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Locatelli: «Con il progetto di vita cambiamo lo sguardo sulla disabilità»
È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto n. 62 sul "progetto di vita", il cuore della riforma della disabilità. Le risposte non partiranno più dall'offerta di servizi esistenti, ma dai desideri e dalle priorità della singola persona, in un progetto che ricomprende tutti gli ambiti della vita. Un ribaltamento di prospettiva che scardina prassi operative consolidate. Un fondo da 25 milioni l'anno garantirà anche le "prestazioni atipiche" che ad oggi non rientrano nelle unità di offerta del territorio di riferimento. Intervista con la ministra Alessandra Locatelli
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 maggio il “decreto progetto di vita”, il cuore della riforma avviata con la legge 227/2021. È il decreto n. 62 del 3 maggio 2024 ed entra in vigore il prossimo 30 giugno. Il decreto semplifica il sistema di accertamento dell’invalidità civile, mette al centro la persona con i propri bisogni, desideri e aspettative e introduce il “Progetto di vita”. «Siamo davanti ad una svolta epocale nella presa in carico della persona con disabilità», dice la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli.
Epocale forse per una volta non è un aggettivo esagerato. Perché è una svolta storica?
È stato un percorso molto complesso ma accompagnato dal mondo associativo che si occupa di disabilità e che crede profondamente nel progetto di vita: le associazioni hanno lavorato molto con noi e le ringrazio tantissimo, sono state le prime a crederci e a capire che questo nuovo modello è l’unico che può garantire un cambiamento radicale di prospettiva, superando il mero assistenzialismo e investendo di più sulle competenze di ogni persona. Con il progetto di vita rendiamo davvero protagonista la persona, con i suoi desideri e non solo con i suoi bisogni. Gli enti e i servizi dovranno attivare ciò che il progetto di vita prevede. La sfida adesso è quella della conoscenza degli strumenti e della formazione.
“Persona protagonista” che cosa significa concretamente?
Mentre oggi le persone che hanno bisogno dei servizi devono bussare alle porte dei diversi enti – soggetti diversi per la parte sociale, sanitaria, di riabilitazione, scolastica e così via – con il progetto di vita invece la persona con disabilità è protagonista della commissione multidimensionale. Sono gli enti che si riuniscono attorno alla persona, sono gli enti a doversi mettere tutti attorno a un tavolo: lì, a partire dai desideri e dalle preferenze della persona così come previsto dalla Convenzione Onu attivano immediatamente e direttamente quei servizi che si è deciso di inserire nel progetto di vita. Come previsto dalla legge 227/2021, si tratta di uno strumento che tiene insieme tutti gli aspetti della vita quotidiana e che, quindi, ricomprenderà tutti gli altri progetti individuali, dal PEI scolastico al progetto di vita per il dopo di noi a quello che era il piano individuale previsto dalla Legge 328/2000. Sarà qualcosa di molto più integrato e completo perché tiene conto anche del contesto di vita, della dimensione territoriale, di tutto quello che si sviluppa intorno alla persona, per esempio anche nell’ambito ricreativo e sportivo. Insomma, è proprio un progetto di vita integrato e concreto, perché si considera il fatto che la vita di una persona è fatta di tante aree di intervento. Non è sempre facile scardinare le rigidità burocratiche all’interno degli uffici istituzionali, ce l’abbiamo messa tutta per far sì che tutti gli aspetti, compresa la dimensione della salute, siano parte integrante del progetto di vita.
Accennava alla dimensione territoriale. Spesso (e in particolare in materia di inclusione) abbiamo leggi bellissime che poi però fanno fatica a trovare attuazione sui territori. Cosa avete previsto su questo?
Proprio perché questo è un cambio epocale, che va a scardinare prassi e atteggiamenti consolidati da tantissimi anni, è chiaro che deve esserci un’attuazione progressiva e un accompagnamento. Innanzitutto serve tanta formazione, poiché occorre raggiungere in modo capillare tutti coloro che, a vario titolo, operano sul territorio nella presa in carico della persona con disabilità. L’attuazione poi partirà con una sperimentazione dal 1° gennaio 2025, in nove province. Abbiamo elaborato un piano didattico per la formazione in modo da dare attuazione concreta alla norma nei territori e per ogni provincia ci saranno alcuni esperti di riferimento del ministero che seguiranno direttamente l’avvio della sperimentazione. La formazione arriverà ai singoli comuni e ambiti territoriali, in collaborazione con Anci. Ma ci sarà una collaborazione anche con il ministero dell’Università e della Ricerca affinché le figure professionali più interessate dal progetto di vita acquisiscano le competenze necessarie: penso agli educatori, agli assistenti sociali, agli psicologi, agli infermieri, ai medici di medicina generale. L’ordine dei medici, per esempio, si è già dotato di un “gruppo disabilità” proprio per fare formazione al proprio interno su tutto il nuovo approccio. Ecco, io spero proprio che quello che stiamo portando avanti con questa riforma e con il Progetto di vita stimoli tante reazioni, per generare quel cambio di sguardo che oggi in Italia deve esserci ma che non può essere determinato solo dalla legge o solo dalle risorse, devono essere i singoli a volerlo.
È un cambio epocale, che va a scardinare prassi e atteggiamenti consolidati. Per questo partiamo da un grande piano di formazione
Su altre riforme – penso in particolare alla riforma degli anziani e della non autosufficienza – la società civile operativa nel settore è stata molto delusa dal provvedimento finale. Sulla disabilità, tema certamente non facile, c’è stato invece sempre grande sostegno e soddisfazione. Che cosa ha fatto la differenza?
Sono due riforme in partenza, entrambe importantissime. Questi cambiamenti richiedono tantissimo tempo e proprio i temi che riguardano la disabilità e il sociale spesso sono meno attenzionati. Sono convinta che questo sia il momento giusto per far vedere quanto si possa fare quando ci crediamo e che davvero si possano cambiare le cose. Il mio punto di forza è stato l’avere un gruppo di lavoro molto coeso e l’aver lavorato sempre, fin dall’inizio, insieme al mondo associativo.
Il mio punto di forza è stato l’avere un gruppo di lavoro molto coeso e l’aver lavorato sempre, fin dall’inizio, insieme al mondo associativo
L’attuazione del progetto di vita è sostenuta dal budget di progetto. L’articolo 28 parla esplicitamente di “flessibilità” e “dinamicità” del budget di progetto e si prevede che la stessa persona con disabilità possa anche autogestirlo. L’articolo 26 invece precisa che nel progetto di vita, proprio perché è personalizzato, non si devono solo prevedere solo le misure, le prestazioni ed i servizi già disponibili sul territorio, ma si può anche prevederne altri, anche “atipici”, anche non previsti dal catalogo delle ordinarie unità di offerta. Per esempio l’attivazione di un trasporto extraurbano per uno studente universitario con disabilità che necessita di un accompagnatore può essere inserito e attuato (è un esempio citato nella relazione illustrativa) utilizzando in maniera integrata la risorsa strumentale (il pulmino dell’università), la risorsa umana (l’autista volontario di un ente di Terzo settore), la risorsa economica (il contributo erogato dall’ente locale per contrattualizzare un’assistente personale), in un modello che supera i rigidi steccati di competenza tra amministrazioni. Ora, è vero che l’attuazione del progetto di vita non deve determinare maggiori oneri per la finanza pubblica, ma il legislatore – si legge nella relazione tecnica – ha considerato che le nuove previsioni potranno condurre all’attivazione di interventi, prestazioni e sostegni ulteriori che attualmente non sono contemplati negli schemi di offerta dei servizi e quindi all’articolo 31 ha istituito un “Fondo per l’implementazione dei progetti di vita” con una dotazione di 25 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025 che servirà per garantire che nei progetti di vita sia possibile anche l’attivazione di interventi, prestazioni e sostegni oggi non rientranti nelle unità di offerta del territorio di riferimento. Una scelta molto interessante, innovativa e coraggiosa.
Il cuore culturale del decreto sul progetto di vita è la necessità di superare le logiche “a silos” che riguardano l’estrema frammentazione tra i temi sanitari, sociosanitari e sociali. Noi oggi ci mettiamo in un punto di vista differente. Il fondo da 25 milioni annui è un modo per sostenere economicamente gli interventi che sui territori si fa fatica ad attivare immediatamente proprio perché stiamo parlando di un ribaltamento della prospettiva. Si tratta di un passaggio tecnico ed economico che consente l’implementazione dei “Progetti di vita”. Non c’è un “catalogo” di “prestazioni atipiche” che questo fondo andrà a finanziare, si tratta invece dello sviluppo di una logica di collaborazione in équipe multidimensionale per trovare le risposte più adeguate ai bisogni di ogni persona. È anche uno stimolo per lavorare insieme alle risposte. Io credo che il “progetto di vita” possa essere lo strumento giusto per incoraggiare anche un dialogo e un “fare le cose diversamente” che spesso chi lavora in prima linea ricercava ma che non sempre riusciva a realizzare proprio perché mancava lo strumento per farlo.
Spesso ci diciamo che le cose non funzionano perché i diversi enti lavorano a silos… ma spesso sul campo c’è la voglia di fare le cose diversamente, però finora mancava lo strumento. Io credo che il progetto di vita sia lo strumento giusto
Mentre questo decreto arrivava in Gazzetta Ufficiale, in Lombardia – la sua regione – arrivavano alle famiglie le lettere che confermano la riduzione del contributo per i caregiver e le “liste d’attesa” per accedere alle misure B1 e B2. Non si può fare qualcosa?
La Lombardia è una delle regioni meglio strutturate, che eroga più risorse e che riesce a elaborare piani efficaci. Il Piano Nazionale Non Autosufficienza è di competenza del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e il prossimo anno inizierà la stesura del nuovo piano triennale. È chiaro che stiamo affrontando numeri sempre crescenti di persone con disabilità e non autosufficienza e che quindi sarà necessario per tutte le regioni una riflessione anche sull’organizzazione e l’implementazione dei servizi. Il “progetto di vita” stesso ci dice quanto sia importante per la persona con disabilità e per le famiglie poter avere a disposizione non solo delle risorse economiche – che comunque sono importanti – ma anche poter avere la giusta assistenza. Penso per esempio al tema del sollievo, che richiede la disponibilità di enti o associazioni sul territorio che possano prendersi cura della persona con disabilità quando questo viene richiesto dalla famiglia. Mancano ancora servizi diffusi di questo tipo, che possano essere di supporto anche nei momenti di emergenza. Questo è certamente un tema, ma ci sono tanti altri servizi che devono essere pensati e implementati, come per esempio la possibilità di disporre di maggiori progetti per l’autonomia della persona, non solo attraverso il “Dopo di noi”, ma anche nella quotidianità del “Durante noi”. Su questo posso dire che è attivo un tavolo che sta lavorando a una proposta di modifica della legge 112 del 2016.
Quando arriverà questa proposta di modifica alla legge sul dopo di noi?
Il gruppo di lavoro ha terminato i suoi incontri e sta scrivendo una relazione per proporre delle modifiche alla norma: questa proposta sarà portata all’attenzione mia e del ministro Calderone per essere valutata.
Foto Mauro Scrobogna/LaPresse
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