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Per sconfiggere “le economie della droga” serve un approccio educativo internazionale

C'è una connessione diretta fra il mancato sviluppo di molte realtà del Sud del mondo con lo strapotere dei criminali della droga. Come dimostra il caso di Haiti e di tanti altri Paesi in Africa e America Latina dove opera Missioni Don Bosco

di Antonio Labanca

La dimensione internazionale del consumo di droghe sfugge ordinariamente alla mera osservazione dell’impatto che ne registriamo per le nostre strade. O, meglio, abbiamo sicuramente la percezione dell’esistenza di una rete globale di produzione e distribuzione dei vari prodotti, ma siamo più colpiti dalla vista disturbante degli spacciatori sotto casa o dalle cronache locali che annotano tristemente crimini e decessi collegati al narcotraffico.

Sembra meno interessante per la nostra opinione pubblica considerare gli effetti – che le sostanze naturali o artificiali allucinogene seminano lungo il loro cammino – sulle persone implicate o involontariamente coinvolte nei Paesi di origine e di transito. Eppure, emergono di tanto le tante violenze nelle metropoli o le battaglie campali fra esercito e squadre armate, che sorgono dalla concorrenza per il controllo dei campi di coltivazione o dei laboratori di manipolazione delle molecole potenzialmente omicide.

Anche l’Onu attraverso il suo Ufficio contro la droga e il crimine evidenzia che «soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito, dove vive circa l’86% della popolazione mondiale, le sfide legate alla droga pongono difficili dilemmi politici. La questione non può essere affrontata da un solo Paese o regione». 

Quando si dice di “economie della droga” si intendono vaste regioni o intere nazioni investite dal fenomeno: preoccupa i governi che non solo tollerano ma affidano a questo particolare export l’equilibrio dei bilanci statali. Ci spaventa – giustamente – il calcolo che qualche potenza straniera può fare per erodere dall’interno la forza fisica e morale di un “nemico” mediante la costante infiltrazione nel suo territorio di sostanze allucinogene e distruttive dell’organismo. Come non pensare che la guerra finanziaria e commerciale si possa combattere anche indebolendo la popolazione del competitore? È l’interrogativo che può nascere ad esempio dall’allarme per il fentanyl che è stato lanciato in Italia recentemente dal Ministero della Salute, già prefigurato da VITA con un articolo di Paolo Manzo nel giugno dello scorso anno come “droga da supermercato”. La circolazione di questo oppiaceo di grande potenza e a costo concorrenziale avvicina molto il narcotraffico alla guerra biologica che ci preoccupa almeno quanto quella con i missili.

Il “terminale” costituito in Italia da Missioni Don Bosco, rispetto all’attività educativa e sociale svolta dai salesiani in 136 Paesi, segnala la contiguità stretta fra mancato sviluppo di molte realtà del Sud del mondo e lo spadroneggiamento dei criminali della droga. Il caso più eclatante è costituito da Haiti, dove si erge un nodo di smistamento dei carichi dal Sud a Nord America, il quale richiede l’assenza di un potere democratico che tenti di arginarlo. In queste settimane ce ne siamo accorti per l’impossibile equilibrio istituzionale nell’isola, dove un presidente “a tempo”, eletto dopo l’assassinio del suo predecessore, non può o non vuole indire le elezioni; ma la popolazione e il sistema amministrativo sono in balìa della delinquenza, organizzata e armata fino ai denti, dunque difficile pensare a votazioni regolari. Il consumo di droghe è l’olio che fa girare questa macchina dell’assurdo, dal momento che gli spacciatori vengono ingaggiati dall’offerta di qualche dose quale benefit per il “lavoro” che fanno, e i più violenti fanno carriera proteggendo il carico e scarico dal porto o dall’aeroporto della capitale.

L’eroismo dei missionari e di tanti operatori del sociale che resistono ad Haiti sta nel perseguimento di una normalità che consenta ai bambini e ai ragazzi di frequentare una scuola, di essere protetti nell’andare e nel tornare a casa. Che possano costruirsi un futuro affidato alle mani e all’intelligenza di un lavoro onesto. Un salesiano, don Attilio Stra, ultraottantenne, è fra quelli che resistono, ma condivide uno sfogo personale: «Siamo “tra coloro che son sospesi’” un brutto Purgatorio, ma per purgare cosa? La nostra grande scuola professionale Enam (la prima opera salesiana in Haiti nel lontano 1936) è occupata dai banditi, e il suo direttore, don Lex Florival, è stato picchiato e tenuto in ostaggio per tre settimane, liberato dopo aver pagato una grande somma. Anche il centro Lakay Don Bosco per i ragazzi di strada è occupato da bande armate. A Port-au-Prince è un inferno».

Come pensare di contrastare commercio e consumo di droghe in un contesto simile? Più che un esempio di intervento preventivo e di recupero, lo sguardo internazionale oggi segnala l’estremo limite al quale può arrivare la diffusione del fenomeno della tossicodipendenza.

Altri Paesi sono ampiamente incamminati su questa china: il Venezuela vede all’interno del governo consumatori assidui di sostanze, e le politiche che ne conseguono hanno il profumo di queste; l’Ecuador è la nuova piazza di partenza del narcotraffico, più accessibile perché il Paese non ha dimestichezza con il contrasto a questo: qui c’è un margine di difesa, se la situazione non precipita.

In Africa la droga serve ad aizzare le truppe irregolari a servizio di qualche interesse neocolonialista, per sfondare linee di demarcazione e per fomentare odii razziali, per impedire l’accesso ai civili in zone riservate allo sfruttamento economico.  Oppure è impiegata per costringere ragazze e ragazzi alla prostituzione, come accade in molti Paesi asiatici (e, non dimentichiamolo, in molta parte dell’Europa). Ci sono progetti (ad esempio in Sierra Leone) dedicati espressamente alle bambine sfruttate, per sottrarle alla tratta, e alle giovani, che possono acquisire competenze per un lavoro dignitoso attraverso corsi di avviamento. Nigeria, Gabon, Senegal, Costa d’Avorio, Repubblica democratica del Congo sono bloccati nel loro sviluppo anche dal crescente numero di giovani tossicodipendenti.

Ma parlare di droghe è un “lusso” in certe situazioni. In Perù i ragazzi inalano colle industriali e altri prodotti chimici volatili pur di stordirsi, per affrontare così il nulla di lunghe giornate; in Angola grattano i muri e bruciano la polvere che ne ricavano con la sola funzione di interferire con l’apparato respiratorio e, a catena, con quelli circolatori e cerebrali. Lo “sballo” è garantito.

C’è un intervento esemplare dei salesiani in Colombia. A Medellin, la città che ospita i cartelli più potenti del narcotraffico, sulla collina è attivo dal 2001 un centro “Don Bosco” che ha diversi obiettivi, tutti inerenti alla condizione di vita dei bambini e degli adolescenti, da chi non ha famiglia o vive in condizioni di miseria. Offre sostegno materiale e psicologico, con percorsi anche lunghi e per questo vissuti in modalità residenziale; imparano un mestiere per costruirsi un futuro sostenibile. Fra questi giovanissimi sono stati accolti, d’intesa con il governo, anche gli ex soldati ingaggiati in età scolare dalla guerriglia, ammantatasi in origine del titolo di “rivoluzionaria” e divenuta nel tempo la forza armata della “repubblica” della coca.  Il progetto ha avuto successo per decine e decine di ragazzi e ragazze che erano stati svuotati della loro personalità, costretti a non avere contezza della violenza subìta, la stessa che dovevano poi esercitare nei confronti dei nemici, anche della popolazione inerme ingabbiata nelle aree dei combattimenti. Nello stato precedente, la loro coscienza era condizionata da un sottoprodotto della lavorazione della coca da esportazione: il basuco, conosciuto popolarmente come “ladro di cervelli”. 

Accoglienza, offerta di alternative alla strada, oratori aperti giorno e notte, istruzione di base, formazione professionale. È la “formula” semplice ma l’unica da praticare da parte dei missionari se si vuole togliere alla diffusione alla droga la “ragione” di esistere. E poi – allo stesso tempo – sono attivi gli interventi di recupero psicologico e relazionale: i salesiani plasmano il loro intervento anche su questo aspetto, mentre il braccio di ferro con la criminalità richiede alle istituzioni interventi radicali, auspicando che queste siano meno corrotte o corruttibili.

Abbiamo dedicato un’inchiesta al consumo di sostanze, in particolare da parte dei giovani, nel numero di VITA magazine “Droga, apriamo gli occhi”. Se sei abbonata o abbonato a VITA puoi leggerlo subito da qui. E grazie per il supporto che ci dai.

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Foto di Kindel Media/Pexels


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