Idee Medio Oriente

Palestina, una storia tutta sbagliata

Il mondo per anni è rimasto a guardare mentre si costruiva scientemente quella distanza tra popoli di cui si nutrono razzismi ed etnonazionalismi di ogni ordine e grado

di Alessandra Sciurba

Non si può non scrivere oggi della Palestina, ma si sarebbe dovuto scriverne sempre, continuamente, negli ultimi decenni. Non doveva arrivare quel terribile 7 ottobre del 2023, con la sua violenza oscena, per rimettere al centro del dibattito politico una storia tutta sbagliata, fin dalle origini; una storia che rappresenta anche, forse più di ogni altra, l’emblema del fallimento dell’alternativa mediterranea come spazio sincretico e aperto che con forza centrifuga scardinasse la divisione del mondo in blocchi contrapposti.

Ed è così difficile ripulire ogni ragionamento, al punto in cui siamo, da questo tifo da stadio che mescola cause, conseguenze, violenza, resistenza, speranze e catastrofi

Ed è così difficile ripulire ogni ragionamento, al punto in cui siamo, da questo tifo da stadio che mescola cause, conseguenze, violenza, resistenza, speranze e catastrofi. 

Ci sono verità innegabili, semplicissime. Come quella che nulla giustifica il massacro della popolazione civile nella striscia di Gaza, le migliaia di bambini sterminati. Chiudere gli occhi e immaginare di trovarsi lì è come immaginare l’inferno. 

E l’altra verità altrettanto innegabile è che quei bambini hanno vissuto la loro breve vita nell’apartheid e nell’umiliazione, così come i loro genitori, e i loro nonni, mentre il mondo guardava e mentre si costruiva scientemente quella distanza tra popoli di cui si nutrono razzismi ed etnonazionalismi di ogni ordine e grado. 

Tutto il resto, però, adesso, è così difficile da affermare, e prima ancora da definire per chi non vuole scegliere tra il genocidio palestinese e i fondamentalisti di Hamas, per chi vede tutta l’arroganza e la storica violenza della politica internazionale atlantica, ma non può accettare che l’alternativa sia nei fascismi dei dittatori iraniani, o russi, o turchi.

Perché le guerre che stanno sconvolgendo il mondo, prima in Ucraina e ora in Palestina, pur essendo solo due tra le decine che affliggono il pianeta, ci raccontano qualcosa di letteralmente epocale. 

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Nessuna narrazione regge più. Il bene, il male, il bianco e il nero, le bandiere, i simboli, le ideologie, sembrano solo spauracchi che si prendono ancora la scena mentre il teatro sta crollando. La legge del più forte non si nasconde più, come negli ultimi decenni dalla fine della Seconda guerra mondiale, nemmeno dietro la finzione dell’ordine necessario. La logica della guerra per la guerra, del nemico contro il nemico come unico strumento, leva, origine e obiettivo della politica è lì, davanti a noi, nuda e dichiarata. Ha bisogno ancora, certo, di rinfocolare appartenenze identitarie forgiate dal sangue e dalla Storia riscritta e usata per alimentare fanatismi laici e religiosi, ma tutto è andato oltre, lasciandoci senza più punti di riferimento per leggere questa realtà senza più maschere, e per resisterle.

Eppure, siamo chiamati a cercare di farlo. Noi, che non siamo sotto le bombe, che ancora abbiamo il privilegio di non dovere scappare dalle nostre case, che siamo cresciuti cercando di distinguere giusto e sbagliato, violenza e cura, oppressione e libertà, abbiamo il dovere di pensare criticamente e di ritrovare la parola, per quanto sia difficile; di rivendicare un’identità sfuggente alle divisioni imposte e continuare a discernere, con coraggio, con umiltà, mettendo bene in chiaro che sottrarsi alle fazioni non significa affatto non prendere posizione: perché certo che Israele deve smettere immediatamente di bombardare Gaza e che non è pensabile tornare all’occupazione dei territori palestinesi, ai check point e alla pulizia etnica sotto forma di stillicidio, ma allo stesso tempo ogni gesto di antisemitismo deve essere immediatamente stigmatizzato e combattuto perché è frutto della stessa orribile storia di odio e sopraffazione, come ci insegnano dalla loro posizione così particolare le migliaia di ebrei che ovunque stanno dicendo “non nel mio nome”. 

E quanto sono assolute le colpe e le responsabilità dell’Occidente di fronte a tutto questo, e quanto è stato fatale il ruolo coloniale che l’Europa ha sempre giocato nei confronti dei paesi della riva Sud e della riva Est del Mediterraneo; la sua ostinazione, oggi plasticamente rappresentata dalla militarizzazione delle frontiere contro donne, uomini e bambini che partendo da quelle rive cercano salvezza, nel distruggere ogni possibilità di rendere quel mare il mare di mezzo, il ponte, lo spazio dell’incontro: la “terza via” che proprio la Palestina, dove le grandi religioni monoteiste confondono le loro radici, simboleggia come nessun altro posto al mondo, e che proprio a partire dalla Palestina avrebbe dovuto essere costruita e difesa.

Foto: La Presse

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