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Fuga dei cervelli? A guadagnarci sono i ricchi

Mantenendo legami forti all'estero attraverso i propri figli, alcune famiglie si assicurano un accesso privilegiato alle risorse, alle informazioni e alle opportunità offerte dai Paesi in cui questi giovani si stabiliscono

di Simone Cerlini

Matteo Renzi, Fabiola Gianotti, Elly Shlein, Edoardo Nesi. Diremmo che Gianotti è l’intrusa della serie, non solo per il diploma in pianoforte, ma anche per il lustro che dona al Paese come Direttrice Generale del Cern a Ginevra. Tuttavia qualcosa li accomuna. Tutti hanno avuto significative esperienze di studio o lavoro all’estero. Temiamoceli bene a mente, mentre leggiamo il Rapporto Istat “Migrazioni interne e internazionali della popolazione residente” pubblicato nel 2023 con dati al 2021. Perché tutto sommato se blocchiamo le frontiere a chi desidera entrare, non ci dovremmo lamentare troppo se i nostri ragazzi espatriano.

Dal 2012 al 2021, oltre un milione di italiani si sono trasferiti all’estero per motivi di studio, lavoro o miglioramento delle condizioni economiche. Di questi, circa 337mila giovani di età compresa tra 25 e 34 anni, con oltre 120mila laureati. Sebbene ci sia stato un aumento dei rimpatri, solo 94mila giovani sono tornati in Italia, di cui 41mila laureati, con una perdita netta di 79mila giovani ad alta qualificazione. Nel 2021, l’emigrazione giovanile è diminuita del 21%, ma la percentuale di laureati tra gli emigranti è rimasta costante. Il saldo migratorio nel 2021 è stato il più basso in sei anni, con una perdita di 7mila giovani. Va notato che il dato sul Regno Unito è sproporzionato, a causa delle pratiche di registrazione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero di persone già presenti nell’isola, influenzate dall’effetto Brexit. Le destinazioni più popolari sono Germania, Svizzera e Francia, con un tasso negativo di 12mila, 9mila e 8mila laureati. Gli Stati Uniti seguono a ruota.

Ed ecco la “fuga di cervelli”. L’Italia, con la sua generosità senza pari, ha deciso di regalare al mondo intero (soprattutto alla UE) decine di migliaia di brillanti menti laureate. Un investimento di ben 3 miliardi di euro per formare la nostra diaspora altamente qualificata. Confindustria stima che una famiglia spenda circa 165mila euro per allevare e istruire il suo piccolo genio fino ai 25 anni. Lo Stato, come un nonno magnanimo, aggiunge altri 100mila euro l’istruzione scolastica e universitaria. Inoltre, con questo generoso “regalo”, stiamo perdendo ben 25 miliardi di euro in tasse. Ma è davvero questione di beneficienza?


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Esaminiamo chi sono queste persone di cui stiamo parlando. Quando ci riferiamo alla “fuga di cervelli” intendiamo ricercatori, professionisti altamente specializzati, talenti in vari settori che la vulgata dipinge come fuggitivi che avrebbero potuto contribuire alla ricchezza dell’Italia se avessero scelto di rimanere, ma che sono stati spinti altrove dalle limitate opportunità di casa nostra. Tuttavia se osserviamo da vicino i loro profili, emergono dettagli interessanti. Molti di questi “cervelli in fuga” provengono da famiglie privilegiate, con una storia di legami internazionali e un considerevole patrimonio culturale e relazionale. In effetti già Pierre Bourdieu sosteneva che il pianoforte era arredamento indispensabile nelle dimore di coloro che desideravano distinguersi. La musica e i soggiorni all’esterno un must dell’educazione nelle buone famiglie.

La domanda che sorge spontanea è: perché persone provenienti da famiglie agiate sentono il bisogno di trasferirsi all’estero? La risposta risiede nella natura elitaria della loro cultura di appartenenza. L’internazionalizzazione delle élite non è un fenomeno nuovo. È una storia antica: i Romani inviavano i più promettenti generali nelle Province, durante l’Impero Britannico l’aristocrazia promuoveva l’apprendistato delle proprie giovani promesse nelle colonie e Hartmann nel suo “New Direction of Elite Sudies” (2018) ci ricorda che la maggioranza dei ceo delle aziende più grandi ha avuto esperienze all’estero.

La “fuga dei cervelli” è anche un investimento a lungo termine delle élite. Una mossa strategica per assicurarsi una posizione dominante sia a livello nazionale che internazionale

Ma qual è il vantaggio per queste famiglie nel far emigrare i loro giovani membri? Mantenendo legami forti all’estero attraverso i propri figli, alcune famiglie si assicurano un accesso privilegiato alle risorse, alle informazioni e alle opportunità offerte dai Paesi in cui questi giovani si stabiliscono. Le esperienze all’estero significative e prolungate costano. Gli altri possono fare l’Erasmus. Il capitale ha la straordinaria capacità di adattarsi: è plastico, può mutare forma. Il capitale economico e relazionale si trasforma in capitale culturale, così come il capitale culturale è un prezioso strumento per far soldi. Pensiamoci: cosa accomuna i rampolli delle buone famiglie se non la perfetta padronanza delle lingue? In molti settori è anzi un presupposto, una condizione essenziale. 

La “fuga dei cervelli” è anche un investimento a lungo termine delle élite. Una mossa strategica per assicurarsi una posizione dominante sia a livello nazionale che internazionale. I posti di lavoro che veramente contano, che hanno valore e sono ben retribuiti, sono limitati e per lo più concentrati nei Paesi dominanti: gli USA nell’anglosfera, la Germania in UE, la Cina e l’India in Asia. Accaparrarsi una poltrona prestigiosa fuori dai confini nazionali è l’unica via che le nostre élite hanno per mantenere il loro vantaggio competitivo sugli altri abitanti di un paese in declino. Perfetto inglese, pianoforte e ossessione nel vestire sono ottimi indizi per l’aristocrazia di casa nostra.

Foto: Foto di Tima Miroshnichenko/Pexels


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