Riscoperte
Luca Pacioli: cosa c’entra un frate francescano del XVI secolo con noi?
Nell’Evangelii Gaudium, l’esortazione apostolica di cui ricorre proprio in questi giorni il decennale, Papa Francesco ricorre a un’immagine, moderna e ipermoderna al tempo stesso: il poliedro. Una mostra dedicata a Luca Pacioli, frate umanista e matematico spiega perchè il poliedro pone le basi di una riconfigurazione dell'etica economica e sociale
di Marco Dotti
Quando la realtà ci sfugge abbiamo bisogno di idee. Ma quando anche le idee ci confondono è a un’immagine che dobbiamo richiamarci. Nell’Evangelii Gaudium, l’esortazione apostolica di cui ricorre proprio in questi giorni il decennale, Papa Francesco ricorre a un’immagine, moderna e ipermoderna al tempo stesso: il poliedro. Il modello per leggere la realtà non è la sfera, si legge in E. G., 236. La sfera, infatti, «non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità». Se il tutto è solo la somma delle parti, non c’è nessuna possibilità di definire un bene comune o un’etica civile che trascenda il contingente.
La figura del poliedro, in quest’ottica “civile”, a cavallo tra quattro e cinquecento divenne la chiave operativa di una figura influente ed enigmatica: francescano, concittadino e allievo di Piero della Francesca, amico di Leonardo – che disegnò per il capolavoro pacioliano, il De Divina proportione, stampato nel 1509, una serie di celeberrimi poliedri – Luca Pacioli fu protagonista di un tentativo di riforma dei saperi che puntava a rovesciare il rapporto tra conoscenza e pratica, tra etica ed economia. Nella conoscenza e nella divulgazione del sapere matematico e scientifico, Pacioli vedeva una grande possibilità di inclusione del mondo delle pratiche (artigiani, mercanti, etc) nel piano di una riflessione sul senso profondo del fare. Nel sapere pratico, ossia nel mettere le mani tra le cose del mondo, Pacioli vedeva la possibilità di agire eticamente nel mondo.
Nato a Borgo Sansepolcro nel 1446, in seguito a un ex voto era entrato nell’ordine dei frati minori di San Francesco e aveva iniziato a viaggiare lavorando come precettore, esperto di matematica mercantile e contabile. Nel 1494, quando diede alle stampe la Summa de arithmetica, vero e proprio manifesto di un progetto culturale e spirituale che è al cuore della mostra La Proporzione aurea. Un viaggio tra emozioni, armonia e conoscenza, organizzata nell’ambito del progetto Relazionésimo e aperta fino al 10 dicembre nella prestigiosa cornice della Basilica Palladiana di Vicenza, Pacioli era oramai tra i matematici più affermati del suo tempo. Leonardo da Vinci, «omo sanza lettere», che non conosceva il latino e non aveva quindi accesso al sapere matematico “colto” dell’epoca, ne acquistò una copia per 119 soldi al fine di studiare i «segreti» del calcolo. L’ampia diffusione, grazie alla recente invenzione della stampa a caratteri mobili, la sua redazione in volgare, anziché in latino, e l’impostazione didattica originale ne hanno fatto uno dei testi più influenti nella storia del pensiero scientifico, ma anche economico e organizzativo.
Il Tractatus de computis, che compone parte della Summa, è infatti la prima edizione a stampa a riportare una descrizione della contabilità, in particolare del metodo della partita doppia. Metodo ritenuto dal Pacioli fra i requisiti fondamentali per diventare un buon mercante, oltre al possedere capitale da investire e all’essere «buon ragionieri e prompto computista» e, come presupposto etico del “mercatare”, avere – così scrive Pacioli – «sempre Dio e il tuo prossimo davanti agli occhi».
Per Pacioli ogni intrapresa economica è sociale o non è. Non tenendo Dio e il prossimo come coordinate di riferimento, infatti, il mercante tradirebbe la liceità del proprio operare e perderebbe la sua vera bussola: il senso del tutto esemplificato nell’immagine del poliedro. Come si legge ancora in Evangelii Gaudium «la vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita» (203). Spiega l’economista Luigino Bruni che «Pacioli fu prima di tutto un grande umanista, non solo un matematico, per questo il suo passaggio nel mondo della contabilità d’impresa fu decisivo per dare dignità a quei libri di uomini pratici, sistematicità e rigore». In questo equilibrio tra pratica dell’intrapresa e spirito della comunità, accostando al dare e all’avere ciò che è dovuto a «messer Domineddio» – ossia una socializzazione dell’utile – Pacioli gioca le basi di una concreta riconfigurazione dell’etica economia e sociale in chiave moderna. Anche il commercio e l’attività mercantile, se orientate al senso del tutto, aveva d’altronde predicato un altro grande attore del quattrocento italiano, Bernardino da Siena, possono essere fonte di dialogo e relazione, anziché di conflitto.
L’economia non è solo motore di guerra, ma di pace se concretamente orientata. Se orientata al senso, predicava il santo nel quaresimale fiorentino del 1424 nella Chiesa di S. Croce, quest’attività «sarà cagione che messer Domenedio ci scamperà da guerra, pistolenza, fame, da’ lupi rapaci, cioè dalle mani de’ tiranni e signori del mondo, e d’ogni male».
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