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Stefano Iandiorio

Da singoli cittadini ad attori protagonisti del cambiamento

di Gilda Sciortino

Percorsi che, attraverso la riqualificazione di spazi abbandonati, diventano spazi di comunità nei quali ognuno può contribuire a cambiare l'aspetto e la modalità in cui viverci. È anche grazie a Fqts, la Formazione quadri del terzo settore, che Stefano Iandiorio ha portato una ventata di novità ad Atripalda, in provincia di Avellino, il cui emporio sociale ha cambiato la filosofia del pacco alimentare, incrociando e valorizzando percorsi di vita non sempre facili

Un percorso che ha inizio nel 2003 come volontario di servizio civile preso la mensa dormitorio della Caritas di Avellino, esperienza che prima lo ha plasmato come cittadino attivo, poi anche come membro di organi dirigenziali strutturati. Per Stefano Iandiorio avere incontrato Fqts sulla sua strada ha fatto la differenza, perché ha costruito e fatto crescere una comunità che oggi

«Ho fatto parte di un’associazione di volontariato che si occupava di povertà, la “Don Tonino Bello” di Avellino, nella quale mi sono professionalizzato non solo dal punto di vita della progettazione sociale. Poi, durante il percorso di Fqts che incrocio nel 2015 e dal quale non mi sono mai più allontanato, c’è stata la chiamata a rilanciare quello che doveva essere l’azione dell’Arci provinciale di Avellino che veniva ricostituita intorno alla mia persona e che negli ultimi 4 anni, si è sviluppata sino a raggiungere 17 circoli e quasi 3.500 tesserati sul territorio della provincia. Oltre a questo, dallo scorso anno, grazie anche allo sviluppo della formazione di Fqts e al lavoro di rete, sempre durante il mio mandato di presidente dell’Arci, che ebbe inizio nel 2013, abbiamo guardato ai giovani cercando di prepararli a essere futura classe dirigente in un territorio dove il dramma dello spopolamento giovanile è altissimo. Abbiamo lanciato un segnale così forte da portare alla nascita di una comunità di Terzo settore, però implosa durante l’emergenza Covid che ha messo tutti in difficoltà perché nessuna delle realtà era attrezzata a rispondere».

È grazie al ritorno a una radice comune che questa emergenza ha plasmato un processo di comunità che unisce organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, cooperative e imprese.

«Senza dimenticare gli enti comunali che si stanno ancora oggi avvicinando. Abbiamo costruito un nuovo percorso condiviso, in cui tutti possano diventare co-autori e compartecipi di progetti di sviluppo di un territorio, grazie alla cui sinergia costruire una prospettiva capace di valorizzare ogni singolo cittadino trasformandolo in attore protagonisti del cambiamento».

Le risposte concrete si possono pensare, trovare e costruire direttamente con chi vive ogni giorno le proprie fragilità?

«Certamente. È, infatti, così che sono nati percorsi di co-progettazione e co-programmazione che hanno portato anche e soprattutto alla riqualificazione di spazi abbandonati diventati spazi di comunità, da dare in fruizione ai minori o per implementare un emporio solidale che supera la classica lettura del pacco alimentare, trasformandosi in un market che offre tutti prodotti che si possono trovare nei supermercati: dai prodotti per l’igiene della casa e della persona ai beni alimentari sino agli articoli per la scuola, grembiuli, zaini. A gestirlo sono alcune realtà che collaborano, la mia storica di volontariato e l’Arci come promotori, ritrovando insieme associazioni della comunità. associazioni che si dedicano ai disabili o ai minori, cooperative che si occupano di migranti, come anche altre che promuovono eventi all’interno di questi spazi. Ci sono anche organizzazioni che si occupano di sportelli di diritti e che, a giorni alterni, supportano la comunità anche nella semplice esplicitazione di una pratica per una richiesta di aiuto. Una rete che ha già portato a una prima gemma, “Rigenera”, impresa sociale che si occupa proprio della valorizzazione e promozione dei beni inutilizzati o da rimettere a nuovo. Il lavoro che ha fatto prima di tutto l’impresa sociale è stata la mappatura dei beni presenti all’interno del nostro territorio. Il successivo step saranno gli incontri che avremo on le comunità territoriali per co-costruire insieme il progetto di sviluppo e riqualificazione di quel bene in modo che, una volta restituito alla comunità, sia fruibile per le necessità del territorio».

A quanti utenti vi rivolgete?

«Sono tantissimi. Lavoriamo all’interno di un rione popoloso delle città, il Mazzini, nel quale seguiamo 100 famigli. Quartiere ricco sia di cittadini autoctoni sia di immigrati. è adiacente alla città ma vive la realtà del rione e, se anche la distanza con la città non è grande, si sente comunque la lontananza da essa. L’emporio solidale si trova ad Atripalda, la vecchia Bellinum, nei quale si possono ammirare i resti della vecchia civiltà. Qui seguiamo 70 famiglie per un totale di 165 beneficiari».

Fondamentale il lavoro di co-progettazione con l’ente comunale, grazie al quale potere adottare una strategia ben precisa,

«Il Comune ci segnala le famiglie e, in base al numero, al nucleo e alla tipologia di beneficiari, vengono assegnati dei punti caricandoli su una tessera di accesso all’emporio grazie alla quale possono fare la spesa due volte al mese, come tutti i nuclei familiari. Questo ci permette non solo di valutare e identificare la modalità della spesa della famiglia, se realmente corrispondente alle condizioni e al bisogno, ma è anche un modo per educare la comunità locale all’uso responsabile delle materie prime e al loro esasperato consumo. Da questo punto di vista stiamo lavorando sui temi dello spreco alimentare, infatti partiranno a breve degli aperitivi con chef locali stellati che cucineranno con i prodotti dell’emporio per destrutturare quell’immaginario collettivo che fa pensare che ciò che si dà alle persone in povertà non sia buona Serviranno anche per aprire le porte alle comunità facendo conoscere questa iniziativa ed eventualmente provare a intercettare nuovi volontari. Questo perché il dramma della povertà sta aumentando, determinato dalle continue crisi economiche, compresa quella energetica che sta mettendo in ginocchio le famiglie del nostro territorio».

Fqts ha contribuito a rafforzare il percorso personale e quello della comunità?

«Si è rafforzato perché ci ha aiutati nel nostro formarci, confrontarci anche con altre realtà extraterritoriali che contaminano l’agire nel nostro territorio. Il mondo del Terzo settore è un mondo che dà ma anche che assorbe le buone pratiche e cerca di replicarle. Per esempio, l’idea degli empori da noi non del tutto partiti, io l’ho conosciuta dopo l’Expo a Milano principalmente in Veneto in Emilia Romagna, dove hanno anche costruito una fidelizzazione con i produttori locali in modo tale da evitare l’eccesivo spreco alimentare evitando gli specchietti delle allodole del “tre per due”, diffondendo il valore del “consumare meno e consumare meglio».

Processi, dinamiche che trovano la loro forza nella comunità anche con i percorsi proposti nello specifico da Fqts…..

«Dall’anno scorso il format di Fqts ha avuto un’ulteriore evoluzione con il percorso di comunità che, secondo me, è stata un’evoluzione importante per coloro che agivano e che, in tal modo, hanno avuto la possibilità di avere una forza maggiore. Questo perché da soli spesso e volentieri diventa difficile apportare il cambiamento, invece insieme si genera quella capacitazione, da una parte di includere, dall’altra di valorizzare gli attori del territorio diventando anticorpi concreti a quelle che sono le vulnerabilità all’interno del territorio. Nel mio caso ci ha permesso di migliorare singolarmente ma anche di aumentare la capacità di dialogo con le istituzioni. Non parlava più la singola associazione, non parlava neanche più la comunità, ma a dialogare era la comunità con i cittadini diventati parte attiva del contesto al quale appartengono. Faccio l’esempio del centro minori, polo sociale nato in questo rione in seguito a una passeggiata di quartiere fatta con i cittadini che rivendicavano questo spazio inutilizzato da anni. Tra poco sarà riqualificato uno spazio verde che diventerà l’orto di comunità del rione. La conseguenza? Avere meno delinquenza, meno atti vandalici perché gli spazi vengo sentiti e vissuti come propri. Luoghi nei quali le porte sono sempre aperte perché la nostra non è una comunità chiusa ma chiunque ne può fare parte».

Un processo fortemente voluto da tutti.

«Stiamo cominciando a lavorare su una progettualità condivisa, che parta dal basso con momenti di grande coinvolgimento comune. Adesso partirà un nuovo evento di “capacity building” all’interno del rione Mazzini per fare emergere nuove problematicità. Nella prima fase ci siamo occupati dei bambini dai 6 ai 10 anni, adesso lavoreremo maggiormente con la scuola analizzando il fenomeno di abbandono scolastico sia alle medie sia subito dopo i due anni di obbligo delle superiori. Per lavorare su questi temi, abbiamo implementato un progetto della coesione territoriale con l’Arci come capofila con l’idea di collaborare in maniera trasversale con altri due comuni vicini alla città di Avellino, Mercogliano e Atripalda, dove abbiamo l’emporio».

Ma qual è la marcia in più che vi caratterizza?

«Noi preferiamo parlare di “progetti di sviluppo” che devono avere le gambe, anche solide, perché bisogna partire dalla progettazione ma per trasformare il tutto in qualcosa che abbia un forte legame con la comunità in quanto le iniziative si devono autosostenere. L’emporio vive di “adotta una sporta”, “adotta uno scaffale” oppure di aziende locali che donano i loro prodotti, dall’olio alla pasta anche al semplice scaffale. più il progetto è vissuto dalla comunità più ha gambe per camminare, progredire e migliorare. Facciamo, poi, un lavoro di continua analisi dei dati, incrociamo, guardiamo, osserviamo. Gli indicatori della ricaduta nel territorio per noi sono fondamentali perché così, più riusciamo a fare una misurazione aderente alla realtà più riusciamo a dare valore al nostro territorio».

L’impresa sociale deve riuscire a riportare un’economia di prossimità che faccia vivere, sopravvivere e progredire le comunità.

«Al percorso con Fqts partecipano tutti. Oltre al feedback in presenza con i delegati della comunità o gli incontri online o dei professionisti che ci vengono a trovare, tutti i membri partecipano, non solo con le associazioni ma anche come cittadini e istituzioni. Siamo partiti dalla città di Avellino verificando percorso rende inizialmente visibili ma poi, attraverso l’operare rende credibili. Ci sono territori più distanti, come l’Alta Irpinia o la Baronia, che si sono fatti avanti da poco per intraprendere questo percorso. Ovviamente l’idea è quella di costruire insieme a loro altre due micro- realtà che possano operare all’interno del territorio, dando loro la cassetta degli attrezzi che è stata la nostra esperienza, fornendo gli anticorpi migliori per potere reagire alle problematiche che hanno all’interno».

Fqts come ha cambiato la sua persona?

«Diciamo che da una parte ha rafforzato le mie capacità di agire, dall’altro ha definito il modo di raccontare quello che facciamo. Se poi il logo o il nome dell’associazione ti identifica, il fare ti rende credibile. Questo è stato molto importante perché è diventato il volano per fare nascere la comunità, vivendo e attraversando l’esperienza di Fqts. Un’occasione non da poco per costruire quel mosaico fatto di tutti questi tasselli che sono gli enti di Terzo settore, i cittadini, le imprese che hanno compreso che migliorare il proprio territorio significa valorizzare sé stessi e che fare del bene moltiplica il bene».


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