambito dell’associazionismo sportivo in Italia è Bruno Molea, che al Terzo settore ha dedicato gran parte della sua vita. Tra i tanti ruoli che ha ricoperto e che ricopre, è presidente dell’Associazione italiana cultura sport – Aics e della Federazione italiana degli enti culturali, turistici e sportivi – Fictus, membro del Consiglio nazionale dell’economia e lavoro – Cnel e del coordinamento nazionale del Forum Terzo settore. Deputato dal 2013 al 2018 con Scelta civica, partito di Mario Monti, ora punta a Strasburgo, come candidato di Forza Italia per la circoscrizione Nord-Est.

Molea, lei è impegnato da molti anni nel sociale. Qual è secondo lei il ruolo che il Terzo Settore deve assumere in Europa?

Quello che ho nel Terzo Settore è un impegno che definirei quasi totalitario, nel senso che le politiche che seguo come presidente dell’Aics e poi anche di Fictus – ombrello che gestisce una serie di associazioni, tra cui anche Aics –, hanno sempre avuto al centro la tutela dei diritti, la parità di genere, l’assistenza alle persone, l’attenzione alle famiglie e ai giovani in modo particolare. Queste tematiche rappresentano il mio pane quotidiano e il mio impegno costante nei ruoli che ricopro. La mia candidatura europea non prescinde da questo compito, che io ho assunto nella mia vita da oltre trent’anni. Se riuscirò a essere eletto ne farò uno strumento quotidiano di lavoro, che possa essere determinante ai fini di orientare le politiche comunitarie verso i problemi e le sfide che riguardano la società civile italiana ed europea.

Quindi per lei l’economia sociale è centrale per l’Europa?

Certo che sì!

Lo sport di base è un linguaggio comune, che aiuta a essere più inclusivi

Passando all’ambito specifico del suo impegno nel Terzo settore, lo sport, cosa farebbe in questo senso se venisse eletto?

Faccio una premessa per inquadrare meglio la mia risposta: io mi occupo di sport di base, pur essendo appassionato anche di sport di vertice. Questo perché ritengo lo sport di base un utilissimo strumento per migliorare le condizioni di vita della società civile. Attraverso di esso si riescono a coniugare tutta una serie di buone pratiche che possono aiutare in modo particolare a costruire una coscienza di cittadino europeo. Per gli anziani, che dal mio punto di vista sono sempre stati una risorsa e mai un peso, può essere un’occasione per continuare la loro vita in maniera attiva. I nostri giovani hanno bisogno di indirizzi politici precisi a livello europeo, che possano offrire loro l’opportunità di essere tutelati, in una società che cambia, e di sentirsi sempre più a casa propria nell’Unione. C’è, per esempio, il tema della lotta alla sedentarietà e la battaglia che in Italia si sta combattendo per il diabete infantile, che è diventato una priorità di salute. Poi c’è sicuramente il problema del gender gap, non solo da noi. C’è la necessità che tutte queste questioni emergano, c’è bisogno di fare formazione e informazione, anche attraverso la pratica sportiva di base; ciò che quest’ultima ha di bello, infatti, è che non è finalizzata al raggiungimento di un obiettivo legato alla massima prestazione fisica di un soggetto, ma è uno strumento per lottare per tutto ciò che ho nominato. È un linguaggio comune, che aiuta a essere più inclusivi. Per fare questo occorrono ovviamente buone sostanze e di conseguenza è necessario che la Comunità europea si orienti ancor di più al sostegno delle buone pratiche e allo stanziamento di fondi in questo senso.

Abbiamo bisogno di coesione, perché altrimenti si creano quelle sacche di resistenza – da una parte o dall’altra – che non favoriscono sicuramente l’inclusione

Una delle questioni principali, in Europa, è quella legata ai flussi migratori e alla loro gestione. Quali sono le sue idee in proposito?

Io credo che tutta l’Europa – e l’Italia in maniera particolare – sia arrivata a un punto in cui non può fare a meno delle risorse umane provenienti anche dai Paesi extracomunitari per far girare l’economia. Nei confronti di questi flussi di persone che hanno deciso di abbandonare il proprio Paese, i propri amici, le proprie famiglie, per cercare di migliorare la loro qualità di vita, occorre intervenire con grande fermezza per creare condizioni sempre più favorevoli all’accoglienza e a processi di integrazione veri, supportati, che garantiscano in breve tempo a questi soggetti di integrarsi nel tessuto sociale della Nazione in cui hanno deciso di vivere. Tutto questo deve avvenire dando loro opportunità, assistenza e possibilità di lavoro. Sono questi gli strumenti attraverso i quali si costruisce una società multietnica, ma coesa. Abbiamo bisogno di coesione, perché altrimenti si creano quelle sacche di resistenza – da una parte o dall’altra – che non favoriscono sicuramente l’inclusione, ma nemmeno un normale sviluppo di quella che sta diventando la nuova popolazione europea, che magari ha religioni diverse e colori della pelle diversi, ma anche obiettivi comuni. L’Europa su questo può avere un grande ruolo. Se è vero che l’Italia rappresenta un corridoio per entrare nel Continente, è altrettanto vero che a Est ci sono le stesse spinte e le stesse problematiche. Tutto ciò va governato in maniera centrale. Dobbiamo smettere di pensare soltanto alle necessità del proprio Paese, ma ragionare insieme. Qui introduco il concetto di “Stati uniti d’Europa”. Dobbiamo fare in modo che ci sia un controllo anche sugli ingressi, onde evitare che magari in mezzo a tanta brava gente, che scappa dalle guerre, dalla fame e da situazioni poco democratiche, ci sia anche chi li fa trovare peggio rispetto a quando sono partiti. Il Terzo settore su questo ha un’importanza fondamentale, perché può essere il filo conduttore di un processo di civilizzazione di una nuova Europa che assume al suo interno nuovi cittadini.

Passiamo al Green deal e all’impegno sul clima.

Il clima è un problema di carattere mondiale, non solo europeo. O noi, a livello globale, ci convinciamo della necessità di porre in atto tutti quei rimedi che possono in un breve o lungo periodo funzionare come elemento di arresto del processo di cambiamento climatico che abbiamo determinato con le nostre scelte, o rischiamo davvero di distruggere il Pianeta. L’Europa può giocare un ruolo di grande importanza in questo, per la sua storia e la sua competenza, ma solo se riesce a essere davvero lo Stato che dovrebbero essere gli Stati Uniti d’Europa e quindi trovare la mediana che le permetta di avere un processo legislativo unico su questo tema, che ora è affrontato a macchia di leopardo.

Sta nominando spesso gli Stati Uniti d’Europa. Il Terzo Settore e l’economia sociale potrebbero essere un cemento in questo senso?

Sicuramente il Terzo Settore è avvantaggiato rispetto a un processo di formazione degli Stati Uniti d’Europa, che però è molto più complesso e interessato da economia, finanza e dalla necessità di avere processi legislativi unici. Se preso nella giusta considerazione, il Terzo settore può essere uno degli strumenti chiave per questa inversione di tendenza, per la sua maggiore sensibilità su alcune tematiche.

Cosa si potrebbe fare, a livello europeo, per tutelare l’infanzia e i minori?

Questo è un argomento di grande attualità: me ne sono occupato non più tardi di una settimana fa anche in un convegno presso la Santa sede. Oggi i minori, in senso generale, sono considerati una componente fragile del nostro tessuto sociale, per tutta una serie di rischi derivati dalle città in cui vivono, con le loro condizioni socio-economiche e le garanzie che sono in grado di offrire in termini di tutela da situazioni che nulla hanno a che fare con la normale vita di un ragazzo. Mi riferisco alla criminalità giovanile, a cui si aggiunge un ulteriore rischio, purtroppo, che è quello del web. Occorre, anche in questo caso, una direttiva europea unica, che metta in campo azioni precise per contrastare, per esempio, il cyberbullismo. Va fatto a 360 gradi, in maniera coordinata, dalla Norvegia e la Finlandia all’Italia e alla Spagna. Ci devono essere banche dati centralizzate che permettano alla polizia postale e alle strutture predisposte di attingere in tempo reale a tutte quelle informazioni necessarie per contrastare questo fenomeno strisciante e dilagante. Tornando allo sport di base, qualcosa si può fare e noi lo stiamo già facendo. I nostri istruttori devono essere messi in grado di individuare, durante la loro attività di promozione sportiva, anche tutti quei processi che potrebbero nascere in spogliatoio o nel corso dell’attività in campo o in palestra e quindi intervenire per interromperli. Di nuovo, però si torna alla necessità di avere dei fondi: formare un allenatore di calcio o di pallavolo perché sia anche un educatore ha un costo.

Quindi in Europa lotterebbe per avere più fondi destinati a questo scopo?

L’Europa deve inevitabilmente andare in questa direzione se vogliamo supportare le giovani leve, avere le giuste tutele nei confronti degli anziani e creare la garanzia di nuovi posti di lavoro per i giovani in futuro. Bisogna investire, mettendo a disposizione fondi per aiutare le imprese a creare posti di lavoro e per avviare tutte quelle procedure e quegli osservatori che sono funzionali a individuare momenti di criticità, per attivare subito dei processi per invertirli. Purtroppo senza soldi non si può fare nulla di tutto ciò. E, ripeto, in questo campo il Terzo settore potrebbe giocare un ruolo fondamentale. Si tratta di un ambito in cui ci sono tanti uomini e tante donne che volontariamente prestano la loro attività, ma con una dotazione di fondi diversi ci potrebbero addirittura essere delle figure specifiche che si occupano di questo e producono linee programmatiche funzionali alla risoluzione dei problemi.

L’Europa può giocare un ruolo di grande importanza sul clima, per la sua storia e la sua competenza, ma solo se riesce a essere davvero lo Stato che dovrebbero essere gli Stati Uniti d’Europa

Un’ultima domanda. Lei come si pone rispetto alla creazione dei Corpi civili europei di pace?

Ho parlato di Stati Uniti d’Europa, che sarebbero uno strumento utile a far sì che il nostro Continente si difenda dagli attacchi economici e diventi più competitivo nei confronti del mercato. Ma l’Europa ha anche la necessità di difendere i propri confini; stiamo vivendo momenti molto drammatici vicino a casa nostra, basti pensare alla crisi tra Russia e Ucraina o a ciò che sta succedendo tra Hamas e Israele. Sono esempi terribili, che ci fanno immediatamente accendere i riflettori sui rischi che corriamo se non siamo in grado di difenderci. Un’Europa veramente unita dovrebbe avere un esercito di pace che tutela i confini, per dare maggiore tranquillità ai cittadini.

Se capisco bene, lei sta proponendo la creazione di un esercito armato.

L’Onu, quando va in territori dove ci sono dei conflitti, ci va armato. Non per offendere, ma per difendere il principio della libertà e dell’autonomia dei singoli stati. Essere armati non vuol dire solo attaccare, ma anche essere in grado di difendere sé stessi e la propria Nazione

Questo articolo fa parte di una serie sui candidati sociali alle elezioni europee, di cui sono già uscite due puntate, una su Humberto Insolera (Pd) e una su Rita Bernardini (SuE).

Foto in apertura fornita dall’ufficio stampa


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