Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Il caso

Lo stallo della lotta al tabagismo, solo iniziative sporadiche

A oltre vent'anni dalla Legge Sirchia, poco viene fatto per la prevenzione e il sostegno a chi decide di smettere. I divieti sono iniziative di singole città, manca la formazione nelle scuola sui danni del fumo attivo e passivo e delle sigarette elettroniche. Non ci sono sostegni ai centri anti-fumo, ma si continua a morire: oltre 93mila i decessi l'anno attribuibili al fumo di tabacco

di Nicla Panciera

Ci è voluta la notizia del voto al parlamento britannico in favore del piano di governo per creare una generazione smoke-free, rendendo illegale la vendita di prodotti del tabacco ai nati dopo il primo gennaio 2009, per riaccendere l’attenzione sul problema del tabagismo nel nostro paese, dove la lotta a questo dramma di salute sembra non essere più una priorità.

Bene pensare a generazioni smoke free ma concentrarsi sul singolo comportamento, rivolgendosi ai ragazzi e puntando il dito contro di loro, senza muovere un dito per l’ambiente, anche culturale oltre che legislativo, in cui essi vivono non ha molto senso, commenta amaramente Roberto Boffi, responsabile della pneumologia e del Centro Antifumo dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. «Molto deve e avrebbe dovuto essere fatto in questi oltre 20 anni dall’entrata in vigore della legge Sirchia». La legge n. 3/2003, che all’articolo n.51 disciplinava la “Tutela della salute dei non fumatori”, sanciva il diritto di non essere esposti al fumo passivo e ha per la prima volta stabilito il divieto di fumare nei luoghi pubblici. «Che cosa è stato fatto da allora?» si chiede lo pneumologo che del divieto di fumo all’aperto ha fatto una delle sue grandi crociate. La prima città ad aver approvato un simile divieto è stato Bibione che dal 2019 ha vietato il fumo in spiaggia e sotto l’ombrellone; il divieto di fumare all’aperto in diverse aree pubbliche c’è anche a Milano, a una distanza inferiore ai 10 metri e dal 2025 il divieto «sarà esteso a tutte le aree pubbliche o a uso pubblico, ivi incluse le aree stradali, salvo in luoghi isolati dove sia possibile il rispetto della distanza di almeno 10 metri da altre persone» (ma le sigarette elettroniche non vengono contemplate).  A Torino è scattato il divieto di fumare all’aperto a una distanza inferiore ai 5 metri dalle altre persone.

Il contrasto al consumo di tabacco, che come disse Sirchia stesso «deve essere considerato un inaccettabile attentato alla salute pubblica», è quindi frutto di qualche iniziativa locale. «Servono incisive campagne di prevenzione primaria, fare educazione nelle scuole, parlare dei danni del fumo attivo e passivo, spiegare che anche le sigarette elettroniche sono cancerogene e che gli studi dimostrano un’alterazione epigenetica nella saliva di questi fumatori che promuove la cancerogenesi in primis del tumore al polmone ma non solo. Quindi, parlare di “riduzione del danno” in relazione alle eCig e al tabacco riscaldato deve essere considerato per gli operatori sanitari come l’accettazione di una sconfitta o, comunque, il riconoscimento della nostra incapacità di attuare strategie adeguate per il controllo del fumo e per il sostegno ai fumatori che vogliono smettere» dice Boffi che evidenzia come i divieti dovrebbero riguardare anche le e-cig.

Tutti questi messaggi sembrano essere scomparsi dal discorso pubblico» commenta Boffi, «Nel nostro paese l’ingerenza dell’industria del tabacco si fa molto sentire, basta pensare alla presenza degli stabilimenti di Philip Morris a Bologna e di British american tobacco Bat vicino a Trieste. Ricordo che l’Oms ha scelto come tema per il prossimo World No Tobacco Day del 31 maggio l’ingerenza delle multinazionali del tabacco sui minori (Protecting children from tobacco industry interference). Purtroppo, l’Italia in questa classifica è ai primi posti».

Infatti, il Global Tobacco Industry Interference Index 2023 mostra che l’Italia è tra i Paesi in cui le politiche relative al tabacco sono più esposte all’interferenza dell’industria. Nel report, si legge che «in Italia nessuna legge in vigore limita l’influenza dell’industria del tabacco nell’attuare o implementare le politiche di sanità pubblica in relazione al controllo del tabacco. Nel 2021, la Bat Italy stava concludendo accordi per neutralizzare legislazioni sfavorevoli e avvicinare i membri del Parlamento e del Governo. Ciò è emerso dall’inchiesta su Open Foundation, la fondazione dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi. Infine, i rappresentanti dell’industria del tabacco possono esercitare pressioni a livello governativo. In effetti, le principali company produttrici di tabacco, inclusa Japan Tobacco International (JTI), Philip Morris Internazionale (PMI) e British American Tobacco (BAT) sono iscritte nel registro dei lobbisti». L’Italia, poi, non ha recepito la direttiva Ue sulla regolazione del tabacco riscaldato e la revoca di talune esenzioni per tali prodotti.

Eppure, in Italia fuma il 20,5% della popolazione, con una media di 12, 2 sigarette al giorno, nell’81% le tradizionali e nel 14% tabacco riscaldato. Al fumo di tabacco sono da attribuire oltre 93.000 morti l’anno, con oltre il 25% dei decessi compreso tra i 35 ed i 65 anni di età e con costi, diretti e indiretti, che superano i 26 miliardi di euro. Nessuno di chi dovrebbe fare qualcosa si strappa le vesti.

Si dovrebbe partire con interventi dissuasivi come l’aumento del prezzo dei prodotti: «Con Fondazione Veronesi, come comitato scientifico per la lotta al fumo, presentammo nel 2021 una petizione al parlamento per un aumento significativo del prezzo dei pacchetti di sigarette, del tabacco sciolto, dei dispositivi a tabacco riscaldato e affinché una parte dei ricavi venisse destinato al finanziamento di programmi di prevenzione e di disassuefazione da fumo, nell’ambito del Sistema sanitario nazionale; alla rimborsabilità di trattamenti per la disassuefazione attualmente a carico dei pazienti; a programmi per la diagnosi precoce delle malattie fumo-correlate e alla ricerca indipendente sul fumo e i suoi effetti». Ad esempio, un’accisa che porti il costo medio di un pacchetto a 10€ (come già accade in Francia, ad esempio), che farebbe ridurre di oltre 800 milioni i pacchetti venduti e aumentare le entrate fiscali di 5,4 miliardi di euro.

Boffi, che è presidente eletto della Società italiana di tabaccologia Sitab, annuncia presto una campagna importante della società scientifica per la rimborsabilità dei farmaci anti fumo nei pazienti già affetti da malattie croniche respiratorie e per l’apertura di centri antifumo, per la maggior parte all’interno delle pneumologie e con la pandemia meno attivi sul fronte tabagismo. Conclude Boffi: «Serve un sostegno da parte dello stato, ci vogliono investimenti adeguati che, per inciso, sono molto vantaggiosi non solo in termini di salute ma anche analizzando il rapporto costo efficacia. Infine, si deve partire dalle Università e dalle scuole di specialità per dare il via a questo rilancio di supporto ai fumatori, combattere questa epidemia e ripartire dall’attuale stallo, solo in parte dovuto al covid».

Foto di Pawel Czerwinski su Unsplash


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA