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Famiglia & Minori

Maria Vittoria Rava, nostra signora di Haiti

Ritratto della presidente della fondazione italiana più nota nel Paese

di Sara De Carli

Nelle bidonville di Port-au-Prince c’è finita dieci anni fa, quasi per caso, dopo una tragedia familiare: «Nel dramma abbiamo un obiettivo: costruire un nuovo orfanotrofio» Haiti non l’ha scelta. Più che altro è stata Haiti a scegliere lei. Dieci anni fa Maria Vittoria Rava (nella foto) era un avvocato di trent’anni e aveva appena perso la sorella Francesca in un incidente d’auto. Oggi è l’italiana che meglio conosce questa sfortunata isola dei Caraibi. Quasi una «Nostra Signora di Haiti», ma nel senso suggerito da quello che padre Rick – l’anima di Nph – Nuestros Pequeños Hermanos, la ong che la Fondazione Rava rappresenta in Italia – le ha detto dopo il terremoto: «You have to come, you belong to this place». Non sono i luoghi e i progetti ad appartenere a Maria Vittoria e alla sua fondazione, benché lei su questo abbia scommesso tutto, mollando anche il lavoro: al contrario, o proprio per questo, è lei che ormai appartiene ad Haiti. E agli haitiani.

No stop
Dalla mezzanotte del 12 gennaio, quando è arrivata la telefonata di padre Rick che la avvertiva del terremoto, Maria Vittoria presidia in pianta stabile la sede della fondazione, in un brulichio di volontari stakanovisti che cercano di rispondere a tutti quelli che chiedono di aiutare. Il gruppo della fondazione su Facebook cresce al ritmo di mille nuovi amici ogni 24 ore e alcune aziende amiche hanno distaccato qui loro dipendenti: rispondono al centralino. I suoi bambini, di 7 e 8 anni, Maria Vittoria non li vede da allora.
«Il cuore mi portava a partire immediatamente, ma qua la situazione è altrettanto impegnativa. Per ora è partita la nostra vicepresidente, Maria Chiara Roti, ci daremo il cambio settimana prossima», dice. Il desiderio è quello di essere tutti in prima linea, a condividere il dolore di tanti amici, insieme ai medici volontari, i primi italiani ad arrivare sul posto dopo il disastro, i primi ad essere in grado di operare dentro l’inferno. Per Maria Vittoria sarà il terzo viaggio ad Haiti in un mese e mezzo. L’ultimo, per Natale, insieme al marito e ai figli, «per me l’apoteosi, mio marito finalmente ha capito, prima pensava che fossi pazza». Un viaggio da cui era tornata «con tante speranze, che oggi rendono ancora più bruciante il dramma».
Il 3 febbraio doveva esserci una grande festa a Port-au-Prince, per la famiglia Nph – Fondazione Rava: l’inaugurazione di Francisville – La città dei mestieri, una grande struttura di avviamento al lavoro per i giovani della città, con tanti laboratori artigianali. La struttura è danneggiata, ma in piedi. La panetteria, in particolare, sforna 5mila panini al giorno: una manna in tempi normali, un miracolo nell’emergenza. «Avevamo organizzato una festa, è stato un battesimo di fuoco», dice Maria Vittoria. Nel giro di pochi giorni i panini diventeranno 15mila, grazie a un nuovo forno, già in volo, e a un altro panettiere volontario. Maria Vittoria è commossa, davvero: «Tutti parlano degli sciacalli, ma in tanti ci hanno regalato la farina che avevano a casa».

il fuoco e la festa
Pensavano a qualcos’altro, per festeggiare dieci anni di vita di una fondazione nata per ricordare la generosità di una ragazza morta ad appena 26 anni. Francesca lavorava in Kpgm – uno dei big player della consulenza aziendale e revisione contabile – e accompagnava i malati a Lourdes. Con la liquidazione di Francesca, Maria Vittoria mise in piedi la fondazione. Nello stesso periodo Nph cercava un partner italiano. Ad Haiti ci sono finiti così, perché tra i tanti Paesi dell’America Latina in cui Nph è attiva questo è il più povero, con un bambino su tre che muore prima dei cinque anni. Non per nulla padre Rick – Richard Frechette, americano, sacerdote e chirurgo – di casa sta proprio a Port-au-Prince.
È lui che dirige l’ospedale Saint Damien, zona Tabarre, 15 minuti dall’aeroporto. Per molte, molte ore, nonostante i danni subiti, l’unico funzionante. La Protezione civile italiana l’ha scelto come base per il suo intervento ad Haiti, e ha montato lì accanto il suo ospedale da campo. Le due sale operatorie funzionano H24 da giorni e l’ospedale ha prestato cure a più di 700 persone, nonostante delle 260 persone del suo staff – tutti haitiani, molti ex pequeños provenienti dall’orfanotrofio Nph – solo quaranta siano in servizio: gli altri stanno cercando i propri parenti, non riescono ad arrivare, alcuni sono morti.

Quanto è difficile aiutare
Padre Rick è uno dei pochissimi occidentali che può entrare nelle bidonville di Port-au-Prince e uscirne vivo. Curare i figli dei capibanda è un lasciapassare in bianco. È un dettaglio non da poco, perché «in un Paese che non ha infrastrutture né un governo stabile, anche aiutare è molto difficile: i fondi arriveranno, sono sicura, il problema sarà gestirli», spiega la Rava. Per la Fondazione Rava la strada è già tracciata, da vent’anni di lavoro. «Noi ci affidiamo a padre Rick, che ha le idee chiarissime. Per lui ora la priorità è l’emergenza sanitaria, dobbiamo salvare vite. E poi ripulire le strade dai cadaveri».
Già prima del terremoto padre Rick ogni giovedì lo passava raccogliendo i corpi abbandonati alla morgue: li salvava dai bulldozer e li componeva nelle fragili bare di cartapesta prodotte dai ragazzi dell’orfanotrofio. Maria Vittoria lo ha accompagnato anche l’ultima volta, a dicembre: 80 bare, 230 corpi di bambini, 50 di adulti. In un giorno. Chissà ora.
E poi i bambini, un’emergenza nell’emergenza. «Non facciamo adozioni, ma sostegno a distanza; vogliamo restituire al Paese la dignità di poter crescere i propri figli», continua a ripetere sul web la fondazione. Tant’è che alla fine hanno anche deciso di non evacuare i loro bambini a Santo Domingo, dove pure Nph ha un altro orfanotrofio. L’appello della fondazione («fondi, non vestiti», ripetono ai tanti che vogliono mandare aiuti) pensa anche a quello: costruire in tempo record una nuova casa-orfanotrofio.


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