Idee Costruire ponti

Stanchi, bagnati, feriti ma i migranti sono una benedizione

Cpr come carceri, respingimenti disumani, neocolonialismo. Nel messaggio per la prossima "Giornata del migrante e del rifugiato", papa Leone ha ricordato che chi arriva da lontano non è un’intermittenza della cronaca ma un compagno di viaggio. Toccando anche un altro nervo scoperto: la necessità di un’autentica decolonizzazione dello sguardo. La riflessione del presidente dell’associazione Don Bosco 2000

di agostino sella

Arrivano stanchi, bagnati, feriti. Eppure portano qualcosa che noi, chiusi nelle nostre certezze, abbiamo dimenticato: la speranza. Nel suo messaggio per la 111^ Giornata del migrante e del rifugiato, papa Leone XIV – nel solco di quanto da anni ripete papa Francesco – ci ricorda che la Chiesa non cammina davanti o dietro i migranti, ma insieme a loro.
Perché il Vangelo, spesso, arriva da lontano, portato da chi si mette in viaggio.
Non è un concetto astratto: è la storia concreta di donne e uomini che bussano alle nostre porte e, senza saperlo, ravvivano la fede delle comunità che li accolgono. Lo dice senza giri di parole nella sua lettera: i migranti sono una benedizione.

Guardati con sospetto

Per un’Europa sazia di beni ma impoverita di fiducia, prigioniera di paure e slogan, loro sono uno specchio: ci ricordano che la speranza non si possiede, si condivide. Eppure, chi li soccorre viene guardato con sospetto. Don  Mattia  Ferrari, il cappellano di Mediterranea saving humans, lo sa bene: da “angeli del mare” a “taxi del mare”, oggi vive sotto scorta. E capita perfino che chi salva vite venga intercettato e trattato come fosse un criminale. Quando la carità diventa sospetta, qualcosa si è spezzato nel cuore del nostro tempo.

La geografia della vita

Il papa, nella sua lettera, invita a guardare più lontano: «Non lasciatevi ingannare da chi trasforma l’altro in minaccia. Chi migra porta un dono, se sappiamo aprire gli occhi e ascoltare».

Agostino Sella, presidente dell’associaizone Don Bosco 2000, in un viaggio in Senegal

Entro il 2050 l’Africa avrà quasi due miliardi e mezzo di persone; l’Europa scenderà al 7 % della popolazione mondiale. Non è un’emergenza: è la nuova geografia della vita. Migrare sarà normale quanto partire per studiare o lavorare. Illuderci di fermarlo è la vera anomalia.

Direzioni opposte

Ma c’è un punto che brucia: il messaggio dei papi e la realtà delle nostre scelte collettive sembrano andare in direzioni opposte. Da anni le parole di Francesco – e ora di Leone XIV – sono chiare: mettiamo la persona al centro.
Dignità, bene comune, fraternità. E invece la politica, anche quella che si proclama cristiana, continua a ragionare in termini di emergenza, chiusura, respingimenti. Ne sono un esempio i Cpr – luoghi di detenzione per migranti che somigliano a carceri – e le misure di chiusura e respingimento adottate in alcuni paesi dell’Est Europa, dove i muri diventano la risposta all’incontro.

Ponti e barriere

Capita così che i capi di stato di questi stessi paesi, che pubblicamente baciano la mano al Papa, poi tornino a casa e attuino politiche opposte al Vangelo che dicono di difendere. Tanti battezzati ascoltano il Vangelo la domenica e poi, nei fatti, votano per costruire muri e allontanare chi bussa. È questa la contraddizione che ci fa più male: la Chiesa parla di ponti, la società opulenta che si dice cristiana preferisce le barriere.

Lo sguardo che manca

In questa prospettiva, il messaggio di Leone XIV tocca anche un altro nervo scoperto: la necessità di un’autentica decolonizzazione dello sguardo. Troppo spesso le politiche di cooperazione internazionale hanno riprodotto, in forme nuove, gli squilibri del passato. Interi paesi dell’Africa sono rimasti intrappolati in modelli di dipendenza economica e culturale che hanno fallito nel costruire sviluppo. Accogliere e camminare insieme non significa solo ospitare, ma anche cambiare questo paradigma: lasciare spazio a processi di autonomia, a relazioni simmetriche, a un rispetto che non umilia.

I passi inquieti

Nelle traiettorie migranti, la fede spesso non è solo rifugio spirituale, ma linguaggio profondo attraverso cui si articolano memorie, visioni del mondo e forme di resistenza. Per comprendere davvero questi percorsi, è necessario imparare ad ascoltare anche i saperi che parlano da altrove, dai margini del mondo troppo spesso silenziati: un “border thinking” che rovescia i centri e restituisce dignità a chi è stato ridotto a voce muta. La storia della fede è fatta di passi inquieti: Gesù nasce in una capanna e fugge profugo in Egitto.
Paolo attraversa il Mediterraneo come “clandestino” della sua epoca per portare la Buona Notizia.

Le strade nuove

I primi cristiani vivono dispersi nel mondo, pellegrini come i migranti di oggi. Accoglierli, allora, non è un gesto di bontà ma un atto di verità: ci aiuta a ricordare chi siamo. Leone XIV ci invita a fare un passo in più: dialogare, creare ponti tra fedi, trasformare la forza spirituale in alleanze per la pace.
Perché quando i credenti si ascoltano nascono strade nuove; quando si chiudono, crescono i muri. E allora il messaggio per la 111^ Giornata del migrante e del rifugiato diventa chiarissimo: i migranti non sono un’intermittenza della cronaca. Sono i compagni di viaggio di un mondo che cambia. Se li consideriamo un problema, perderemo un’occasione. Se li accogliamo come missionari di speranza, ritroveremo l’anima che abbiamo smarrito.

Foto di associazione Don Bosco 2000

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