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Lavoro di cura, i giovani cercano: riconoscimento, senso ed equità

La massimizzazione dell'interesse personale, in particolare quello economico, non è il criterio con cui le nuove generazioni si affacciano al mondo del lavoro. Per questo ragione la cooperazione sociale e in generale le professioni del caring hanno grandi chanches. A patto che...

di Simone Cerlini

Questo mio contributo nasce dall’intervento alla conferenza “Crisi e Futuro delle professioni di cura” a cui VITA ha dedicato grande attenzione, ma anche da un percorso di ricerca sulle dinamiche del mercato del lavoro e dell’importanza dell’attività economica con mission sociale, che guarda alla cooperazione sociale, così come ai servizi pubblici. L’azienda per la quale lavoro, Azienda speciale consortile partecipata da enti locali, ha una mission di carattere sociale e la sua natura di soggetto pubblico e di soggetto economico la rende simile per molti aspetti al sistema della cooperazione sociale. 

Ho preparato l’intervento sulla base dunque di due istanze complementari e distinte: da una parte l’urgenza di promuovere un modello economico non fondato sul profitto, dall’altra i dati preoccupanti dell’allontanamento della forza lavoro dalle professioni di cura, e più in generale, di servizio per l’interesse generale.

Tre i temi principali: riconoscimento, senso e equità, utilizzando l’approccio dell’economia sperimentale per esaminare comportamenti umani al di là dei modelli razionali classici.

L’economia sperimentale sfidi l’idea che le decisioni economiche siano sempre razionali e orientate alla massimizzazione dell’interesse personale. Attraverso esperimenti come quello del vaso di Fehr e Gächter, il gioco dell’ultimatum di Guth, e il gioco del dittatore di Thaler, viene dimostrato che gli individui possono preferire l’equità e la cooperazione rispetto al guadagno personale, anche a costo di perdite personali.

La ricerca di Euricse è citata come esempio di analisi coraggiosa e insolita nel campo delle professioni di cura. A differenza di altre ricerche che si concentrano sui decisori, siano essi Ceo o Hr manager, Euricse indaga direttamente le esperienze e le opinioni dei lavoratori. Rivela problemi come la difficoltà di attrarre e mantenere i lavoratori nel settore, con un alto tasso di turnover, specialmente tra i giovani. Molti lavoratori vedono il loro ruolo come un trampolino o un’esperienza formativa, pronti a lasciarlo per opportunità migliori. Soprattutto la ricerca mette in luce il valore interpretativo di tre categorie: “riconoscimento”, “senso” ed “equità”.

1. Riconoscimento: lo studio mette in luce una forte sensazione di frustrazione tra i lavoratori sociali che si sentono sovraqualificati e limitati da procedure rigide, senza la possibilità di contribuire attraverso la propria intelligenza e il proprio talento ad una migliore efficacia del lavoro. C’è dunque un problema di “riconoscimento” inteso come coinvolgimento nella costruzione delle regole e delle procedure. La ricerca dimostra che molti lavoratori non si sentono pienamente coinvolti o capaci di esprimere le loro abilità, portando a un senso di insoddisfazione e un alto turnover. 

2. Senso: la ricerca rivela che molti lavoratori nel settore sociale vedono il loro ruolo come una missione per contribuire al bene comune. Questo legame con il “senso” è fondamentale, poiché sottolinea che la motivazione principale per lavorare nel settore sociale non è la remunerazione, ma la possibilità di fare la differenza e contribuire alla società. L’analisi mostra che questa aspirazione al senso di appartenenza e al contributo al bene comune è una motivazione chiave per i lavoratori sociali, che va al di là dei benefici materiali.

3. Equità: infine, la ricerca mette in evidenza i problemi relativi all’equità nel settore sociale, in particolare riguardo alla difficoltà di attrarre e trattenere i lavoratori a causa di condizioni di lavoro non ottimali e di remunerazioni non sempre competitive. Questo aspetto si lega al tema dell’equità in quanto solleva questioni su come i lavoratori vengano retribuiti e valorizzati nel loro ambiente lavorativo. Per risolvere questi problemi è necessario un approccio più equo, che consideri non solo la remunerazione, ma anche il valore del lavoro svolto e il suo impatto sulla società. Viene criticato l’approccio che vede il mercato come soluzione ottimale per l’efficienza dei servizi, evidenziando come questa visione possa trascurare le esigenze reali dei beneficiari. Viene proposto un modello basato sull’equità, dove le decisioni vengono prese ascoltando e coinvolgendo coloro che sono direttamente coinvolti nel fornire e ricevere i servizi. Si tratta di un modello di stakeholder engagement all’interno della cooperazione sociale ma anche di co-progettazione e co-programmazione dei fondi a livello di governance dei sistemi di welfare.

In conclusione, propongo un cambiamento nella narrazione economica e nel sistema di welfare, valorizzando la cooperazione sociale come spazio per la crescita professionale, il senso di contributo al bene comune e una remunerazione equa, basata su un modello partecipativo e condiviso. Questo approccio è la strada per aumentare l’attrattività e la fedeltà nel settore della cooperazione sociale e dei servizi di interesse generale.

Foto di apertura: Pixabay

Nel download la trascrizione integrale dell’applauditissimo intervento di Simone Cerlini a Lecco nel corso della presentazione  della ricerca di Euricse “Lavorare in cooperativa oggi — La voce dei nuovi professionisti della cura e il turnover nelle imprese sociali” è scaricabile gratuitamente:


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