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Cooperazione & Relazioni internazionali

Ralph, l’eterno outsider adesso va in salita

Nader ci riprova l’ex paladino dei consumatori, convinto pacifista, a 70 anni si ricandida contro Bush e Kerry.

di Bernardo Parrella

Ralph Nader ci riprova. A novembre si presenterà nuovamente come candidato alle presidenziali statunitensi. Stavolta come indipendente, anziché come rappresentante dei Verdi, con l?obiettivo di “unirsi a tutti gli americani che vogliono dichiarare la propria indipendenza dal controllo e dal crescente dominio delle corporation”, come riporta il comunicato stampa che il 22 febbraio ne annunciò la candidatura. Opzione inevitabile, sostiene ancora Nader, per offrire a tutti “una scelta alternativa all?attuale duopolio nella corsa presidenziale”. Un duopolio politico che ha ripetutamente dimostrato di non volersi aprire alla discussione pubblica sulle questioni cruciali per il futuro della nazione: l?economia arrancante e la recente escalation della guerra in Iraq. Ne consegue la necessità di un “dibattito nazionale”. Un sito implora: non correre Posizioni nette e finalità precise, dunque, quelle rilanciate dallo storico pioniere dell?attivismo pro consumatori, nonostante i 70 anni appena compiuti. Eppure, non così la pensa il variegato fronte liberal-progressista, memore degli equivoci suscitati nel 2000 e apprensivo per l?attuale scenario politico. Basti citare le prime, decise opposizioni manifestate all?indomani di quell?annuncio ufficiale: gli editoriali del settimanale liberal più seguito, The Nation, dettagliano i motivi per cui la candidatura risulterebbe dannosa e inopportuna proprio per quegli interessi pubblici che Nader va sostenendo; una lettera aperta sottoscritta da una quindicina di gruppi sostiene che l?ultima volta la sua presenza ha portato all?elezione “dell?amministrazione più distruttiva della storia”; Ben Cohen, già contitolare del famoso gelato Ben&Jerry e uno dei maggiori contributori alla campagna di quattro fa, ha inviato circa 40mila email implorando Nader di rinunciare. E il sito www.ralphdontrun.net (che significa “Ralph non correre”) si apre spiegando i pericoli della sua riapparizione e lanciando l?invito a non votare Nader (“don?t vote Ralph”) per unirsi invece alla Progressive Unity Campaign. Se ancora non bastasse, ecco le riserve dei Democratici, per i quali la candidatura Nader potrebbe frapporsi nuovamente alle possibilità di strappare la Casa Bianca (e il Congresso) dalle mani dei Repubblicani. Già, come dimenticare lo scenario surreale seguito alle drammatiche elezioni del 2000, quando Nader ottenne 97mila voti in Florida, laddove George W. Bush riuscì a battere Al Gore per una manciata di preferenze, appena 537, dopo interventi giudiziari, riconteggi e polemiche. Ma il punto, sottolineano i critici, è che la storia pare ripetersi. I sondaggi di metà marzo danno Bush e Kerry sostanzialmente alla pari, con Nader possibile ago della bilancia, al 4-6%. Finanche maggiore lo scarto tra gli elettori al di sotto dei trent?anni: un fresco sondaggio di Newsweek GENext assegna a Nader un buon 12%. L?incubo di Nader punirà nuovamente le speranze dei Democratici, allora? “Isteria pura”, ribatte il consumer-advocate per antonomasia. “Ecco un partito che vuol fare di me il capro espiatorio delle proprie incapacità”. E che dire del quarto di milioni di voti democratici della Georgia passati a Bush? Della campagna inefficace di Al Gore? Oppure dei voti presi da Harry Browne (candidato del Libertarian Party), Patrick Buchanan e Ross Perot? Questi i fattori centrali della sconfitta Democratica del 2000, altro che la sua presenza, insiste Nader, per il quale votò invece un buon 25% dell?ala conservatrice. Ecco allora il rinnovato appello ai “100 milioni di cittadini che in questo Paese non vanno a votare”, agli attivisti che vogliano dire ?no? a un budget militare spaventoso (400 miliardi di dollari), ai cittadini ignorati dalle agenzie pubbliche ormai al soldo delle grandi corporation. Appelli che però sembrano ottenere tiepidi riscontri perfino dal mondo non profit. Spiega Michael Parenti, noto autore e analista politico della Bay Area di San Francisco: “Tutto quel che Nader dice sull?influenza della corporate America è vero. Credo che la sua partecipazione sposterà ulteriormente il centro della gravitazione politica verso sinistra. Ma anche se nel 2000 ho votato per lui, stavolta non lo rifarò. Davanti a un nemico molto pericoloso, l?amministrazione Bush, occorre creare ampie coalizioni politiche… Ammiro Nader e lo considero un amico, ma credo che la sua presenza non sia quello di cui abbiamo bisogno ora”. Diversa l?opinione di Winona LaDuke, l?attivista per i diritti dei nativi americani già nel ticket Verde del 2000 come vicepresidente: “Fa bene a presentarsi. Siamo in una democrazia, chiunque dovrebbe potersi candidare. Se non ci piace, non lo votiamo”. Su una simile posizione si schiera la newsletter politica CounterPunch che in un ficcante editoriale online (Brandy Baker: Is Nader on to Something?) sostiene tra l?altro che la candidatura Nader potrebbe rivelarsi cruciale nel superamento della “estrema polarizzazione di classe in atto”. Chiedere tuttavia in simili ambiti qualcosa tipo “Ma così non si rischia di far vincere Bush e continuare la guerra?” appare la domanda sbagliata. Non perché non sia potenzialmente vero (tutt?altro) quanto perché la faccenda bellica è estremamente complessa. Certo: con John Kerry incapace (e disinteressato) a fornire alternative concrete su questa e altre questioni bollenti, Nader potrebbe rivelarsi pungolo più che positivo. Anche perché è l?unico a dichiarare netta opposizione, chiedendo a gran voce “l?impeachment di Bush per aver trascinato l?America in una guerra basata su bugie e disinformazione”, nonché il rapido ritiro delle forze Usa per essere sostituite da un contingente internazionale proseguendo al contempo l?aiuto umanitario nella ricostruzione dell?Iraq (si veda il sito della campagna Nader for President 2004). Neppure mille elettori Ma il punto è che al momento il movimento pacifista e non profit rischia davvero ulteriori, pericolose frantumazioni. Pur senza voler arrivare al panico di certa ?intelligentsia? liberal, la fluidità dell?attuale scenario non sembra offrire grosse speranze per l?auspicato consolidamento del fronte anti guerra. Nel frattempo Nader deve anche vedersela con l?imperante media monopoly, scommessa non da poco pur nell?era di internet e dei blog. Dovendo farsi sentire da nuove fasce d?elettorato, alla campagna Nader occorrono decine di milioni di dollari: obbligatorio il ricorso alla colletta generale, con il sito che incita a mettere insieme almeno 20mila dollari per coprire le spese di viaggio più immediate. Senza contare che, ultima nota dolente, la scelta di presentarsi come indipendente comporta la raccolta di decine di migliaia di firme in più rispetto alla candidatura Verde. E in tal senso non è affatto detto il suo nome riuscirà ad essere sul ballot di tutti i 50 Stati come promesso. In Oregon, Nader non è riuscito a far radunare in un unico evento le mille persone necessarie per apparire, a norma di legge, sulle schede dello Stato. In alternativa, vanno raccolte 15mila firme nei prossimi tre mesi. Ma a oltre sei mesi dalle presidenziali, tutto, e il contrario di tutto, può ancora succedere.


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