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Comunità terapeutiche, servono risorse e far rete col territorio

Problemi attuali e prospettive dei servizi che accolgono persone con problemi di tossicodipendenza sono stati i temi al centro di un incontro, a Roma, del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza. Caterina Pozzi, presidente Cnca: «Una presa in carico dei bisogni della persona può essere perseguita solo se la comunità terapeutica opera in modo integrato, nell’ottica di una responsabilità sociale diffusa»

di Ilaria Dioguardi

Il bisogno di costruire interventi insieme a tutti gli attori coinvolti, del pubblico e del privato sociale, con più risorse a disposizione. Intorno a questo tema si sono confrontati rappresentanti dei soggetti pubblici e del Terzo settore durante l’incontro “Comunità e territorio. Innovazione ed evoluzione del sistema delle comunità residenziali per le dipendenze del Cnca”, organizzato dal Coordinamento nazionale comunità di accoglienza – Cnca, a Roma, presso la sala Convegni di Libera. Cnca ha presentato un documento per illustrare la visione delle comunità terapeutiche.

Nell’ottica di una responsabilità sociale diffusa

Per il Cnca le comunità terapeutiche devono strutturarsi sempre più per assicurare non solo la cura dei sintomi sanitari, ma la maggiore inclusione sociale possibile, rafforzando la capacità delle persone accolte di avere un ruolo sociale attivo e soddisfacente. Questo l’obiettivo principale del documento presentato dal titolo “Comunità terapeutiche, le sfide per il futuro. L’evoluzione necessaria tra i bisogni complessi delle persone e l’integrazione con i servizi e le risorse del territorio”. Nella Federazione sono attive 196 comunità residenziali e semi-residenziali che nel 2023 hanno accolto 2.376 persone. «Una presa in carico di tutti i bisogni della persona può essere perseguita solo se la comunità terapeutica opera in modo integrato con altri attori della comunità locale – servizi sociali e sanitari, comuni, associazioni, imprese – nell’ottica di una responsabilità sociale diffusa che parte dal coinvolgimento della persona accolta e si estende alla comunità territoriale di riferimento, per comporre un percorso che comprenda aspetti sanitari e sociali, di cura e di partecipazione attiva alla vita sociale, attraverso la disponibilità di un alloggio e l’inserimento socio-lavorativo o la salvaguardia del posto di lavoro quando presente», ha detto Caterina Pozzi, presidente Cnca.

Personalizzazione e flessibilità

«Dalle prime esperienze rivolte alle persone dipendenti da eroina, siamo arrivati oggi a una molteplicità di servizi che rispondono a situazioni e bisogni diversi: persone che hanno una dipendenza da cocaina o da più tipi di sostanze, utenti che hanno anche una seria problematica psichiatrica, coppie tossicodipendenti con o senza figli, persone provenienti dal carcere… Un’evoluzione dei servizi che è stata sempre mossa da un principio cardine: mettere al centro la persona», ha continuato Caterina Pozzi. Cnca conta circa 250 organizzazioni associate distribuite in 19 regioni italiane. «I percorsi che proponiamo sono flessibili, senza obiettivi predeterminati dall’esterno una volta per tutte. È necessario creare strutture intermedie che diano risposte diverse a bisogni differenti, che accompagnino le persone verso livelli di autonomia diversi, che ispirino soluzioni nuove: residenzialità leggere, servizi domiciliari, nuove forme di reinserimento lavorativo».


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Rischi per il futuro delle comunità

«Vediamo diversi rischi per il futuro delle comunità. Il primo è il sostanziale disinvestimento da parte della politica per tutto il sistema dei servizi per le dipendenze. Tanti sono pronti a lanciare allarmi sociali, ma a questo non segue un investimento adeguato in termini di attenzione e risorse per chi quotidianamente è impegnato nel settore dipendenze», ha continuato Pozzi. «Il secondo è legato al fatto che ogni regione ha stabilito le proprie procedure e standard per l’accreditamento delle comunità terapeutiche. Così abbiamo in Italia ventuno sistemi regionali diversi, che comportano una diversa tutela dei diritti dei cittadini: ci sono regioni in cui sono presenti comunità per coppie tossicodipendenti o madri tossicodipendenti con figli o per persone che hanno anche problemi psichiatrici certificati, e altre regioni in cui queste strutture non sono presenti, costringendo le persone a trasferirsi per avere un aiuto più mirato».

L’Intesa sui criteri di sicurezza e qualità

Nella Conferenza Stato-Regioni dello scorso 21 marzo è stata approvata l’intesa sul documento “Criteri di sicurezza e qualità delle strutture sociosanitarie residenziali per l’assistenza alle persone affette da dipendenze patologiche (comunità terapeutiche)”. «Si tratta del primo atto normativo che definisce criteri sostanzialmente omogenei per quanto riguarda i requisiti di accreditamento delle diverse strutture, è un primo passo nella giusta direzione, ma non prevede nulla in merito alle risorse per attuare quanto indicato nel testo. Un altro rischio sempre presente è quello di pensare le comunità terapeutiche come mera risposta a un problema sanitario, senza farsi carico della persona nel suo complesso», prosegue Pozzi. «Occorre evitare – come vorrebbero alcuni esponenti politici – che le comunità si trasformino in micro carceri per ospitare le persone tossicodipendenti inserite nel circuito penale. Le comunità non possono diventare luoghi di coercizione».

Disomogeneità dei servizi e crisi del sistema

«I servizi per le dipendenze – SerD si trovano in un momento in cui devono rivedere i propri modelli organizzativi. La sfida dei SerD è non avere uno sguardo giudicante sulle persone. È importante fare un lavoro di rete tra tutti i soggetti coinvolti nel mondo delle dipendenze», ha detto Marialuisa Grech, Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze – Federserd. Della necessità di «costruire interventi insieme, tra pubblico e privato» ha parlato Biagio Sciortino, presidente del coordinamento nazionale dei coordinamenti regionali che operano nel campo dei trattamenti delle dipendenze – Intercear. «C’è tanto da fare. La disomogeneità dei servizi ci permette di non dare risposte adeguate ai bisogni in tutte le regioni. Spesso non si considera il contesto della persona», ha proseguito Sciortino. C’è una «crisi del sistema delle comunità», ha detto Angela Bravi, Coordinamento delle regioni sub-area Dipendenze, «che è dovuta anche alla difficoltà del ricambio generazionale del personale delle comunità, alla debolezza della formazione, ad una tendenza alla frammentarietà e all’autoreferenzialità». «È necessaria una doppia presa in carico: della persona e del contesto sociale. Nostro compito è costruire il legame sociale», ha affermato Leopoldo Grosso, presidente onorario del Gruppo Abele. «Il sanitario da solo non va lontano se non si sposa con il sociale».

Una presa in carico di tutti i bisogni della persona può essere perseguita solo se la comunità terapeutica opera in modo integrato con altri attori della comunità locale – servizi sociali e sanitari, comuni, associazioni, imprese – nell’ottica di una responsabilità sociale diffusa

Caterina Pozzi, presidente Cnca

Lavoro di rete in Europa e nel mondo

«Nella riunione dei Ministri degli Esteri del G7 che si terrà a Capri in aprile è stata inserita anche la questione della lotta al fentanyl, la droga sintetica per cui non c’è ancora un’emergenza in Italia, ma è necessario agire preventivamente», ha detto Andrea Fantoma, esperto del Dipartimento politiche antidroga, Dpa. Recentemente il Dpa, con il supporto di diversi ministeri, dipartimenti, strutture e agenzie ha elaborato il “Piano nazionale di prevenzione contro l’uso improprio di Fentanyl e di altri oppioidi sintetici”. Fantoma ha affermato che l’European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction – Emcdda (Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze), dal prossimo 2 luglio diventerà European Union Drugs Agency – Euda (Agenzia europea per la droga), acquisirà maggiori poteri con l’obiettivo di stare al passo con un fenomeno sempre più complesso e in rapida evoluzione.

I dati sulle comunità terapeutiche del Cnca

Il Cnca ha promosso una rilevazione sulle comunità terapeutiche per persone affette da dipendenza da sostanze della propria rete. Su 60 organizzazioni, socie di 15 regioni, le strutture terapeutiche residenziali risultano essere 151, di cui 34 in Lombardia, 28 in Piemonte, 25 in Emilia Romagna e 19 in Toscana. Il totale delle persone accolte è di 1.773, di queste 390 provengono dal carcere, usufruendo di una misura alternativa alla detenzione. Le comunità terapeutiche semi-residenziali sono 45, e offrono servizi a 603 persone. Suddivise per tipologia di struttura o servizio (in una stessa struttura può essere presente anche un servizio specializzato di altro tipo), 105 sono di tipo terapeutico-riabilitativo, 19 pedagogico-riabilitativo, 28 dedicate a pazienti con “doppia diagnosi” (tossicodipendenza e disturbo psichiatrico), 22 dedicate a genitori con figli minori o a madri in stato di gravidanza.

Foto di apertura di Hannah Busing su Unsplash


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