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Ma la valutazione educativa non ha bisogno di autorizzazioni

Il liceo Morgagni di Roma dal 2016 ha una sezione senza voti. Ora il collegio docenti ha votato la retromarcia. Il prof Corsini, uno dei massimi esperti di valutazione formativa, dice che «è una bufala dire che "chiude il liceo senza voti". Non è necessario chiedere un’autorizzazione a dirigenti o colleghi per praticare in itinere una valutazione di tipo descrittivo. I voti hanno successo perché non mettono in discussione la didattica, ma se la valutazione centrata sui voti funzionasse, non staremmo qui da decenni a cercarne un'altra»

di Sara De Carli

I docenti si sono divisi a metà: 37 a favore dello stop e 36 contrari. Così al liceo Morgagni di Roma si è fermata la sperimentazione della “scuola senza voti” avviata nel 2016, che prevedeva giudizi invece dei voti numerici, verifiche e interrogazioni ridotte al minimo, molto lavoro di gruppo. “Scuola delle Relazioni e delle Responsabilità” era stata battezzata e puntava su un apprendimento sereno ed efficace: «ottenere il successo scolastico in una cornice serena e il più possibile priva di ansia. Ma, più in generale, l’obiettivo è quello di fare esperienza di una scuola capace di valorizzare e sviluppare al meglio il potenziale educativo dei giovani», si legge sul sito della scuola. Vincenzo Arte, il prof di matematica e fisica che lo ha ideato insieme ad alcuni colleghi, ha appena pubblicato un libro che racconta il successo dell’esperienza (Crescere senza voti, Mondadori) e i social si sono già schierati tra chi esulta per la retromarcia (pochi giorni fa peraltro la sottosegretaria Frassinetti ha detto all’Ansa che tornerà il voto numerico alla primaria e sostituirà il giudizio che era stato introdotto nella scorsa legislatura) e chi, deluso, accusa i prof di invidia nei confronti dei docenti che, con la sperimentazione, si sono guadagnati una ribalta nazionale.

A Cristiano Corsini, ordinario di Pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre, anima della pagina Facebook “Vanverismo pedagogico” e autore di La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto (Franco Angeli), abbiamo chiesto un giudizio spassionato (qui la sua intervista per VITA sul ritorno del voto in condotta).

Cosa è successo davvero al Morgagni di Roma e qual è la causa del cambio di direzione?

Intanto diciamo che non è affatto vero – come affermano alcuni titoli – che abbia chiuso “il liceo senza voti”. È stata votata a strettissima maggioranza la chiusura di una sezione in cui si praticava in itinere una valutazione di tipo descrittivo prima di assegnare i voti sulla scheda nel corso dello scrutinio.

C’è magari da contestualizzare questa scelta, al di là dei titoli?

Sì, credo che senza attenzione al contesto non saremo mai in grado di rilevare dinamiche più generali e sistemiche. In vent’anni di ricerca ho imparato che se vogliamo capire qualcosa di quello che realmente accade in una scuola dobbiamo confrontarci con quell’eterogenea molteplicità composta di studentesse, studenti, famiglie, docenti, personale ATA, dirigente. Sennò rischiamo di usare luoghi comuni e stereotipi triti e ritriti e banalizzare processi complessi.

Leggendo gli articoli non paiono esserci giudizi sul merito del metodo, si parla piuttosto di un aumento del carico di lavoro per i docenti: siamo ancora al fatto che la scuola troppo spesso fa scelte attente ai docenti più che agli studenti?

Al di là di alcune dichiarazioni, non è emerso alcun elemento relativo alla qualità e all’efficacia di quella che è stata definita “sperimentazione”. Ho letto un articolo in cui la dirigente avrebbe parlato di “studenti poco motivati che sceglievano quella sezione”, ma mi pare strano che abbia usato davvero queste parole. Un po’ perché mi sembra un giudizio troppo netto, un po’ perché credo che una comunità educativa debba essere orgogliosa di attrarre studenti poco motivati e lavorare per sviluppare in loro la voglia di apprendere!

Qual è la sua opinione sulla vicenda?

Non sono in grado di valutare questa vicenda perché non conosco le reali motivazioni dietro un voto che ha spaccato a metà il corpo docente di una scuola. Dobbiamo rispettare le persone e i contesti. So solo che non esiste alcuna legge che obbliga chi insegna ad assegnare un voto ogni volta che uno studente risponde a una domanda o fa un esercizio. Secondo la legge l’unico voto obbligatorio è quello della valutazione periodica e finale, ovvero quello sulla scheda di fine periodo (trimestre o quadrimestre) e poi a fine anno.

Non esiste alcuna legge che obbliga chi insegna ad assegnare un voto ogni volta che uno studente risponde a una domanda o fa un esercizio. L’unico voto obbligatorio è quello della valutazione periodica e finale. Non è necessario chiedere un’autorizzazione a dirigenti o colleghi

Cristiano Corsini

Chi dice che i voti sono obbligatori in itinere rivela un’ignoranza che possiamo tollerare se il soggetto non si occupa di scuola, ma che è ingiustificabile se riveste responsabilità di docenza o di dirigenza. In itinere, l’unica obbligatorietà è relativa all’attuazione di una valutazione informativa, tempestiva, partecipata e finalizzata al miglioramento. Una valutazione che mi sembra del tutto coerente con quella descritta nel prezioso libro pubblicato poche settimane fa proprio da Vincenzo Arte sull’esperienza del Morgagni. Voglio ricordare che stiamo parlando sia della libertà di chi insegna sia del diritto di chi apprende: ogni scuola fornisce indirizzi generali, ma non può certo obbligare un docente ad assegnare un voto a una determinata attività né può impedire che studenti, studentesse e famiglie abbiano informazioni dettagliate sul processo d’apprendimento. Non è necessario chiedere un’autorizzazione a dirigenti o colleghi per mettere in pratica una strategia didattica che già di suo è del tutto coerente con la normativa e che da decenni rappresenta una delle prassi educative più efficaci.

E sul fatto che pare esserci una intenzione di fare marcia indietro anche sulla valutazione con voti alla primaria, su cui abbiamo cambiato da pochissimo?

Non so quali saranno le scelte del Governo. La sottosegretaria Frassinetti sostiene che l’abbandono dei voti alla primaria è stato un fallimento: si tratta di un’opinione legittima, tuttavia non è sostenuta da alcuna evidenza e questo mi pare un bel problema. È vero, purtroppo, che il cambiamento non è stato minimamente sostenuto da investimenti per il monitoraggio, per cui non so su quali basi la sottosegretaria parli di fallimento. Io sono tre anni che svolgo ricerche su questo tema con centinaia di docenti di scuole primarie in giro per l’Italia e devo dire che quello che ho imparato lavorando sul campo sconfessa il parere di Frassinetti. La situazione non è affatto fallimentare, semmai è eterogenea. Ci sono scuole che hanno svolto o che stanno svolgendo un percorso formativo sicuramente impegnativo ma anche significativo. E ci sono scuole che invece hanno preferito limitarsi a sostituire i voti numerici coi livelli, cambiando tutto perché nulla cambiasse. Dove c’è stata una formazione partecipata, il passaggio dai numeri ai livelli non ha determinato confusione ma ha migliorato la qualità dei processi didattici. E allora l’ipotizzato passo indietro sarebbe uno schiaffo a quella parte della classe docente che in questi tre anni ha lavorato con impegno, sfruttando l’elemento più innovativo della legge – ovvero il legame tra livelli e obiettivi – per impiegare la valutazione come strumento di insegnamento e apprendimento condividendo con alunne, alunni e famiglie un percorso di crescita. Cambiare nuovamente genererebbe confusione, per tacere dello spreco di denaro investito sulla formazione.

I voti hanno successo perché non mettono mai in discussione la didattica

Cristiano Corsini

Intanto di valutazione educativa si parla sempre di più, con grande fermento: come tutti i metodi anche questo avrà dei punti di criticità da tenere sotto osservazione, che magari sono diversi da quelli che leggiamo ora nelle news. Quali sono? Perché vale comunque la pena cambiare?

Vale la pena cambiare perché sappiamo che la valutazione dominata dal voto tende a essere inaffidabile, poco chiara, iniqua e inefficace. Tende a produrre dispersione e a riprodurre le disuguaglianze di partenza. Se la valutazione incentrata sui voti funzionasse noi non staremmo qui a discutere di un altro genere di valutazione. Nel corso degli anni abbiamo imparato che invece la valutazione in itinere che funziona non si basa su voti ma su concrete indicazioni per migliorare le attività usando l’errore come risorsa e non come penalizzazione. Ci sono dei problemi? Sì. Il problema è che tutto questo si basa su una didattica attiva che responsabilizza studentesse e studenti e spinge a cooperare e non a competere. A me pare che i rischi maggiori siano legati alla difficoltà di mettere le proprie scelte didattiche alla prova dell’esperienza e modificarle quando necessario. I voti hanno successo perché non mettono mai in discussione la didattica.

Sappiamo che la valutazione dominata dal voto tende a essere inaffidabile, poco chiara, iniqua e inefficace. Tende a produrre dispersione e a riprodurre le disuguaglianze di partenza. Se la valutazione incentrata sui voti funzionasse noi non staremmo qui a discutere di un altro genere di valutazione

Cristiano Corsini

Un altro motivo del successo dei voti è legato al fatto che per fornire riscontri descrittivi servono competenze metodologiche non banali ed è meglio lavorare su tempi distesi: però noi viviamo in un paese che risparmia sulla formazione docenti e sulle strutture scolastiche, e un paese simile non può che preferire i voti alla valutazione educativa. È un patto scellerato tra ignoranza pedagogica e cinismo politico sulla pelle di docenti, studentesse e studenti. Vale la pena cambiare se davvero vogliamo una scuola migliore di quella attuale. Ciascuno si assuma le proprie responsabilità: spero che chi insegna decida consapevolmente come valutare e che studentesse, studenti e famiglie reclamino con maggior forza il diritto a una valutazione realmente educativa.

Foto di Kimberly Farmer su Unsplash


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