Anziani

Decreto non autosufficienza, la riforma attesa non c’è

Il decreto approvato dal Governo depotenzia in molti aspetti la legge delega per la riforma della non autosufficienza. Le risorse stanziate? Briciole. Si tratta di scelte ordinarie, che non rispondono alle attese della grande riforma che serve al Paese

di Stefano Lepri

c’è grande attesa per il decreto legislativo che darà corpo alla legge delega di riforma degli interventi a favore delle persone anziane non autosufficienti. Si dovrà leggere attentamente il testo approvato oggi in Consiglio dei Ministri e che passerà alle Camere. Per ora ci limitiamo a commentare le notizie di queste ore, ricavate dalle dichiarazioni di Giorgia Meloni, del Governo in conferenza stampa e da altre fonti. Possiamo purtroppo già arrivare a concludere che trattasi di una prima timida partenza, non certo di una riforma strutturale. Di seguito riporto alcuni elementi che portano a una tale conclusione.

Primo, lo stanziamento aggiuntivo previsto (oltre un miliardo di euro per i primi due anni, cioè poco più di mezzo miliardo all’anno) è oltremodo insufficiente, utile soltanto per una limitata sperimentazione. Basti pensare che oggi la spesa pubblica reale in Italia per la long term care a favore degli anziani non autosufficienti è stata pari, nel 2022, a circa 24,4 miliardi di euro (fonte: Welforum, elaborazioni di Franco Pesaresi). In particolare, per gli over65 non autosufficienti, si tratta di 9 miliardi annui di spesa sanitaria, di 10,7 miliardi annui per l’indennità di accompagnamento e di 4,7 miliardi annui per prestazioni socioassistenziali. Da questi dati appare evidente che l’aggiungere mezzo miliardo ogni anno non sposti il valore della dotazione complessiva, anzi non consenta neanche di coprire l’inflazione programmata. Stiamo infatti parlando di un incremento del 2% per i soli 2025 e 2026: briciole. Se poi teniamo conto che dovrebbe trattarsi di risorse non strutturali, prendiamo atto che esse sono pure incerte. Forse è utile, a questo proposito, fare un paragone con una grande riforma che ha visto la luce nella scorsa legislatura, cioè quella che ha introdotto l’Assegno unico per i figli. Ebbene, la dotazione aggiuntiva in quel caso fu di 6 miliardi, passando d’un colpo da 12 a 18 miliardi. Il 50% in più, non il 2%.   

Trattasi quindi di una sperimentazione, che partirà tra un anno e che riguarderà una piccola platea di fortunati. Capisco che in questo modo si potrà dire che i beneficiati avranno di tutto, ma appunto si tratterà di pochi. Quanto basta tuttavia per alimentare un po’ di propaganda e prefigurare le progressive sorti.

L’idea di un Sistema nazionale per gli anziani non autosufficienti (Snaa), a cui la legge delega aveva assegnato un ruolo di governance anche sanitaria, esce ridimensionata. Si trattava infatti di un disegno tanto ambizioso quanto velleitario, poiché era prevedibile che gli apparati dei ministeri – specie quelli della sanità – non avrebbero volentieri lasciato a un terzo organismo (quasi un nuovo ministero) le loro competenze. Lo stesso discorso di complicata scomposizione sarebbe valso per gli assessorati regionali. E infatti non si farà. Spetterà pertanto a un nuovo Comitato interministeriale garantire il coordinamento delle misure: una scelta condivisibile quanto ordinaria, di cui potremo verificare negli anni, con calma, l’eventuale efficacia.

Non si affronta nel decreto – non avendolo voluto fare dallo scorso Governo entro la legge delega, nonostante le insistenze di molti tra cui le mie – la vera questione irrisolta: il diritto della persona anziana non autosufficiente malata cronica ad essere assistita al domicilio, vedendo riconosciuta anche una quota sanitaria da parte delle Asl, per rispondere ai bisogni della vita quotidiana. Così come oggi già avviene nel caso di ricovero in Rsa. Ma, d’altronde, sono troppi gli interessi intorno a queste strutture per pensare che essi possano essere anche solo leggermente scalfiti. Con molte probabilità, l’assistenza al domicilio quindi continuerà – anche a seguito di questa (finta) riforma – a restare penalizzata. 

Stefano Lepri, esperto di Terzo settore, è stato deputato del Partito Democratico fra il 2013 e il 2022

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