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La siccità al Nord è la “nuova normalità”, ecco la “terapia” del Governo
I laghi hanno i pontili sulla terra secca anziché galleggianti sull’acqua, i fiumi mostrano i piloni dei ponti che invece dovrebbero stare immersi e le falde acquifere sotterranee sono in sofferenza: questo è il quadro della crisi idrica che già sulla coda dell’inverno ha iniziato a stringere nella sua morsa il Nord del nostro Paese. Agricoltura ed energia sono a rischio, mentre in alcuni Comuni arrivano le autobotti. Ecco le soluzioni prospettate dai ministri dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida, Raffaele Fitto agli Affari europei, Gilberto Pichetto Fratin all'Ambiente, Roberto Calderoli agli Affari regionali e Nello Musumeci con delega a Protezione civile e mare
di Luca Cereda
Dovrebbe arrivare già questa settimana al consiglio dei Ministri il “decreto Acqua”, una misura pensata per intervenire sulla cronica siccità che nelle intenzioni del Governo Meloni servirà ad aiutare l’Italia – il Nord in particolare -, gli agricoltori e gli imprenditori ad affrontare una siccità che da evento estremo e conseguenza dei primi segnali della crisi climatica, è diventato un elemento che compone la nuova normalità a cui rispondere non con piani emergenziali, ma con interventi strutturali: «Come ministero coordineremo una cabina di regia per dare impulso a dighe, invasi, laghi e bonifiche» aveva detto qualche giorno fa il vicepremier Matteo Salvini.
La tabella di marcia era stata scandita già dal primo marzo, al termine della cabina di regia sulla crisi idrica, presieduta dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni in persona, insieme al leader del Carroccio e, tra gli altri, i ministri dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, Raffaele Fitto agli Affari europei, Gilberto Pichetto Fratin all’Ambiente, Roberto Calderoli agli Affari regionali e Nello Musumeci con delega a Protezione civile e mare. Al termine del tavolo si era stabilito di definire un Piano idrico straordinario nazionale, d’intesa con le regioni e gli enti territoriali, per individuare le priorità d’intervento, ma anche di lavorare a un provvedimento normativo urgente per semplificazioni e deroghe per affrontare la siccità, oltre all’istituzione della figura di un commissario straordinario con poteri esecutivi rispetto a quanto programmato dalla stessa cabina di regia.
A delineare un quadro non certo positivo sul fenomeno, che aveva portato poi alla stessa riunione all’inizio del mese, era stato a fine febbraio il ministro Musumeci, che aveva parlato di una situazione da affrontare non più da un punto di vista emergenziale ma strutturale. Non si tratta “solo” di agricoltura, industria e approvvigionamento alla popolazione: le dighe semivuote infatti compromettono l’erogazione di energia «che per il 20% è idroelettrica» aveva precisato Musumeci, il quale aveva poi aggiunto: «Non c’è mai stata una programmazione strutturale, da decenni non si costruiscono dighe e le reti idriche urbane sono spesso colabrodo».
Lo stesso Musumeci ha parlato di un mancato utilizzo dei fondi disponibili: «Ci sono 4 miliardi a disposizione delle opere idriche ma le procedure sono talmente disarmanti, soprattutto le autorizzazioni ambientali, per cui molto spesso un amministratore si rassegna». Ci sono alcuni interventi che dovrebbero avere la priorità secondo il ministro: «È assurdo che si debba recuperare e riutilizzare in un anno soltanto il 10% di acqua piovana, mentre in primavera e in estate le aziende agricole soffrono e nei centri urbani si è costretti al razionamento o all’approvvigionamento con le autobotti che ha costi elevati e un alto impatto ambientale. Creare laghetti aziendali, liberare le dighe dall’insabbiamento e costruirne di nuove, utilizzare le acque depurate per le coltivazioni, adeguare gli impianti irrigui alle nuove tecniche di risparmio. Sono rimedi che andavano adottati da tempo, tra tanta indifferenza e in assenza di qualsiasi programmazione. Il razionamento, che spetta ai governatori e ai sindaci dei territori, è solo un’estrema ipotesi che in questo momento non si presenta». Intanto però, l’Osservatorio Permanente dell’Autorità del Fiume Po parla di 19 comuni piemontesi – soprattutto nelle provincie di Novara, Verbano Cusio Ossola e Cuneo – per i quali è già scattato il semaforo rosso con l’entrata in vigore del massimo livello di severità idrica.
Secondo l’Autorità del fiume Po, lo stress idrico registrato a gennaio e febbraio sta peggiorando in tutto il Nord ovest: il 6,5% dei Comuni di Piemonte e Lombardia ricorre alle autobotti
Già a febbraio era stato lanciato l’allarme siccità. Coldiretti precisava che l’ondata di gelo e le nevicate, dopo un mese di gennaio che aveva segnato quasi un grado e mezzo in più rispetto alla media al nord, “non compensano il pesante deficit idrico del Paese, dove nel 2022 si è registrata il 30% di precipitazioni in meno” con il conseguente stoccaggio idrico più basso. A soffrire è soprattutto il Po, già provato da un 2022 secco: “Al Ponte della Becca a Pavia il Po – dicevano a febbraio – è a meno 3,3 metri rispetto allo zero idrometrico, con rive ridotte a spiagge come in estate”.
Anche Legambiente Lombardia parla di laghi prealpini semivuoti e grandi laghi già allo stremo: nel Garda mancano 220 milioni di m3 per l’irrigazione. L’immenso bacino idrico che deriva dai cinque laghi che orlano l’arco prealpino viene utilizzato per uso irriguo ma la situazione è già pessima: «In rapporto alle medie degli ultimi 15 anni, nei bacini idroelettrici alpini manca oltre il 25% dell’acqua normalmente presente in questa stagione». Ma il 2023 – ancora più del 2022 – potrebbe essere l’anno più caldo di sempre con +1,44 gradi sopra la media già messo in archivio “grazie” ai primi due mesi del 2023. A dirlo è un’analisi della Coldiretti su dati Isac Cnr, che rileva le temperature in Italia dal 1800 ed evidenzia anche precipitazioni al di sotto della media nel primo bimestre dell’anno dopo un 2022 in cui è caduta il 30% di pioggia in meno.
La siccità intanto non molla la presa nella maggior parte della Pianura padana. Se l’Emilia Romagna presenta qualche indicatore positivo, in Piemonte e Lombardia resta una situazione di “conclamato stress idrico”. Lo sottolinea sempre l’osservatorio permanente dell’Autorità di bacino del Po, che ha rilevato praticamente lo stesso quadro di un mese fa, peggiorato nelle ultime settimane dalla mancanza di piogge in grado di colmare, anche solo in parte, il deficit ereditato dal 2022. Questo avviene alla vigilia di una stagione irrigua per l’agricoltura ricca di incognite, dove l’acqua disponibile appare già non sufficiente. Secondo i dati dell’Autorità di bacino raccolti insieme alle Arpa regionali, le portate rilevate nelle stazioni lungo l’asta del Po in tutte le regioni rimangono, al 6 marzo, ancorate ad uno stato di “estrema o media gravità”. A soffrire non sono solo i fiumi ma anche i laghi che mantengono quote minime: il Garda risulta ad oggi quello in maggior crisi con un riempimento solo del 25%, il Maggiore registra un riempimento del 41,5%. Tutto questo chiaramente potrà avere dei riflessi sull’agricoltura: per Coldiretti, sono circa 300mila le aziende agricole e gli allevamenti in difficoltà nel centro nord Italia, che mette a rischio un terzo delle produzioni italiane della Pianura padana.
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