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Migranti

Naufragio al largo della Libia: la colpa è di un sistema che svuota il Mediterraneo di umanità 

Ennesima strage lungo la rotta del Mediterraneo centrale: 61 migranti morti in un naufragio a largo della Libia, tra loro donne e bambini. I 25 i sopravvissuti sono stati portati in un centro di detenzione libico. «Una strage annunciata», dice Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato esperto di diritti umani e diritto d’asilo. «Questi naufragi chiamano in causa la responsabilità di chi chiude tutte le vie di ingresso legale, stipula accordi con autorità che non garantiscono una vera attività di ricerca e salvataggio, e tantomeno porti sicuri, ed allontana le navi del soccorso civile imponendo porti di sbarco sempre più lontani»

di Anna Spena

Sessantuno migranti morti, tra loro donne e bambini, solo 25 i sopravvissuti portati in un centro di detenzione libico. Erano partiti da Zwara, in Libia. Il gommone era già in avaria giovedì 14 dicembre, sabato il naufragio. La rotta del Mediterraneo Centrale si conferma la più pericolosa di sempre. Stando alle informazioni condivise da Flavio Di Giacomo, portavoce dell’organizzazione internazionale per le migrazioni – Iom, nel 2023, nel Mediterraneo centrale,  sono morte già 2.250.

Una strage annunciata

«Questa», spiega Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato esperto di diritti umani e diritto d’asilo, «è l’ennesima strage annunciata, nelle acque del Mediterraneo centrale, che ha comportato anche un respingimento illegale verso la Libia. Una strage che permette di scoprire una catena di responsabilità che da anni condanna a morte, o alla deportazione, chi cerca di fuggire verso l’Europa, persone che scompaiono in mare, e nel mare dell’indifferenza dei media e dell’opinione pubblica. I fatti sono documentati dalla cronaca, inattaccabile perché basata su rilevamenti e documenti ufficiali, raccolti dal corrispondente di Radio Radicale Sergio Scandura, una delle pochissime voci che non hanno mai smesso di denunciare le responsabilità delle centrali di coordinamento italiane e maltesi, dei relativi governi, di Frontex (agenzia europea della guardia di frontiera e costiera e delle istituzioni europee), che utilizzano la morte per omissione di soccorso in mare come strumento di deterrenza, con l’obiettivo dichiarato di dissuadere quanti si apprestano a tentare la traversata del Mediterraneo».

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«Persone disperate, molte donne, bambini che fuggono da conflitti sempre più crudeli e da territori dove la sopravvivenza è a rischio, che l’Occidente continua a sfruttare, per chiudere la porta in faccia a chi cerca la salvezza anche a costo di rischiare la vita in mare o nei campi di concentramento in Libia. Questa è l’immigrazione “illegale” che la Meloni, Rama, Sunak, i loro comprimari, le agenzie che controllano, e gli altri esponenti dei governi europei in guerra contro i migranti, vogliono combattere, per conquistare il più ampio consenso elettorale. Naturalmente tutti in nome della lotta all’immigrazione “illegale”».

Il Mediterraneo vuoto

Il barcone era stato segnalato, l’allarme diffuso. L’agenzia Frontex era a conoscenza della situazione e del pericolo imminente. L’imbarcazione era in distress. E nel punto del naufragio c’era stato un sorvolo di due velivoli Frontex. In queste condizioni, stando al regolamento numero 656 del 2014 dell’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, si sarebbero dovuti verificare due fatti: intervento immediato di salvataggio e sbarco per i naufraghi in un porto sicuro. «Stiamo svuotando il Mediterraneo», dice Vassallo Paleologo. «La nave Ocean Viking, dell’organizzazione umanitaria Sos Méditerranée, si trovava nei pressi di Lampedusa e nessun altra nave civile che pure transitava nel Mediterraneo centrale è stata coinvolta nelle operazioni di ricerca e salvataggio poi affidate al rimorchiatore Vos Triton. Il problema dei soccorsi mancati, o affidati ad autorità che non intervengono in tempo, o che non garantiscono porti sicuri di sbarco, come scelta politica di deterrenza delle partenze dalle coste nordafricane è dunque molto più ampio del ruolo residuale ancora giocato dalle singole ong presenti in quell’area». Il decreto Piantedosi sulle operazioni di soccorso in mare «consente», continua Vassallo Paleologo, «al governo italiano di allontanare le navi delle ong dopo il primo soccorso, anche se hanno raccolto in mare soltanto qualche decina di persone e potrebbero salvarne ancora centinaia, che invece vengono abbandonate al loro destino di morte. Ed è lo stesso decreto “anti ong” che consente alle autorità di governo di assegnare alle navi umanitarie porti di sbarco sempre più lontani, in modo da tenerle lontano per il maggior tempo possibile dall’area dei soccorsi a nord delle coste libiche e tunisine». Questa strategia è il frutto di una visione precisa: «Un espediente», spiega l’avvocato esperto di diritti umani, «che serve anche per trasferire sulle autorità libiche (e tunisine) attività di ricerca e salvataggio che, quando non si traducono in intercettazioni su imbarcazioni tracciate da Frontex, comportano ritardi ed omissioni di soccorso che sono costate la vita di migliaia di persone». 

La responsabilità collettiva 

Le condizioni meteo hanno aggravato la situazione del gommone già in distress, ma «questi naufragi non sono dovuti al maltempo», spiega Vassallo Paleologo. «Anzi chiamano in causa la responsabilità di chi chiude tutte le vie di ingresso legale, stipula accordi con autorità che non garantiscono una vera attività di ricerca e salvataggio, e tantomeno porti sicuri, ed allontana le navi del soccorso civile imponendo porti di sbarco sempre più lontani. Gli accordi stipulati con i libici servono proprio a scaricare tutte le responsabilità dei respingimenti collettivi e dei naufragi sulla sedicente Guardia costiera libica, ma la Centrale di coordinamento italiana, come quella maltese, agisce da tempo in stretto collegamento con le autorità di Tripoli e Frontex non può nascondere la sua collaborazione con i libici nelle attività di tracciamento delle imbarcazioni che attraversano il Mediterraneo centrale».


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E i naufraghi sopravvissuti che sono stati riportati in Libia? «Ancora più grave», chiosa Vassallo Paleologo, «che i superstiti, recuperati dal rimorchiatore Vos Triton, nelle acque internazionali della pretesa zona sar “libica” siano stati (de)portati nel porto di Tripoli e riconsegnati alle milizie libiche dalle quali erano fuggite, anche se ormai è noto a tutti il trattamento riservato alle persone migranti che vengono riprese in alto mare e ricondotte nei centri di detenzione dai quali sono fuggiti. Tutti dovrebbero rispettare il principio di non respingimento affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra che vieta la riconsegna di naufraghi soccorsi in acque internazionali ai libici. Che ad ogni soccorso e intercettazione in mare comunicano che i migranti “illegali” saranno presto rimpatriati nei Paesi di origine. Ma poi questi rimpatri non avvengono e le persone intercettate in mare finiscono nelle mani di bande di trafficanti e torturatori».


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