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Quali numeri per promuovere l’affido

Dopo l'approvazione del ddl che introduce disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento, la ministra Eugenia Roccella rassicura: «Nei due registri ci saranno solo numeri e dati anonimi, non chiederemo nulla di identificativo. L'obiettivo è avere un flusso di dati per impostare politiche più efficaci. Il nostro scopo è sostenere l'affido»

di Sara De Carli

bambino in maschera

Solo numeri e dati anonimi, nulla di identificativo, garantisce la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Maria Eugenia Roccella. Dalla conferenza stampa successiva al Consiglio dei Ministri del 26 marzo, in cui è stato approvato il disegno di legge che introduce disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento, sono arrivate parole esplicite di rassicurazione rispetto ai timori e alle critiche che la bozza di ddl aveva sollevato tra le associazioni, le famiglie affidatarie e le cooperative sociali che accolgono ogni giorno i circa 28mila minori fuori famiglia d’Italia (leggi qui).  

Esplicitato con parole chiare però anche l’obiettivo della norma: «tutelare i minori in affido, cercando di prevenire e contrastare i fenomeni di istituzionalizzazione impropria e gli affidamenti sine die», ha detto Roccella aprendo la conferenza stampa.

Nei due registri, solo dati anonimi

Nel “registro nazionale degli istituti di assistenza pubblici o privati, delle comunità di tipo familiare e delle famiglie affidatarie” istituito presso il Dipartimento per le politiche della famiglia, «i dati saranno abbastanza granulari, a livello di provincia, ma assolutamente anonimi, sono numeri, non c’è niente di identificativo», ha garantito Roccella. «Ovviamente per la costruzione del registro sentiremo il Garante della Privacy, ma già in partenza posso dire che non abbiamo alcuna intenzione di chiedere altro se non numeri, perché già i numeri ci dicono molto, ci permettono di capire i bisogni sul territorio. Numeri che le regioni e i Comuni già hanno ma che non arrivano al livello centrale e quindi è più difficile capire cosa succede e intervenire con politiche adeguate». Il secondo registro, quello che verrà istituito presso ogni tribunale per i minorenni e tribunale ordinario, raccoglierà «il numero dei minori collocati in istituti, comunità o famiglie affidatarie per acquisire un quadro unitario su tutte le fattispecie di allontanemento. Ci saranno dati per esempio sull’utilizzo della forza pubblica nel prelievo dei minori, sappiamo che ci sono stati casi di questo tipo ma non abbiamo i dati. Anche qui i dati rimarranno presso il Dipartimento della Giustizia minorile».

Per la costruzione del registro sentiremo il Garante della Privacy, ma già in partenza posso dire che non abbiamo alcuna intenzione di chiedere altro se non numeri, perché già i numeri ci dicono molto, ci permettono di capire i bisogni sul territorio

Eugenia Roccella, ministra per la famiglia

Obbligati a usare il termine “istituti”

E ancora: nessun errore o stranezza o retropensiero nell’uso del termine istituto. «Ci è stata fatta qualche critica perché abbiamo usato la parola “istituti”», ha detto Roccella. «Sappiamo perfettamente che gli istituti sono superati, ma la legge nazionale parla ancora di istituti, quindi questo è il termine che dovevamo per forza usare facendo un intervento su quella legge». Legge 184/1983 che però – basta andare a leggere il testo su Normattiva – parla serenamente in seguito alle modifiche apportate negli anni di “strutture di accoglienza”, “comunità di tipo familiare” e di “strutture o comunità pubbliche o private”.

I dati per sostenere l’affido: sì, ma quali?

Solo numeri aggregati e dati anonimi, dunque. «Vogliamo raccogliere un flusso di dati anonimizzati ma stabili, per impostare politiche più efficaci», ha detto la ministra Roccella. «Noi vogliamo sapere quante comunità ci sono, quante famiglie disponibili ci sono, quanti bambini fuori famiglia ci sono e cosa succede loro: una tracciabilità che ci permette di promuovere l’affido, perché questo è il nostro scopo fondamentale. Lo scopo è sostenere l’affido in una situazione di sempre maggiore difficoltà educativa e formativa delle famiglie, sostenere le famiglie in questo compito anche attraverso altre famiglie, come forma di solidarietà che una famiglia può avere da altre famiglie». Ben vengano numeri più precisi e tempestivi, il Gruppo CRC lo chiede da anni.

Vogliamo sapere quante comunità ci sono, quante famiglie disponibili ci sono, quanti bambini fuori famiglia ci sono: una tracciabilità che ci permette di promuovere l’affido, perché questo è il nostro scopo fondamentale

Eugenia Roccella

Ma perché allora invece di essere a doppia firma con il ministro Nordio, nel ddl non è stato coinvolto il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali? È il soggetto che fino ad oggi ha prodotto il report di monitoraggio sui minori fuori famiglia: con tempi di analisi lunghissimi rispetto al dato raccolto, fornendo una fotografia già vecchia nel momento in cui esce, poco utile a leggere la situazione attuale e quindi a mettere in campo politiche più adeguate, d’accordo, ma di fatto un impianto esistente. Né si capisce come si possa mettere in piedi un sistema più efficace di raccolta dati senza metterci delle risorse.  

Per sostenere l’affido con i dati infatti, diciamoci la verità, serve ben di più che conoscere il numero complessivo degli individui e delle famiglie disponibili all’affido. Lo spiegava Paola Ricchiardi, professoressa di Pedagogia sperimentale all’Università di Torino, alla vigilia del convegno organizzato dal Tavolo Nazionale Affido il 4 maggio 2023 alla Camera dei Deputati, per celebrare i quarant’anni dell’affido: la sua relazione era proprio lo “stato dell’arte dell’affido nei numeri” ma – dichiarava – «nessuno sa dire quanti siano i minori che hanno vissuto un’esperienza di affido in questi 40 anni, né quante siano le famiglie affidatarie. I dati sui minori fuori famiglia vengono raccolti nella forma che conosciamo oggi solo dal 1998/99 e comunque i dati presentati così, in maniera aggregata, ci aiutano poco: pur mantenendo l’anonimato ci servirebbe avere dati che raccontino le traiettorie di vita dei minori, sapere dove è stato il bambino prima dell’affido, dove va quando l’affido termina. È l’unico modo per fare delle correlazioni, comprendere le dinamiche, migliorare l’efficacia dello strumento». Ed evidentemente qualche risorsa, se si volesse fare un lavoro di questo tipo, andrebbe messa.

Foto di Jessica Rockowitz su Unsplash


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