Idee Vacanze

Il turismo per persone con disabilità non è un servizio sociale

L'intervento del direttore dell'organizzazione di volontariato "Consulta per le Persone in Difficoltà": il turismo accessibile non deve essere considerato un segmento a parte, ma un approccio trasversale che integri tutte le tipologie di offerta: enogastronomica, culturale, outdoor, balneare

di Giovanni Ferrero

Agosto, mese di vacanze, ferragosto ancora di più. Per tutti, o quasi. Le persone con disabilità che viaggiano sono, a tutti gli effetti, turisti. Una constatazione apparentemente ovvia, che tuttavia non sempre trova riscontro nell’accoglienza e nei servizi offerti. Ogni turista, prima di godersi un momento di relax sotto l’ombrellone o in montagna, prenota il proprio viaggio tramite un’agenzia, un tour operator o autonomamente online. Le persone con disabilità seguono lo stesso percorso: scelgono la meta, valutano hotel, spiagge, attività. Oltre alle esigenze comuni a tutti i viaggiatori, hanno necessità di informazioni precise su come siano strutturati l’hotel, la spiaggia e il territorio. La principale criticità segnalata dai turisti con disabilità non riguarda le barriere architettoniche – come spesso si pensa – ma la mancanza di informazioni affidabili. Queste sono spesso assenti sia sul web sia nelle agenzie di viaggio, o fornite soltanto da pochi operatori o territori particolarmente attenti.

I numeri sono chiari: in Europa vivono 101 milioni di persone con disabilità; in Italia oltre 7 milioni. A questi si aggiunge il 25% della popolazione over 65, un terzo della quale presenta esigenze fisiche o sensoriali. Nel 2050, gli over 65 supereranno il 35% della popolazione. Nonostante questi dati, il turismo accessibile resta spesso un tema marginale. Sono frequentemente le associazioni delle persone con disabilità a farsi carico di sensibilizzare le istituzioni, ricercare risorse e promuovere iniziative per portare il tema all’attenzione del settore.

Il turismo accessibile non deve essere considerato un segmento a parte, ma un approccio trasversale che integri tutte le tipologie di offerta: enogastronomica, culturale, outdoor, balneare. Ciò significa ristoranti accessibili e attenti a intolleranze e celiachia, musei e opere fruibili anche da persone non vedenti o ipoudenti, sentieri percorribili da tutti, passerelle fino al bagnasciuga e bagni utilizzabili da chiunque.

Turismo accessibile significa lavorare sull’intera filiera di qualsiasi prodotto

Troppo spesso il turismo accessibile viene confuso con singoli interventi, come un itinerario per persone cieche o una spiaggia con sedie job. Si tratta di azioni importanti, che consentono a specifici gruppi di fruire di quelle esperienze, ma non esauriscono il tema. Turismo accessibile significa lavorare sull’intera filiera di qualsiasi prodotto: governance, progettazione, servizi, accoglienza, prenotazione, comunicazione e post‑viaggio. Significa soprattutto curare le informazioni in modo che ogni persona possa capire rapidamente se quel prodotto è adatto alle proprie esigenze. Esempi concreti: una persona cieca deve poter sapere se, in un museo, sono disponibili modalità di fruizione come descrizioni audio, riproduzioni tattili o percorsi guidati; una persona che utilizza la carrozzina deve poter conoscere in anticipo larghezza dell’ascensore, dimensioni e caratteristiche del bagno e della camera, pendenze, modalità di accesso alla spiaggia, tempi e modalità di prenotazione di eventuali ausili. Queste informazioni determinano la possibilità stessa di scegliere e prenotare con autonomia.

Tali contenuti dovrebbero far parte dei manuali scolastici di indirizzo turistico e rappresentare la base di ogni corso sul turismo e di ogni incarico consulenziale. In Italia, tuttavia, il tema è ancora troppo spesso interpretato come questione di pari opportunità o di assistenza, anziché come leva di qualità dell’offerta e di competitività del mercato. Molte soluzioni sono già presenti nei territori, ma spesso non vengono comunicate in maniera efficace. Sui portali turistici è frequente trovare la sola indicazione “accessibile”, che può significare molte cose diverse. In assenza di informazioni dettagliate, il viaggiatore è spesso costretto a contattare direttamente le singole strutture, con dispendio di tempo e incertezza.

Negli ultimi anni si è assistito a una crescita di “manager del turismo” e “destination manager”, chiamati a sviluppare l’attrattività e il brand di un territorio. Tuttavia, il tema dell’accessibilità rimane spesso assente nei loro piani di lavoro. Trascurare questa prospettiva riduce la capacità di accogliere in modo inclusivo e comporta una perdita di visitatori, opportunità e reputazione. Il vero valore aggiunto del turismo contemporaneo non risiede in slogan accattivanti, ma nella possibilità di dichiarare con chiarezza: “Qui ogni persona può vivere l’esperienza con la stessa qualità e lo stesso livello di fruizione”. In futuro, un numero sempre maggiore di viaggiatori avrà necessità di informazioni dettagliate e servizi adeguati. Fornire questi elementi non è un’opzione, ma uno standard minimo di qualità e rispetto per il cliente.

Oggi agosto non è ancora un mese di vacanze per tutti. Domani, inevitabilmente, lo sarà. Chi non si prepara rischia di rimanere escluso dal mercato, non per crisi economica, ma per mancanza di capacità di offrire un servizio adeguato. Turismo accessibile significa: stesso prezzo, stessa qualità… ma più turisti.

Esempi positivi di turismo accessibile esistono in tutto il territorio nazionale. In Piemonte, in particolare, ve ne sono diversi, frutto di un lavoro costante in questa direzione. Tra questi, un hotel ad Ala di Stura, nelle Valli di Lanzo, che nel 2009 ha avviato un processo di trasformazione per rendere l’intera struttura – compresa la spa – pienamente accessibile. La decisione, nata da incontri di sensibilizzazione sul territorio, ha permesso di rispondere alle esigenze di una clientela che, nel tempo, ha manifestato nuovi bisogni. Oggi l’hotel registra il tutto esaurito con un anno di anticipo, perché è aperto a tutti e comunica con chiarezza questa caratteristica. Questo approccio dovrebbe diventare la norma: il futuro – e il presente – è un turismo per ognuno. Come scriveva Italo Calvino: “Di una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” La vera domanda è se il turismo di oggi sappia davvero rispondere a tutte le persone.

Il turismo accessibile non si esaurisce in una spiaggia perfettamente attrezzata, magari con la presenza di operatori sociosanitari. Pur essendo un servizio utile e importante per alcune persone con disabilità grave, non rappresenta la totalità del concetto. Turismo accessibile significa saper rispondere alle esigenze di tutti i turisti, indipendentemente dalla loro condizione fisica, sensoriale o alimentare. Significa, ad esempio, essere in grado di organizzare una visita guidata per una famiglia in cui sia presente una persona nello spettro autistico, senza che il timore di non saper gestire l’accoglienza porti a una risposta di rifiuto. Vuol dire comprendere che non sempre è necessario abbattere e ricostruire strutture per renderle fruibili, ma che spesso bastano piccoli accorgimenti per rendere una destinazione adeguata a molte persone con disabilità. Vuol dire trasformare in turista la persona con disabilità, e non soltanto il suo accompagnatore. Purtroppo, nel mese di agosto, queste condizioni non sono ancora garantite, e non si può quindi affermare che sarà un buon ferragosto per tutti.

Foto di Elevate su Unsplash

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