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Cooperazione & Relazioni internazionali

Da dove scappano i migranti

Nei primi 4 mesi del 2023 il numero di chi lascia Costa d’Avorio, Guinea, Pakistan e Bangladesh, Egitto e Tunisia è triplicato, con il porto di Sfax trasformatosi nel principale hub migratorio del Mediterraneo. Vi presentiamo lo speciale di VITA in 5 puntate che indagherà i motivi del boom destinato ad aumentare se la classe politica continuerà ad usare "la pancia" per qualche voto in più invece della razionalità. Lo faremo attraverso le voci dei volontari in loco delle Ong e concentrando l'attenzione sul contesto di partenza

di Paolo Manzo

Sono 38.898 le persone sbarcate in Italia dalla mezzanotte del primo gennaio a ieri 27 aprile. Le nazionalità prevalenti sono la Costa d’Avorio (5.810), la Guinea (4.454), il Pakistan (3.848), l'Egitto (4.405), la Tunisia e il Bangladesh mentre sono più di tremila i minori non accompagnati. I dati sono del Viminale e confermano la tendenza all'aumento degli sbarchi di migranti, quasi il 300% in più rispetto al primo quadrimestre dell'anno scorso.

Purtroppo l’attenzione della politica è quasi tutta orientata verso il contenimento di questi flussi, sovente facendo appello alla “pancia" dei cittadini degli stati dove questi migranti, la maggior parte per motivazioni economiche, cercano di arrivare ad ogni costo, sovente rischiando le loro vite. Accade ovunque nel mondo, non solo in Italia o in Europa, ma anche in Africa, Asia e nelle Americhe, ma le nazioni se ne accorgono solo quando i flussi riguardano il loro cortile. In Perù e Cile, ad esempio, dove i governi hanno di recente chiuso i confini per frenare i migranti in arrivo da Venezuela, Bolivia ed Ecuador. Succede in Tunisia, soprattutto dalla seconda città del paese, Sfax, che è diventata l’hub di chi fugge dall’Africa per arrivare in Italia, visti gli appena 150 Km che separano le coste delle due nazioni, per non dire degli Stati Uniti. Quasi sempre parlare alla “pancia" dei cittadini degli stati che ricevono i flussi porta voti, il caso più lampante è quello di Donald Trump negli Stati Uniti e l’Italia, naturalmente, non fa eccezione.

VITA ha preparato un dossier diviso in 5 parti, su Costa d’Avorio, Guinea, Pakistan e Bangladesh, Egitto e Tunisia sentendo in loco i volontari delle ong per affrontare il tema da un’altra prospettiva, non quello della “pancia" perché se le premesse sono sbagliate inevitabilmente lo saranno anche le conclusioni, con un'aggravante, quello del razzismo verso i migranti. L’obiettivo del dossier, dunque, non è solo umanitario ma soprattutto razionale e informativo.

Ci soffermeremo sulla descrizione del contesto di ogni paese con le cause, primarie e secondarie, che portano i cittadini dei cinque principali paesi sopra menzionati da cui arrivano in Italia gran parte dei migranti, per comprendere quali siano le migliori soluzioni, anche politiche, da ricercare.

In linea generale la maggior parte delle persone giunte in Italia in questi primi 4 mesi è partita dalle coste tunisine, non più dalla Libia e, contrariamente a quanto molti pensino non arrivano dagli strati più bassi delle società d’origine né dai Paesi più poveri, ma dalle classi medie: emigrare costa e i più poveri non possono permetterselo. Non a caso dei 35 milioni di emigranti subsahariani del 2022, 29 milioni si sono trasferiti in Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Etiopia, Sudafrica e Kenya.

Ovviamente anche la guerra in Ucraina, visto che Kiev con Mosca garantivano il 30% dei cereali esportati a livello mondiale, ha aumentato l'insicurezza alimentare ed ha fatto aumentare i flussi a livello planetario. Di fronte all'impennata dei prezzi, alla speculazione e alle difficoltà di approvvigionamento, molti paesi stanno cercando di adattarsi al nuovo contesto geopolitico. "Abbiamo difficoltà a soddisfare i nostri bisogni, perché dipendiamo dalle importazioni, specialmente per il grano e il riso e i nostri input sono diventati molto costosi", ha spiegato a marzo il ministro dell'Agricoltura e dello sviluppo rurale della Costa d'Avorio, Kobenan Kouassi Adjoumani e, anche per questo nel paese è stata addirittura modificata la ricetta del pane, consumato quotidianamente dai 30 milioni di ivoriani, sostituendo parte della farina di grano con la manioca o il mais.

I migranti del Bangladesh e del Pakistan sono spinti soprattutto da un esubero di mano d’opera e nel caso di Islamabad, da una crisi economica esplosiva che ha distrutto a causa dell’inflazione il potere di acquisto della classe media, oltre che dal fatto che sia un regime.

La Tunisia, così vicina all’Italia, oltre all'hub numero uno è diventato un paese sempre più autoritario. Anche a causa delle miopi politiche del FMI, il Fondo Monetario Internazionale, che negando un prestito da 2,5 miliardi di euro le sta facendo rischiare il default, spingendola tra le braccia dei BRICS, il blocco degli emergenti dominato da due dittature quali Cina e Russia. Anche per questo, soprattutto i giovani tunisini, sognano la libertà dell'Occidente. Pure l’Egitto è un paese sempre più autoritario e, inoltre, ha un grave problema di sottoccupazione, mentre la Guinea è una vera e propria feroce dittatura militare.

L’eccezione è la Costa d’Avorio, paese in crescita, democratico ma soprattutto ricco di attività minerarie ma sovente illegali. Anche per la “caccia all’oro” accoglie storicamente migranti economici dagli altri paesi africani che, dopo una permanenza più o meno breve, scelgono il "sogno europeo”, sbarcando in Italia.

In aggiunta a tutto questo, naturalmente, ci sono le mafie transnazionali dall'Egitto, ma anche dalla Tunisia, dal Pakistan, dalla Turchia e dalla Costa d'Avorio, con connessioni italiane. Lo dimostra l'Operazione “Landayà” della Polizia di Catania insieme a quelle di Asti, Cuneo, Genova, La Spezia, Pavia, Rimini, Savona e Torino che nei giorni scorsi ha arrestato 17 trafficanti di esseri umani. “Landayà”, che in lingua dioula significa “fiducia”, perché il gruppo criminale era composto da cittadini della Costa d’Avorio, Guinea, Mali e Burkina Faso, proprio come la maggior parte dei migranti che gestiva.

Infine un’ultima considerazione: se non risolto, il conflitto in Sudan che rischia di estendersi ai paesi confinanti potrebbe provocare migrazioni di massa, come nel recente passato in Siria perché, ovviamente, anche le guerre fanno da sempre aumentare i flussi migratori.


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