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Memoria

Il museo accessibile che racconta la vera storia di Piana degli Albanesi

di Gilda Sciortino

Protegge con amore e cura la storia di Piana degli Albanesi, raccontandola attraverso abiti, gioielli e strumenti del mondo contadino, insieme a pezzi di storia come quella di Portella della Ginestra. Ora, grazie al finanziamento del PNRR per l’accessibilità dei luoghi della cultura, il Museo Civico "Nicola Barbato" diventerà accessibile anche ai portatori di disabilità fisica e visiva

Se si vuole farsi rapire dal fascino della cultura Arbëreshë il posto giusto si trova a Piana degli Albanesi, cittadina in provincia di Palermo, fondata sul finire del XV secolo da esuli albanesi in fuga dai turco-ottomanisu un altopiano montuoso. A pochi passi dalla piazza principale sorge uno scrigno che contiene e protegge un patrimonio culturale inestimabile nel quale abiti, gioielli, oggetti, attrezzi del mondo contadino compongono un mosaico caleidoscopico di esperienze umane che raccontano un pezzo di storia.

È, infatti, nel Museo Civico “Nicola Barbato” che la memoria diventa viva facendo in modo che ogni cosa riprenda vita dopo essersi fermata nel momento successivo al suo utilizzo.

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Attraversare le sue sale è come attraversare il tempo, immaginando di indossare i costumi tradizionali giornalieri, ma anche di gala, quelli per esempio adatti alle nozze ricamati in oro su seta. A tutti, le donne che li indossavano sembravano “vestite di sole”.

«L’abito da sposa risale alla seconda metà dell’Ottocento – spiega Caterina Basso, responsabile della direzione Affari generali del Comune di Piana degli Albanesi e del Museo – mentre quello di gala è di manifattura più recente e lo si vede sia dal tipo di tessuto, anche se di raso di seta, sia dal colore rosso fragola, diverso dal porpora che contraddistingueva gli abiti antichi. Anche il tipo di ricamo è differente perché, mentre il primo ne è pregno, l’abito di gala riporta altri ricami d’oro e i disegni sono più piccoli. Ci sono poi tre abiti delle donne anziane, caratterizzati dalla gonna nera con una mantellina bianca, celeste o nera in caso di lutto. Abbiamo anche il vestito maschile che, però, è una riproduzione greca con richiami bizantini. Parliamo di abiti che hanno subito influenze barocche, così come per i gioielli, anch’essi riproduzioni di gioielleria del Seicento e Settecento. Tradizione artigianale che solo Piana degli Albanesi ha mantenuto nel corso dei secoli, nonostante io stessa veda in diverse gioiellerie proporre il classico “oro di Piana” che non ha riferimenti alla nostra cultura perché si tratta solo di barocco siciliano».

Fascino che aumenta quando immaginiamo il rito della vestizione con il collocamento del copricapo che completava solo quello da sposa con il velo; dodici i fiocchi, sei per ogni braccio, a rappresentare i 12 apostoli; infine, la cintura che, come da tradizione, veniva portata in dono alla donna dal futuro marito in quanto sinonimo di fertilità. Chi, infatti, prendeva parte a matrimoni, battesimi, funzioni religiose, se la indossava, significava che era già convolato a nozze.

Una collezione frutto di una ricerca meticolosa anche rispetto all’oggettistica, espressione della cultura materiale, che nell’esposizione racconta le attività che caratterizzavano questo piccolo angolo del mondo. Ecco anche perché non poteva mancare la stanza dell’agricoltura, con la ricostruzione della casa tipica del primo Novecento con la cosiddetta alcova con il letto e la mobilia a rappresentare uno spaccato della vita più intima dei suoi abitanti.

Da visitare, respirando a pieni polmoni, l’erbario estensivo, curato dal professore Antonio Mirabella, nel quale sono raccolte le più importanti specie vegetali che si possono trovare nella Riserva Naturale Orientata Serre della Pizzuta e di Monte Kumeta, entrambi nel territorio di Piana degli Albanesi.

Nella stanza di Portella della Ginestra, infine, si possono sfogliare alcune copie dei giornali del l’epoca con una sezione che raccolta la prima strage di stato avvenuta nel 1947. A curarla lo storico Francesco Petrotta, uno dei massimi esperti di questa parte della storia siciliana.

Un tesoro da tutelare e proteggere facendo in modo che sia memoria viva grazie al suo potenziamento al fine di accrescerne la fruizione. Ecco perché, partecipando al bando PNRR per l’accessibilità dei luoghi della cultura e vincendolo, l’amministrazione comunale ha messo in campo azioni che guardano alla redazione del PEBA, il Piano per l’eliminazione delle barriere architettoniche, prevedendo la realizzazione dell’ascensore, del bagno e di rampe per gli utenti con disabilità, ma anche il riallestimento delle collezioni, l’inserimento di video, bookshop e la dotazione di apparecchiature tecnologiche, infine servizi di accoglienza e attività di formazione per il personale. Il tutto reso possibile dalla preziosa collaborazione dei museologi, la storica dell’arte Daniela Brignone e l'archeologo Dario Scarpati. Una serie di interventi che saranno realizzati entro il prossimo giugno grazie a un finanziamento di € 468.094,51.

«Il progetto ci consentirà di offrire la massima accessibilità non solo attraverso l’abbattimento delle barriere architettoniche – afferma il sindaco di Piana degli Albanesi, Rosario Petta -, ma pensando anche alle persone con difficoltà visive. Ci saranno percorsi ad hoc che cambieranno la fruizione di tutte le sezioni del museo la cui attrattività non è mai stata solo di livello regionale, ma anche extra regionale e extra italiano, per esempio da parte di albanesi e kosovari sparsi nel mondo. Ci sono anche alcune sezioni che stiamo riorganizzando e rivisitando con ricostruzioni originali delle stanze dei nostri avi, insieme a una parte etnoantropologica con il percorso che ci fa capire come veniva realizzata la ricotta o come si lavorava la lana, con un angolo dei vecchi mestieri come il barbiere».

Un bene che accresce il suo valore anche in quanto dedicato a un personaggio che ha attraversato la storia come Nicola Barbato, scomparso nel 1923, politico e medico italiano di etnia arbëreshë che operò in modo particolare a Piana degli Albanesi e nei comuni limitrofi. Fu tra le massime figure del socialismo siciliano del secondo Ottocento e dei primi del Novecento e si batté sempre per i diritti delle classi lavoratrici e dei meno abbienti. Il suo nome è inciso sulla pietra da cui teneva i comizi a Portella della Ginestra.

«Per noi è stato un onore dedicargli il museo – aggiunge la Basso – sia perché era originario di Piana degli Albanesi sia perché fu una figura fondamentale nella battaglia volta a migliorare le misere condizioni dei lavoratori della sua gente. Lo chiamavano il “medico dei poveri” per quanto si dedicò a chi era meno fortunato. Con il finanziamento che ci arriva dal Pnrr colmeremo ciò che manca per renderlo accessibile a chiunque».

Manca poco per iniziare gli interventi previsti nel progetto approvato.

«Una volta ultimati i lavori, il museo sarà nuovamente aperto consentendo la fruizione da parte una fetta consistente di pubblico che non vede l’ora. Basti pensare che nel 2007 abbiamo avuto circa 12mila visitatori, una parte dei quali crocieristi provenienti dagli Stati Uniti. Poi è arrivata la pandemia e si è fermato tutto. Con la bella stagione e i lavori ultimati – conclude il primo cittadino – potremo riprendere come e più di prima. Sarà anche il luogo ideale per chi vuole studiare e approfondire un pezzo della nostra storia e cultura. Fondamentale per comprendere il contesto all’interno del quale il museo nasce e cresce. Un pezzo di storia nella storia che non può andare disperso».


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