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Verde e benessere

Così un giardino diventa cura per i nostri nonni

Annusare un fiore o una pianta aromatica, osservare il volo di una farfalla, sentire il sole sulla pelle sono tutte cose che ci fanno stare bene. Ma ogni fase della vita ha il suo giardino terapeutico. L’architetto Monica Botta, esperta di healing gardens, ci spiega come progettarli. Mentre lo psicoterapeuta Andrea Melendugno racconta i risultati di una ricerca sull'impatto che i giardini terapeutici hanno avuto sugli ospiti di alcune Rsa

di Rossana Certini

Che i giardini e la natura in generale sono in grado di infondere benessere nelle persone è ormai idea condivisa: immergersi nella natura abbassa i livelli di stress, rilassa e migliora l’umore. Quello che, invece, sempre più studi scientifici stanno dimostrando è il ruolo di cura che i giardini terapeutici hanno per specifiche malattie, disabilità o situazioni emotive.

L’architetto Monica Botta, esperta di healing gardens e docente del master in Pianificazione, programmazione e progettazione dei sistemi ospedalieri e socio-sanitari del Politecnico di Milano, racconta che «in Finlandia, un paese che lotta con alti tassi di depressione, alcolismo e suicidi, i ricercatori hanno chiesto a migliaia di persone di indicare i loro stati d’animo e livelli di stress dopo essere stati in aree naturali e urbani. Sulla base dei dati raccolti, il professor Liisa Tyrväinen, con il suo team del Natural Resources Institute Finland, è giunto a ritenere che trascorrere cinque ore al mese nella natura scongiuri la depressione».

Che cosa serve per realizzare un healing garden? Non basta avere una buona conoscenza delle piante e dei principi progettuali: servono competenze complesse, come la conoscenza della vegetazione più adatta a dare precisi stimoli sensoriali, quella delle patologie delle persone che abiteranno il giardino e dello stato dei luoghi in cui lo spazio verde si inserisce.

Giardino terapeutico della “Casa madre Teresa di Calcutta” a Sarmeola di Rubano, in provincia di Padova (foto Opsa)

«I giardini di terapia», prosegue l’architetto Botta, «se realizzati all’interno di strutture come ospedali, centri sanitari o residenze per anziani possono dare supporto alle cure tradizionali. In questi luoghi la natura può essere fruita dalle persone in modo attivo, se sono previste attività di orticoltura, giardinaggio e ortoterapia, oppure contemplativo. In entrambi i casi è possibile avere effetti terapeutici. È chiaro che gli aspetti progettuali devono andare di pari passo con le conoscenze mediche e di cura. Per esempio, i giardini dedicati a persone con Alzheimer, affinchè raggiungano i loro obiettivi terapeutici, non devono essere in nessun modo luoghi coercitivi, dove la persona si sente costretta a fare un certo tipo di movimento. Devono al contrario prevedere percorsi senza interruzione di continuità, dove sia possibile camminare liberamente in sicurezza grazie a punti di riferimento che servono per riconoscere sempre dove ci si trova».

Gli healing garden, se realizzati all’interno di strutture come ospedali, centri sanitari o residenze per anziani possono dare supporto alle cure tradizionali.

Monica Botta, architetto

I primi studi sistematici che evidenziavano gli effetti positivi della natura sull’essere umano e la correlazione positiva tra l’esposizione alla natura e il miglioramento della salute e del funzionamento cognitivo, risalgono alla fine degli anni Ottanta del Novecento. Invece nel primo decennio del nuovo secolo si sono affermati studi che hanno individuato le caratteristiche strutturali e funzionali in grado di conferire caratteristiche di efficacia terapeutica ai giardini in diversi ambiti clinici.

I dipartimenti di Psicologia generale e del territorio e di Sistemi agro-forestali dell’Università di Padova, la cooperativa sociale Giotto e la struttura residenziale dell’Opera della provvidenza di Sant’Antonio (Opsa) hanno recentemente pubblicato la ricerca: “Ver.Be.Na – verde e benessere nell’Alzheimer. Verso un modello di giardino terapeutico centrato sull’interazione luogo-persona” che presenta gli esiti di un progetto sperimentazione biennale che ha avuto come obiettivo quello di approfondire le conoscenze dell’uso dei giardini terapeutici applicati alle demenze e individuare le caratteristiche specifiche e le evidenze di efficacia del trattamento non farmacologico di persone affette da demenza attraverso l’uso di giardini terapeutici.

Ai primi stadi dell’Alzheimer il giardino viene utilizzato prevalentemente per scopi sociali. Quando la malattia avanza le piante aiutano a calmare i disturbi del comportamento

Andrea Melendugno, psicologo-psicoterapeuta Opsa

«Dallo studio», spiega Andrea Melendugno, psicologo-psicoterapeuta di Casa madre Teresa di Calcutta dell’Opsa, «è emersa l’esistenza di sostanziali evidenze sui benefici dell’uso dei giardini terapeutici per le persone con demenza e la possibilità che offrono di modificare in positivo molti aspetti della qualità della loro vita. Durante lo studio abbiamo fatto una ricognizione delle strutture e dei servizi per anziani con demenza presenti nel territorio veneto e nel Centro-Nord Italia. Da questa analisi è emerso, tra le altre cose, che sono più numerose le strutture che utilizzano in modalità attiva le loro aree verdi, per esempio con progetti di orticultura, rispetto a quelle che vivono i giardini come luoghi messi semplicemente a disposizione di familiari e ospiti. Inoltre abbiamo individuato le caratteristiche che le specie botaniche devono avere per poter essere utilizzate nei giardini terapeutici per le persone con demenza. Vanno individuate piante note e familiari ai pazienti perché legate alla loro biografia e al loro contesto socio-culturale di provenienza e del territorio di vita».

Giardino terapeutico della Casa madre Teresa di Calcutta (foto Opsa)

I medici e i ricercatori di Padova hanno riscontrato, attraverso dei test, una diminuzione dei disturbi del comportamento e dell’umore nei malati di Alzheimer che durante il progetto hanno partecipato a laboratori di orticultura, abbinati a tecniche di stimolazione cognitiva.

«All’interno di Casa madre Teresa, che comprende due centri diurni e un residenziale per Alzheimer», conclude Melendugno, «in questi due anni abbiamo ammodernato i tre giardini esistenti secondo le linee guida emerse dal progetto. In una prima fase si sono raccolti i punti di vista di ospiti, familiari e staff sulle caratteristiche attuali dei giardini e su possibili interventi di miglioramento. Sulla base di quanto raccolto e seguendo le linee guida realizzate durante la ricerca, sono stati, poi, modificati alcuni elementi strutturali, ma soprattutto, è stata arricchita e ulteriormente diversificata la varietà di vegetazione presente. Dall’osservazione che abbiamo fatto è stato confermato che l’utilizzo spontaneo di uno spazio verde all’interno di strutture per persone con demenza porta benefici a livello cognitivo, affettivo e comportamentale. In aggiunta è emerso che i giardini rispondono a esigenze diverse a seconda del grado di compromissione della persona. In particolare, a uno stadio lieve di Alzheimer il giardino viene utilizzato in modo spontaneo prevalentemente per scopi sociali, mentre a uno stadio più avanzato, in cui si riscontrano maggiormente disturbi del comportamento, viene utilizzato prevalentemente per il contenimento dell’agitazione e per la gestione del vagabondaggio».

Nella foto di copertina il giardino terapeutico della Casa Madre Teresa di Calcutta (Foto: Opsa)


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