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“Mettiamo in carcere” le imprese digitali

Formare ai mestieri del digitale significa formare a lavori del presente e del futuro. Significa dare una prospettiva solida sia per il periodo di permanenza in prigione sia per il dopo. I casi di Cisco, Linkem e Digital360 e del progetto "Recidiva Zero"

di Antonio Palmieri

Tre anni fa ero il deputato in carica più longevo a occuparsi (dal 2001) di tecnologia e di innovazione. Per una singolare coincidenza (non casualità, il caso non esiste) nel giro di poche settimane Andrea Rangone, presidente Digital360, Francesco Benvenuto e Agostino Santoni, (il primo responsabile delle relazioni istituzionali di Cisco Italia, il secondo all’epoca amministratore delegato della stessa azienda) mi raccontarono le attività di formazione e di avviamento al lavoro che stavano realizzando in alcune carceri italiane. Di lì a poco, un amico mi segnalò che Davide Rota, (attualmente amministratore delegato di Tiscali e al tempo presidente di Linkem) stava facendo la stessa cosa.

Grazie al lavoro di approfondimento fatto insieme a loro ho compreso che il digitale può fare molto per aiutare a risolvere la triste situazione delle carceri italiane. Anzi, lo sta già facendo, semplicemente perché i leader di alcune grandi aziende tecnologiche hanno creduto che ciò fosse possibile.

Le attività nelle carceri di Cisco, Linkem e Digital360 sono differenti tra loro, ma hanno in comune un fattore determinante, che non è la tecnologia: è l’umano. È la passione con la quale Rangone, Benvenuto, Santoni (e oggi il suo successore, Gianmatteo Manghi), Rota e le persone che lavorano con loro a questi progetti si sono presi a cuore le singole persone detenute. È ciò che ha spinto Rangone e i suoi a lavorare a Milano per preparare Matteo e Fernando, due detenuti in semi libertà, a diventare imprenditori e a formare la cooperativa sociale Atacama, che sviluppa progetti di comunicazione e realizza video di qualità. 

La stessa attenzione alla persona che ha portato Rota a essere l’unica persona ad accogliere fuori dal carcere di Lecce Domenico, il primo operatore del laboratorio di riparazione router Linkem a uscire per fine pena, a guidarlo a fare buon uso della ritrovata libertà e a metterlo successivamente a guidare i laboratori nelle carceri dove Linkem opera. 

È l’impeto con il quale nel 2003 Benvenuto, con l’allora come oggi decisivo contributo di Lorenzo Lento, ha dato il via alla prima Cisco Academy a Bollate, primo carcere al mondo in cui sono stati erogati corsi di alta formazione informatica. Un percorso che Santoni, Manghi, Benvenuto e Lento hanno voluto proseguire da due decenni con tenacia e commozione. La stessa che hanno provato vedendo papa Francesco lo scorso giovedì santo lavare i piedi a Rania, la più brava della classe Cisco a Rebibbia.

Come è noto, tutte le professioni legate al digitale lamentano un grande scarto tra la domanda delle imprese e la disponibilità di personale. È quindi evidente – naturalmente con tutto il rispetto per le altre iniziative di formazione e lavoro presenti nelle nostre carceri, che sono ugualmente utili e importanti – che formare ai mestieri del digitale significa formare a lavori del presente e del futuro. Significa dare una prospettiva solida sia per il periodo di permanenza in prigione sia per ciò che può accadere finito di scontare la pena.

Così è stato per centinaia di detenuti – due per Digital360, in tre anni, venti per Linkem in quattro, 1.500 persone per Cisco in poco più di venti – che grazie ai mestieri del digitale e della tecnologia e al fatto che qualcuno ha dato loro una opportunità hanno trovato un lavoro, dentro e fuori dal carcere. Questo ha determinato il risultato più importante che ci si deve attendere dalla detenzione: recidiva zero. Un risultato che non è mera statistica, ma significa vite ritrovate, a conferma del fatto che ciascuno di noi non è definito una volta per sempre dalla propria colpa. È possibile cambiare, soprattutto se trovi chi crede in te e non vede semplicemente un carcerato, ma un essere umano. Un essere umano che ha certamente sbagliato, ma che è in grado, se accompagnato, di recuperare quella stima di sé che consente di impegnare per il bene la propria libertà.

Ora la sfida è rendere tutto questo una opportunità per tutte le persone, in tutte le carceri. A questo mira il progetto “Recidiva zero” che sarà presentato il 16 aprile al Cnel. Esso è frutto dell’accordo interistituzionale sottoscritto il 15 giugno 2023 tra Ministero della Giustizia e Cnel per dare vita a una azione sinergica che impatti sulla formazione e sul lavoro dei carcerati. Il lavoro preparatorio svolto in questi mesi consente ora di partire con una iniziativa che parte dalla valorizzazione delle esperienze, delle competenze e dei modelli di intervento esistenti, ma li colloca per la prima volta in un progetto che vuole portare la medesima offerta formativa e lavorativa tutte le carceri italiane.

L’obiettivo è avviare un percorso utile per trasformare il carcere da mero “luogo di pena” ad ambito di educazione, formazione e preparazione al reinserimento nella società. 

Come detto dal presidente del CNEL Renato Brunetta lo scorso 13 dicembre a “Tecnologia solidale 2023”, uno dei punti qualificanti del progetto è che tutte le carceri abbiano almeno un’aula informatica. Brunetta e il sottosegretario alla giustizia Andrea Ostellari vogliono usare il digitale come fattore abilitante per ogni tipo di intervento formativo. L’idea è che le attrezzature presenti in questa aula  consentano non solo la formazione ai lavori del digitale, ma anche di essere adeguatamente formati ad altri mestieri o di sostenere il conseguimento di qualifiche del normale percorso scolastico. Il 16 aprile saranno presentati i punti del progetto e le modalità operative della sua realizzazione.


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La adeguata attuazione di “Recidiva Zero” darà finalmente vita al dettato costituzionale sulla funzione della pena e, come ho già detto, ribadirà quel principio iscritto nella nostra tradizione millenaria cristiana per il quale la colpa non è l’ultima e definitiva parola sul destino di un essere umano: vi è sempre una possibilità di riscatto. Naturalmente se la singola persona sceglie di mettersi in gioco e trova attorno a sé le condizioni necessarie per la propria “conversione”, a partire da uno sguardo diverso su di sé, capace di rimettere in movimento la sua libertà. Si può fare, anche in prigione. Anzi, si deve fare.

Foto di Rdne Stock project/Pexels


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