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Facebook, il camposanto digitale

La creatura di Zuckerberg è il nuovo camposanto mondiale, lo abitano oltre 3 miliardi persone ma ne muoiono 50 milioni l’anno, e poiché non cresce più e nessun ragazzo vi si iscrive: è destinato a diventare prima casa di riposo e poi necropoli. Ma cosa ne sarà di tutti i contenuti e le informazioni che vi abbiamo deposito quando passeremo a miglior vita?

di Stefano Laffi

Una delle cose che mi affascinava da bambino nella letteratura della fantascienza era il teletrasporto. Poi ad un certo punto da adulto l’ho visto accadere: la dico semplice, quando agli astronauti si rompe un pezzo se lo fanno inviare digitalmente dalla Terra e la stampante 3D della navicella lo riproduce lì, seduta stante. Ma in fondo prima era stato il fax a riprodurre la mia lettera o il mio disegno a chi volessi io dall’altra parte del mondo e prima ancora la mia voce la poteva far ascoltare ovunque, al telefono, alla radio, e ora le immagini…

Il teletrasporto era però un’altra cosa nel nostro immaginario: intanto riguardava le persone e non le cose e poi letteralmente ti smaterializzavi in un posto e comparivi da un’altra parte, il fascino stava nello sparire e ricomparire, il difetto era che annullava il viaggio, forse l’esperienza più bella che l’uomo abbia inventato. Ora c’è una nuova frontiera del teletrasporto, questa volta vicina ad un altro immaginario classico della fantascienza, “la macchina del tempo” oltre la soglia più forte che ci possa essere, cioè la propria morte, vale a dire sopravvivere a se stessi. Dieci anni fa usciva una puntata della serie Back Mirror in cui si assisteva alla vicenda di una giovane donna, rimasta vedova, che cedeva i dati del proprio marito a un’azienda e questa in cambio offriva un servizio di dialogo e compagnia realistica del defunto, grazie all’apprendimento del sistema dalle sue tracce digitali. E ora ci siamo, l’industria dell’aldilà digitale è nata e cresce a vista d’occhio.

Pensiamoci, Facebook è il nuovo camposanto mondiale, lo abitano oltre 3 miliardi persone ma ne muoiono 50 milioni l’anno, e poiché non cresce più e nessun ragazzo vi si iscrive: è destinato a diventare prima casa di riposo e poi necropoli. Nel frattempo è già stato reinterpretato come il social del lutto, quei profili diventano veri e propri memoriali, luogo di condivisione di ricordi, affetti, omaggi, una bella nemesi per un social ideato da Mark Zuckerberg allo scopo di spiare le ragazzine del college. Ma tutti i dati che vi sono registrati, così come i messaggi, le foto e i vocali che ci scambiamo sugli altri social, che fine fanno? 

L’industria dell’aldilà è fatta di nuove aziende che fanno esattamente questo, offrono il servizio prefigurato da Black Mirror, cioè conversazioni, messaggi e scambi col defunto: con l’accesso ai suoi dati il defunto torna in vita come voce, immagine, testo, anche se la serie si spingeva oltre, perché la protagonista ordinava la copia del marito in silicone. La cosa è tutt’altro che semplice, perché la maggior parte dei Paesi non ha ancora normato l’eredità digitale e le piattaforme hanno diversi regolamenti in proposito, insomma è un tema di frontiera, ma l’immortalità dei dati è un fatto, trasformati in essi potremo essere teletrasportati oltre la morte. Le questioni etiche sono enormi e la psicologia che si occupa di accompagnare all’elaborazione del lutto immagino sia molto perplessa. 


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Io però ricordo nonne e zie che parlavano col proprio estinto, mi riferivano di dialoghi immaginari, vestivano di nero per stare sempre con lui, avevano la foto nel portafoglio, che ogni tanto baciavano. Defunti che per altro io non ho mai conosciuto, di cui ho visto a malapena una foto e certo mai sentito la voce. Oggi invece sarebbe possibile, grazie ai griefbot ovvero sistemi informatici istruiti con le sole tracce digitali del defunto, una scena come questa: c’è un piccolo schermo con la foto di mio nonno accanto al letto dove dorme mia nonna, poi quando lei si sveglia – e perché no, è la voce del nonno a svegliarla – si salutano a vicenda, chiacchierano un po’, si scambiano ricordi a parole e intanto appaiono sullo schermo le relative immagini di quei momenti, si fanno domande, ridono insieme come hanno sempre fatto. Poi arrivo io che chiedo al nonno un po’ di cose sull’epoca che non conosco – come sono state le due guerre mondiali, per esempio – e gli racconto di me, così che domani sapremo meglio come conversare. 

Ma questa scena non riguarda i miei nonni, perché loro non hanno lasciato tracce digitali. Sono io quel nonno, toccherà a noi capire se restare o sparire. E questo testo che ho appena scritto entrerà a fare parte o no delle istruzioni digitali del mio griefbot.

Foto di Anna-Louise/Pexels

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