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Ma come parliamo?

Il signor “Lato mio” e la signora “Così ci allineiamo”: bestiario dei tic verbali nell’era delle riunioni on line

L’epoca dei web meeting- spesso senza videocamera aperta - pur nella noia del virtuale offre ampie possibilità di esercitarci nell’ascolto puro della selezione di parole compiuta dai nostri interlocutori. Ne emerge una gamma ampia di tipi umani, un interessante bestiario

di Maria Laura Conte

Ogni uomo ha una sua espressione di cui abusa, o di cui fa un uso improprio. Questa è la parola chiave per la sua mente. Il signor “A quanto pare”, il signor “Generalmente”, la signora “Probabilmente”, il signor “Puttana”, la signora “Non e così.” E il signor “Per così dire”…

Janina, protagonista-astrologa di un romanzo riuscitissimo di Olga Tocarkzuk (“Guida il mio carro”) denuncia così i nostri tic linguistici. La sua ironia narrativa inchioda sulla pagina un argomento sul quale si sono soffermati fior di linguisti, non altrettanto efficaci: il valore delle parole che scivolano nel nostro parlare come intercalare quasi involontario, dei segnaposto ricorrenti nei nostri dialoghi che, a un ascolto distratto, potrebbero sfuggire come irrilevanti, mentre invece sono porte d’accesso alle nostre dimensioni intime. Alle nostre menti, direbbe Tocarckuz, alle nostre ossessioni o complessi, aggiungerei io.

Anche chi sta sulle sue, si confida poco e appare poco trasparente, in realtà quando parla deve arrendersi al fatto che non può controllare i suoi tic e così si scopre.

Su tutti si erge la signora “Io la penso così, ma voi fate quello che volete”, espressione che torna a metà o alla fine di riunioni convocate per arrivare a una soluzione condivisa

L’epoca delle riunioni online – spesso senza videocamera aperta – pur nella noia del virtuale offre ampie possibilità di esercitarci nell’ascolto puro della selezione di parole compiuta dai nostri interlocutori. Ne emerge una gamma ampia di tipi umani, un interessante bestiario.

Su tutti si erge la signora “Io la penso così, ma voi fate quello che volete”, espressione che torna a metà o alla fine di riunioni convocate per arrivare a una soluzione condivisa, palesando la fatica di lasciarsi coinvolgere in un lavoro comune per giungere a un compromesso, e preferendo trincerarsi in una sorta di superiorità incompresa.

La signora “Io la penso così” si intende bene con il signor “Io l’avevo detto”, che sta sempre pronto a cogliere l’altro in fallo e rinfacciargli chissà quale profezia inascoltata.

Ultimamente Milano (del terziario) è diventata la capitale dei signori “Lato mio”, che si accompagnano alle signore “Così ci allineiamo”.


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Sembrano tutti abitanti di una distopica città di poligoni, dove ogni persona è un lato-segmento che si agita in polarizzazioni (lato mio – lato tuo), nella disperata ricerca di trovarsi in ordine, magari “Sulla stessa pagina” degli altri (altro tic copiato dagli anglofoni che usano dire “on the same page”).

Queste persone-lato si dimenticano che ci potrebbero essere pure delle curve, delle spirali, o altre forme imprevedibili che invece mandano in continua fibrillazione il signore “Qui è un delirio”:  grida al caos, ma in fondo un po’ lo cerca, gli piace trovarsi protagonista di marosi e situazioni effervescenti.

Un po’ come capita alla signora “Ma dimmi”, tic che si aggancia come una desinenza a una gamma di azioni umane quotidiane: “sono di corsa ma dimmi”, “sto salendo in metro ma dimmi”, “sto guidando ma dimmi”, “sto parcheggiando ma dimmi”, “sono dal dentista, ho la bocca spalancata, ma dimmi”.

Un incipit di avversativa che è l’emblema dell’età in cui viviamo, già definita “era dell’interruzione”. Detestiamo essere interrotti, ma ne siamo diventati quasi tossicamente dipendenti.

È l’altra faccia della paura di essere tagliati fuori (Fomo: fear of missing out): devi rispondere sempre alla chiamata, non sia mai che ti perdi un’informazione fondamentale per il tuo vivere-lavorare-inseguire a perdifiato.

Poi ci sono tic più lievi, come “eccetera eccetera”, che smaschera la poca voglia di dettagliare o ignoranza banale; oppure “davvero” usato per enfatizzare dichiarazioni che non ne hanno bisogno: “ti voglio bene davvero”, se hai bisogno di aggiungere  davvero, forse è una balla.

La verità è un bene così prezioso che non si può scialacquare.

Il tic più vulnerabile oggi è “un po’”, usato proprio dove non serve, forse per tirare il fiato o per malcelata falsa modestia, come per smorzare il tono del nostro enunciato: “Oggi vi voglio dire un po’ che ho vinto un concorso di…”.

Solo che alla fine azzoppa chi parla.

Dietro ogni frase c’è una persona, dice il saggio linguista. Dietro ogni tic ci siamo noi, belli imperfetti. Tenerne traccia permette di fare la pace con le nostre fragilità e fastidi, anche ridendo di noi (un po’).

Foto: Pexels


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