Salute e sessualità
Ginecologia e disabilità: a ostacolare sono i pregiudizi
Più ancora delle barriere architettoniche e dei necessari accorgimenti per un paziente con disabilità, pesano le barriere culturali e il ritenere che una disabilità motoria precluda una vita sessuale normale. Ciò allontana le donne dalla prevenzione e dalla salute
«La prima visita ginecologica è stata abbastanza traumatica: 11 anni fa, non avevo così tanta consapevolezza del livello di stereotipi sistematici in cui siamo immersi, ma ho provato subito un senso di inadeguatezza e disagio a cui non sapevo ancora dare un nome. La ginecologa rivolgendosi alla mia accompagnatrice disse “tanto facciamo la visita esterna”, in una frase annullando la possibilità che una persona con disabilità potesse avere una visita completa, potesse aver avuto rapporti sessuali, negando a chi è disabile e ha un corpo non conforme la possibilità di avere una vita sessuale». Questa è la testimonianza di una giovane donna, che chiameremo Lucia, di 28 anni residente nelle Marche, non autosufficiente, in carrozzina elettronica e la necessità di assistenti personali per spostarsi e muoversi.
A causa di questa brutta esperienza, Lucia lascia passare molto tempo prima di decidersi a un secondo tentativo. Un altro fallimento: «Anche questa dottoressa ha dato per scontato che volessi un’ecografia esterna, ha voluto sapere in modo certosino perché ero disabile. Non ho problemi a parlare della distrofia muscolare, ma cerco di parlarne quando avere delle informazioni mediche è utile al fine clinico della visita. Ma la distrofia in questo caso non entra nel merito e quindi non ho voluto dare informazioni, e sono stata presa per scontrosa e non collaborante». Di nuovo, sono stereotipi e pregiudizi a rendere vana la visita ambulatoriale.
La terza volta è quella buona: «La ginecologa ha chiesto alla mia assistente di uscire, prima abbiamo parlato, mi ha dato del lei e ha dato per scontato che avessi avuto dei rapporti sessuali e che dovessi fare la visita interna. Mi sono sentita riconosciuta come donna. Si è data un gran da fare per farmi la visita sulla carrozzina e ci siamo arrangiate insieme trovando soluzioni. Questa è una fatica che non si dovrebbe fare poiché uno dovrebbe semplicemente prenotarsi e trovare tutto pronto, è un diritto». Infatti, in occasione delle visite con tre ginecologhe diverse in due strutture pubbliche, l’ospedale pediatrico Salesi di Ancona e un poliambulatorio dell’Asur Marche, Lucia ha rilevato «l’assenza di barriere architettoniche visibili ai più, come gradini, porte strette ma mancanza assoluta di tutti gli altri accorgimenti, come spazi ampi, lettino elettrico, sollevatore che, per chi è come me, sono essenziali per la fruizione del servizio».
Tuttavia, per Stefania Pedroni, psicologa e vicepresidente dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare Uildm, «al di là dei problemi di accessibilità per chi ha una disabilità motoria, legati agli spazi angusti e alla mancanza di accorgimenti strutturali, a pesare tantissimo è l’atteggiamento dei clinici».
Esiste un tema di accessibilità ai servizi sanitari e di diritto alla salute che vale per la ginecologia, come per l’oculistica o l’odontoiatria, e tutte le disciplina che richiedono l’adozione di certe posture. Tuttavia, per Stefania Pedroni, «al di là dei problemi di accessibilità, legati agli spazi angusti e alla mancanza di accorgimenti strutturali come il lettino elettrico o il sollevatore, a pesare tantissimo è l’atteggiamento dei clinici». Servono, aggiunge Lucia, «accorgimenti culturali e per culturali come l’assenza di pregiudizi e stereotipi verso la persona disabile e la necessità di considerarla come se fosse non disabile nello scambio di informazioni, di relazione, di interazione».
Le donne riportano spesso di essere vittime di pregiudizi del personale medico-sanitario che emergono dallo stile comunicativo, dai quesiti posti alla paziente e dalle indagini condotte al momento della visita. Esperienze avvilenti che finiscono per allontanarle dalla prevenzione, dagli screening e dalla salute. «Ho una distrofia dei cingoli, per spostarmi ho bisogno di un sollevatore o comunque di un aiuto. Ho sempre pensato che in una grande città le opportunità fossero diverse per chi ha una disabilità motoria e, quindi, mi sono trasferita a Milano dal modenese» ci racconta. Infatti, «la mia esperienza al Niguarda è sempre stata molto positiva, il personale si è sempre prodigato per risolvere eventuali difficoltà contingenti. Inoltre, la ginecologia è coordinata con la fisioterapia che mette a disposizione un sollevatore e un operatore formato all’uso dei vari ausili. Sempre al Niguarda, partecipo agli screening oncologici, grazie alla dotazione di un mammografo che non richiede di tenere la posizione eretta».
Dagli anni Novanta, in Uildm è attivo un Gruppo donne al lavoro anche su queste tematiche, abitualmente poco dibattute, come quella dell’affettività e della sessualità. Pedroni ricorda che le donne con disabilità soffrono della discriminazione multipla. Le donne con disabilità motoria vivono le difficoltà quotidianamente incontrate da ogni donna, le note discriminazioni spesso taciute quando non negate legate al loro genere, ma anche altre discriminazioni sulla base della disabilità. Anche queste, come le prime, assumono diverse forme: possono essere dirette, il cosiddetto abilismo dall’inglese “ableism”, che è un atteggiamento discriminatorio e pregiudizialmente svalutativo verso le persone con disabilità (che include anche solo il dare per scontato che tutti abbiamo un corpo come il proprio), o anche indirette quando invece pur apparentemente neutre mettono il disabile in posizione svantaggiosa.
«L’aumento dell’aspettativa di vita richiede che oggi affrontiamo anche tematiche legate alla sessualità e alla salute riproduttiva, nonostante il persistere di atteggiamenti giudicanti e abilisti riportati dalle nostre donne che raccontano anche di aver ricevuto dal proprio ginecologo commenti svalutativi e giudicanti come “è sicura poi di farcela con un bambino piccolo nelle sue condizioni?” nel tentativo di dissuaderle dall’idea di una gravidanza» commenta Stefania Pedroni, che ricorda come la commissione tecnico-scientifica di Uildm, dallo scorso febbraio, include anche una ginecologa, Paola Castagna dell’Ospedale Ostetrico e Ginecologico Sant’Anna di Torino, dove esiste un ambulatorio disabilità che fornisce un’assistenza multidisciplinare a chi, con una disabilità motoria dovuta a traumi, lesioni o malattie neurodegenerative, vuole diventare mamma. «Un esempio di buona pratica, che speriamo di estendere», conclude Pedroni: «Le cose stanno cambiando un po’ per tutti, disabilità o meno, anche grazie al diverso rapporto che i medici instaurano con i propri pazienti, fatto di condivisione delle decisioni e di alleanza terapeutica». Infine, per tornare all’accessibilità strutturale e culturale alla salute ginecologica nella disabilità, Uildm, con il supporto delle società scientifiche, ha diffuso agli specialisti dei questionari per mappare la situazione, ottenendo già 65 risposte da altrettanti centri pubblici e privati, quindi i primi risultati potrebbero essere comunicati a breve. Forse già il 6 marzo in occasione del webinar organizzato da Uildm (leggi sotto, ndr) e leggi anche Salute della donna, purché non con disabilità.
Foto in apertura di Foto di CDC su Unsplash. Le altre foto sono di Uildm
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