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Il voto in condotta? “Domare” non serve a nulla

Usare la valutazione come qualcosa che serva a controllare non impatta sui comportamenti degli studenti più marginali, anzi. Nè sui loro apprendimenti. Nella condotta e non solo è tempo di passare a una valutazione senza voti, che non è buonista ma al contrario ancora più rigorosa. Intervista al professor Cristiano Corsini

di Sara De Carli

Il ministro Valditara l’aveva annunciato da mesi e lunedì ne ha ribadito lo scopo: «la riforma del voto in condotta responsabilizza i ragazzi e restituisce autorevolezza ai docenti». Il decreto approvato il 18 settembre dal Consiglio dei ministri – per l’attuazione bisognerà attendere la conversione in legge – riporta il voto sul comportamento scolastico (la dicitura corretta è questa, non “voto in condotta”, benché l’espressione l’abbia usata anche il ministro nella sua dichiarazione) alla scuola secondaria di I grado, espresso in decimi: con un voto sotto il 6, lo studente non verrà ammesso alla classe successiva o all’esame di Stato. Alla secondaria di II grado invece con un voto in condotta pari a 6, lo studente non sarà promosso automaticamente, ma dovrà presentare un “elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale”, che sarà valutato dal consiglio di classe. Un 5 comporta invece la non ammissione all’esame di maturità. Solo chi prenderà 9 o 10 in condotta avrà diritto al massimo dei crediti che fanno media nel voto finale per la maturità. 

Fin qui il “cosa”. Ma come valutare questa (ennesima) rivalutazione del voto? Che voto dare al nuovo voto in condotta? Lo abbiamo chiesto a Cristiano Corsini, ordinario di Pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre, anima della pagina Facebook “Vanverismo pedagogico” e autore – fra tanti lavori sulla valutazione in campo educativo – del recentissimo La valutazione che educa (Franco Angeli, maggio 2023), un libro di campo fin dal sottotitolo: “liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto”. Uno che, studi ed evidenze empiriche alla mano, dice chiaramente che il voto numerico (sul comportamento ma non solo) non serve a nulla e anzi, andrebbe abolito, perché fa solo danni. Il voto, attenzione, non la valutazione: troppo spesso infatti confondiamo le due cose «al punto che – si legge a pagina 15  del libro – fuori e dentro le scuole per gran parte delle persone valutare senza voto equivale a non valutare». 

Professore, che cosa pensa delle novità sul voto in comportamento?

Dipende dall’obiettivo che si persegue. Se l’obiettivo è quello di lavorare sull’autodisciplina degli studenti e delle studentesse, sul rispetto reciproco, cioè se l’obiettivo è di natura educativa è chiaro che questa cosa non serve a nulla. Se invece si tratta di lisciare il pelo alla parte più retriva e pedagogicamente sprovveduta della popolazione, magari per guadagnare qualche consenso a costo zero fuori e dentro le scuole… allora l’operazione avrebbe certamente successo. Le due ipotesi sono queste: si tratta di essere onesti sull’obiettivo che si vuole raggiungere. Se davvero si vuole intervenire sulla costruzione di una comunità educativa che pratichi il rispetto, in tutti i sensi, è chiaro che la scelta di ancorare certi atteggiamenti, comportamenti e condotte a un premio o a una punizione è irricevibile dal punto di vista etico e pedagogico ed è destinata al fallimento.

Se davvero si vuole intervenire sulla costruzione di una comunità educativa che pratichi il rispetto, in tutti i sensi, la scelta di ancorare certi atteggiamenti, comportamenti e condotte a un premio e a una punizione è irricevibile dal punto di vista etico e pedagogico ed è destinata al fallimento.

Cristiano Corsini, ordinario di Pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre

Perché? Per l’esperienza o per la letteratura?

Entrambe. Perché l’abbiamo visto n volte, dal momento che non è la prima volta che il voto in comportamento viene introdotto o rivestito di particolare enfasi e in passato, quando è accaduto, non è che le cose siano andate meglio. Accanto a ciò, da 50 anni è dimostrato ampiamente che il voto non migliora i comportamenti, l’educazione, l’apprendimento ma che anzi genera tutta una serie di comportamenti negativi. Questo è un aspetto molto problematico del voto, perché il voto – e quindi la ricompensa o la punizione – tende ad avere un effetto più negativo proprio sui soggetti più fragili, che più che tendono ad emarginarsi. 

È dimostrato ampiamente che il voto non migliora i comportamenti, l’educazione, l’apprendimento ma che anzi genera tutta una serie di comportamenti negativi. Soprattutto negli alunni più fragili

Cristiano Corsini

Fra insegnanti e dirigenti alla fine dell’anno scolastico scorso mi è sembrata piuttosto diffusa una certa consapevolezza dell’inutilità per esempio del vecchio strumento della sospensione: sanzionare un comportamento sbagliato è necessario, ma è evidente che la sospensione da sola non basta. Su questo forse ora c’è una risposta. 

Il punto è che su queste cose occorre investire, sia dal punto di vista didattico sia da quello organizzativo. Serve una diversa formazione dei docenti, serve investire sulle strutture e sull’organizzazione: non si può pensare che con classi di 20-25-30 persone un insegnante sia in grado sempre e comunque di coinvolgere tutti gli individui. Il grosso problema è che dietro questa retorica della scuola come comunità, spesso non c’è nulla: dietro le parole non ci sono quegli interventi (che sono anche di natura economica) che dovrebbero spingere le scuole davvero ad essere un presidio sociale e culturale contro quella che viene più o meno correttamente definita “povertà educativa”.


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È chiaro che la marginalità fa paura, ma se vogliamo davvero che ogni individuo venga incluso e che quindi l’inclusione riguardi anche chi sta ai margini, anche gli adolescenti che arrivano a commettere atti violenti… per fare una cosa del genere servono investimenti. Se invece io dico “aumento le pene, chi non si comporta bene viene bocciato”, non risolvo nulla perché francamente a questi ragazzi non importa niente di essere bocciati. Veramente pensiamo che il problema sia quesro? O il problema è invece che loro non hanno costruito una relazione con se stessi e con gli altri che li spinge a responsabilizzarsi? Per costruire questa relazione però servono tempi e spazi e la scuola in questo momento raramente riesce a darli.

Se io dico “aumento le pene, chi non si comporta bene viene bocciato”, non risolvo nulla perché francamente a questi ragazzi non importa niente di essere bocciati. Veramente pensiamo che il problema sia questo?

Cristiano Corsini

Cominciano però ad esserci segni di cambiamento. In Alto Adige una legge provinciale ha abolito i voti sotto il 4, seguendo l’esempio di Austria e Germania, con l’idea che umiliare con un 2 non sia necessario. Tanti insegnanti si stanno formando alla valutazione educativa. A Parma il 7 settembre eravate in 450. Qual è quindi una valutazione “che educa”, come dice il titolo del suo libro?

Intanto non è una novità, non mi sono inventato nulla e non c’è nessun marchio registrato. Oggi, è vero, molti docenti avvertono l’esigenza di un cambiamento: avvertono che non possiamo continuare a usare la valutazione come qualcosa che serva a controllare, a domare… che è l’approccio più diffuso alla valutazione, un po’ perché c’è ignoranza rispetto allo sviluppo scientifico della pedagogia dell’educazione e della didattica, un po’ perché c’è una certa fiducia nel senso comune e si fa fatica del mettere le nostre abitudini alla prova dell’esperienza. Ma soprattutto perché molti insegnanti – in generale noi adulti – hanno la tendenza a usare sulle nuove generazioni la stessa dinamica violenta che noi abbiamo subito a scuola ai nostri tempi, perché quei metodi li abbiamo introiettati come se fossero naturali e non ricordiamo più quanto noi siamo stati male. Cioè noi siamo ancora convinti che sia possibile educare attraverso l’umiliazione, la coercizione e la violenza… ma queste cose generano solo un percorso di frustrazione. Tutti questi sono retaggi di una cultura violenta della scuola e di una pedagogia nera. La valutazione che educa invece è la possibilità di tornare su quel che abbiamo fatto senza penalità, senza togliere un punto, mettere 0, senza premi e senza classifiche ma con la mente e – aggiungo – anche col cuore libero per “utilizzare” al meglio quell’errore, quel momento in cui lo studente ha sbagliato. Intanto diciamo che lo studente che ha sbagliato si è assunto il rischio di sbagliare, ed è una cosa positiva: perché un compito in bianco, di solito, non è il compito di uno studente che non sa nulla, ma il compito di uno studente che ha paura di sbagliare. Però se noi non ci assumiamo il rischio di sbagliare, raramente impariamo qualcosa. Ecco, ci sono docenti e scuole che scelgono di usare la valutazione in maniera completamente diversa da come generalmente viene concepita e lo fanno usando non tanto altri strumenti, perché in alcuni casi le prove sono identiche… ma dando alle prove altre finalità. 

Quello che cambia non sono gli strumenti ma la finalità e la comunicazione della valutazione, che diventa un riscontro descrittivo: questa cosa l’hai fatta bene, su questa devi ancora lavorare, per migliorare dovresti fare questa cosa e quest’altra… In questo senso la valutazione diventa qualcosa di nuovo, non un fine ma un mezzo che sta tra l’insegnante e le studentesse e gli studenti ma anche tra le studentesse e gli studenti tra di loro perché autovalutano il proprio apprendimento. Diventa qualcosa di completamente differente. Dentro una scuola italiana che è ancora molto centrata su questa cultura cinica del voto come fine da raggiungere, in cui l’apprendimento non ha valore in sé ma solo in virtù del fatto che poi tu prendi un voto, hai una certa media, prendi il diploma… che svuota di senso tutto quel che a scuola facciamo e tutto quello che impariamo… Ecco che ci sono scuole e insegnanti che stanno sperimentando qualcosa di diverso: come sempre quando si fanno delle cose nuove, hanno bisogno di confrontarsi tra di loro e talvolta hanno bisogno pure di chiamare un pedagogista… ma mi chiamano sempre meno, sono bravissimi. 

Noi siamo ancora convinti che sia possibile educare attraverso l’umiliazione, la coercizione e la violenza… ma queste cose generano solo frustrazione. Sono retaggi di una pedagogia nera. La valutazione che educa invece è la possibilità di tornare su quel che abbiamo fatto senza penalità, con la mente e col cuore libero per “utilizzare” al meglio l’errore.

Cristiano Corsini

Studenti e studentesse stanno criticando con forza una scuola che punta in maniera così netta e quasi esclusiva su voti e competizione: perché prendere in carico questo tema, che guarda anche alle emozioni e al vissuto dei ragazzi non significa affatto declinare una scuola più buonista o che prepara “meno”? 

Non è vero, intanto perché noi abbiamo visto che chi usa la valutazione educativa ottiene migliori risultati. C’è proprio un evidenza empirica schiacciante, studenti e studentesse risultano meno stressati e contemporaneamente preparati meglio. Se ci pensiamo succede anche a noi adulti, non è una cosa strana: se al lavoro stiamo bene, lavoriamo di più e meglio.

Una valutazione che si pone come termine e come scopo non avverte il bisogno di esplicitare la propria ragion d’essere né di mettere alla prova dell’esperienza la propria efficacia. Questa modalità, nella sua autoreferenzialità, tende a inibire il posizionamento attivo dello studente rispetto alla valutazione del proprio apprendimento

Cristiano Corsini

C’è un secondo motivo, più tecnico e più specifico: la valutazione che educa è una didattica dell’errore, è un tipo di valutazione che non nasconde gli errori ma li ricerca in maniera rigorosa perché ha bisogno dell’errore, si nutre degli errori. Quindi mentre l’altra valutazione, quella del voto per il voto, a volte chiude un occhio sull’errore, per arrivare al 6 o per arrivare al 10, ecco che al contrario la valutazione che educa vuole vedere l’errore, perché per arrivare dove vuole arrivare ha bisogno innanzitutto di vedere dove siamo oggi. È una valutazione più rigorosa di quella basata sul voto e in questo percorso studentesse e studenti finiscono per apprendere molto di più.

L’Istituto tecnico “Saffi-Alberti” di Forlì, lunedì 18 settembre, ha ospitato la XXIII edizione di “Tutti a Scuola”. Hanno partecipato all’evento il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Ministro Giuseppe Valditara. Foto Ministero dell’Istruzione e del Merito su Flickr


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