Diversity & Inclusion

D&I: impegno crescente, se ci sono certificazioni o norme da applicare

L’impegno verso le tematiche Diversity & Inclusion – D&I, continua a godere di un vento favorevole, a differenza di quello che sta accadendo negli Usa, come abbiamo raccontato su VITA qualche girono fa. Tuttavia, osserva Daniela Bernacchi, Executive Director di UN Global Compact Network Italia, «le aziende italiane tendono ad attivarsi soprattutto negli ambiti in cui sono stati introdotti framework, certificazioni, indici o leggi da applicare». Le aree dove si è sviluppata una maggiore sensibilità sono quelle della parità di genere e della gestione della disabilità

di Sabina Pignataro

«Le aziende si stanno strutturando sempre più a livello di Diversity & Inclusion – D&I, destinando investimenti e risorse alla creazione di nuove funzioni specifiche, quali il Disability o il Diversity Manager, e alla formazione di Comitati interni specifici», osserva Daniela Bernacchi, Executive Director di UN Global Compact Network Italia -UNGCN Italia, la rete italiana del Global Compact delle Nazioni Unite, l’iniziativa di sostenibilità d’impresa più ampia al mondo, a cui aderiscono oltre 550 aziende italiane.
A differenza di quello che sta accadendo negli Usa, come abbiamo raccontato su VITA qualche giorno fa: oltreoceano infatti grandi gruppi stanno licenziano i professionisti che occupano questi ruoli. 

«Le aziende italiane tendono ad attivarsi soprattutto negli ambiti in cui sono stati introdotti framework, certificazioni, indici o leggi da applicare». Le aree dove si è sviluppata una maggiore sensibilità sono quelle della parità di genere e della gestione della disabilità.

Le organizzazioni italiane, business o non business, aderenti al Global Compact delle Nazioni Unite

Bernacchi, come UN Global Compact Network Italia avete contezza del fatto che D&I, in Italia, siano percepiti come un peso economico, da scaricare per primo in caso di crisi? Avete notato lo stesso trend in Italia?

Non disponiamo di dati quantitativi. Dal nostro osservatorio, frutto di un costante dialogo con aziende leader dei rispettivi settori e fortemente impegnate su questi temi, la percezione va in una direzione completamente diversa.

Dal 2021, è attivo il vostro l’Osservatorio D&I.  Come si stanno organizzando le aziende al loro interno?

Non in tutte le aziende con cui collaboriamo è presente attualmente una funzione D&I  dedicata: queste responsabilità continuano in molti casi a restare sotto il controllo delle funzioni Sostenibilità o Risorse Umane, ma ciò che riscontriamo è un impegno dei vertici aziendali sempre più forte, che inevitabilmente si traduce nell’attivazione pratica di ogni area, funzione, livello aziendale nella direzione dei principi della D&I, ma anche in una trasformazione per l’organizzazione di tipo culturale.

Possiamo tratteggiare delle tendenze?

Le nostre aziende si stanno strutturando sempre più al livello di D&I, destinando investimenti e risorse alla creazione di nuove funzioni specifiche, quali il Disability o il Diversity Manager, e alla formazione di Comitati interni sulla D&I , o ancora alla creazione di Employee Resource Groups, che coinvolgano il personale dipendente sui temi di genere, disabilità e persone LGBTQIA+. Non disponiamo di numeri, poiché non abbiamo realizzato ricerche sui nostri aderenti su questi temi.

In quali aree le aziende sono più propositive?

Le aziende italiane tendono ad attivarsi soprattutto negli ambiti in cui sono stati introdotti framework, certificazioni, indici o leggi da applicare. Queste tendenze sono spesso incoraggiate da tre fattori: innanzitutto, come detto, l’introduzione di normative e framework sul tema; poi le richieste sempre più pressanti di investitori pubblici e privati e infine la possibilità di attrarre e trattenere i talenti, soprattutto tra i più giovani, per i quali diversità ed inclusione sono fattori cruciali nelle scelte lavorative.
Di conseguenza, guardando alla compliance normativa, i temi afferenti alle D&I di maggior interesse nel nostro Paese sono due: in primo luogo, la parità di genere e, successivamente, la gestione della disabilità.

Le aziende italiane tendono ad attivarsi soprattutto negli ambiti in cui sono stati introdotti framework, certificazioni, indici o leggi da applicare.

Daniela Bernacchi, Executive Director di UN Global Compact Network Italia

Parliamo di disabilità…

Fra i due, il disability management rappresenta il fanalino di coda e questo è dovuto all’incidenza numerica: il settore privato è portato ad attivare politiche ed iniziative interne a favore delle fasce di popolazione più numerose e sulle quali, quindi, può generare un maggiore impatto concreto. Rappresentando le donne oltre la metà della popolazione italiana secondo gli ultimi dati ISTAT, è indubbio che queste costituiscano il principale target per le aziende, ma anche per i policy maker.

Cosa si sta facendo in quest’area?

Per quanto concerne la sfera del disability management in azienda, osserviamo come da un lato si stia diffondendo un’azione proattiva da parte delle imprese che punta a superare i meri obblighi di legge per valorizzare la partecipazione dei disabili alle attività produttive – anche rimettendo al centro il tema delle loro competenze e professionalità, dall’altro la situazione occupazionale delle persone con disabilità presenti ancora ampi margini di crescita e miglioramento.

E sulle questioni di genere?

Secondo quanto emerso dal Gender Equality Index 2023, che valuta i Paesi dell’Unione europea sulla base delle politiche adottate in diversi ambiti relativi all’uguaglianza di genere, per l’Italia ci sono ancora ampi margini di miglioramento in tema di Gender Equality nei luoghi di lavoro. Il nostro Paese, infatti, si posiziona all’ultimo posto nell’area work, con un tasso di occupazione femminile che si attesta al 52,2% (contro il 69% della media europea) ed un pay gap che cresce dall’11 al 46,7% con il progressivo spostamento verso funzioni apicali (contro il dato medio europeo del 12,7%). Tuttavia, un dato confortante arriva dalle oltre 2mila Certificazioni di parità di genere già rilasciate alle aziende italiane dal Ministero delle Pari Opportunità. Si sta verificando, quindi, un graduale aumento del livello di interesse e consapevolezza del settore privato verso il tema.

Secondo uno studio EY European D&I Index, realizzato da FT – Longitude su un campione di 900 manager e 900 dipendenti non manager (QUI) «C’è attenzione all’inclusione, ma solo poche hanno un approccio olistico: se il 70% dichiara di aver implementato misure per l’equità di genere, soltanto il 14% ha attuato iniziative per l’inclusione di persone con disabilità». Qual è la vostra esperienza?

Negli ultimi anni (in particolare dal 2022), abbiamo potuto osservare che i temi della Diversity, Equity & Inclusion stanno entrando sempre più nella sfera della Governance aziendale, spostandosi nel tempo verso un approccio meno settoriale e frammentato, ma più strutturato ed olistico. Questo è lo stesso percorso fatto – nel corso di decenni – dal macro-concetto di sostenibilità d’impresa, che include fra gli altri anche i principi della D&I.

I temi della D&I stanno entrando sempre più nella sfera della Governance aziendale, spostandosi nel tempo verso un approccio meno settoriale e frammentato, ma più strutturato ed olistico

Daniela Bernacchi, Executive Director di UN Global Compact Network Italia

Avete osservato delle tendenze sul tema della multiculturalità il tema azienda?

La Diversità in azienda è un fattore strategico importante e ciò è sempre più diffusamente riconosciuto dai leader aziendali. Persone con differenti background, saranno in grado di affrontare i problemi in modo diverso e proporre soluzioni uniche, supportando anche lo sviluppo e il miglioramento dei processi, servizi e prodotti aziendali. Le diversità, insomma, se messe a frutto in una logica costruttiva e sinergica, possono favorire più alti livelli organizzativi di innovazione e performance.
I dati nazionali comunicano che il numero degli stranieri impiegati in azienda aumenta, ma in molti casi queste persone ricoprono funzioni sotto-qualificate rispetto alle competenze possedute.

Sono solo le aziende di grandi dimensioni ad aver messo in atto politiche di D&I?

No, stiamo riscontrando tra le nostre imprese è che la D&I non è appannaggio solo delle realtà imprenditoriali di grandi dimensioni, ma abbiamo esempi anche di PMI virtuose ed innovative in questi ambiti e l’elemento interessante da sottolineare è che queste, spesso, sono attive in settori tradizionalmente a trazione maschile e generalmente meno “attenti” agli impatti sociali delle proprie operation, come quello dei trasporti.  Tuttavia, è necessario precisare che queste tendenze positive – sia per le grandi che per le piccole – sono abbastanza recenti, in molti casi l’attivazione risale a dopo il 2020. È evidente, quindi, che è ancora troppo presto per valutare se queste tenderanno a disinvestire in futuro. Ovviamente, ci auguriamo che l’impegno costante o, meglio ancora, cresca, diventando sempre più audace e ambizioso.

La D&I non è appannaggio solo delle realtà imprenditoriali di grandi dimensioni, ma abbiamo esempi anche di PMI virtuose ed innovative in questi ambiti, soprattutto in settori tradizionalmente a trazione maschile

Daniela Bernacchi, Executive Director di UN Global Compact Network Italia

Da diverse ricerche emerge che le D&I sia percepita come una questione etica e solo una minoranza ritiene che potrebbe avere un impatto sul business.

La D&I non ha solo uno scopo “correttivo e preventivo”, ad esempio in termini di non-discriminazione, ma anche “propulsivo ed innovativo”, nonché un significativo valore strategico. Il fatto che ogni persona si senta pienamente accolta e rispettata, all’interno di un’azienda, consente alla stessa di sentirsi bene, di vivere un continuo stato di benessere, all’interno dell’organizzazione e nello svolgimento delle sue funzioni. Questo è sicuramente il primo passo per assicurarsi una buona partecipazione delle Persone alle proprie attività lavorative (che si traduce anche in un minor assenteismo o turnover), una loro adeguata motivazione e produttività, e infine un apporto positivo dell’individuo al clima aziendale.

Questo rende le aziende più attrattive?

Sì, le aziende che investono in DEI, risultano essere – anche più attrattive nel mercato del lavoro, soprattutto fra i giovani o per le persone con profili professionali più qualificati. Questo si traduce in maggiori chances – per le aziende eque ed inclusive – di intercettare ed integrare competenze aggiornate e nuovi talenti.

Foto in apertura, ThisIsEngineering by Pexels

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