Economia

Se potessi avere dieci euro al mese

Dal 2026 il governo tedesco ogni mese verserà 10 euro a tutti i bambini e i ragazzi dai 6 ai 18 anni. Si chiama Frühstart Rente e servirà ai giovanissimi per costruirsi una pensione integrativa, oltre che per educarli al risparmio. Una paghetta di Stato o un'operazione da copiare? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Azzi, presidente della Fondazione Tertio Millennio

di Sara De Carli

bambino con salvadanaio

Dieci euro al mese: tanto il governo tedesco verserà a tutti i bambini e i ragazzi dai 6 anni e fino ai 18, a partire dal 2026. Si chiama Frühstart Rente  ed è un bonus che i genitori dovranno investire in un piano di risparmio azionario che resterà vincolato fino all’età della pensione. Due gli obiettivi dichiarati: educare alla necessità di costruirsi una pensione integrativa (dandovi però anche un contributo, seppur piccolo) e spingere all’investimento, in un Paese che – dicono tutti gli analisti – storicamente predilige la tranquillità dei libretti bancari. Lo stesso cancelliere Friedrich Merz ha spinto su entrambi i versanti: quello educativo («i bambini devono imparare che accantonare anche somme minime può fare la differenza») e l’urgenza di un cambio di passo nelle politiche previdenziali: «La sicurezza del futuro non può più poggiare soltanto sullo Stato», ha detto. Una “paghetta di Stato” o un’idea a cui ispirarsi, per provare comunque in qualche modo a fare un passo in più oltre alla litania delle analisi preoccupate per l’inverno demografico e l’impatto che esso avrà sulla tenuta del sistema pensionistico e del welfare? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Azzi, presidente della Fondazione Tertio Millennio, l’organismo delle Banche di Credito Cooperativo impegnato in attività di solidarietà sociale in Italia e all’estero, nonché di alfabetizzazione finanziaria cooperativa e mutualistica.

Dieci euro al mese per dodici anni fa 1.440 euro: bastano per ambire a realizzare l’obiettivo dichiarato di costruire una pensione integrativa o – come ha osservato il Wall Street Journal – il piano di Merz «sembra più un esperimento pedagogico che una vera rete di sicurezza», costoso per le casse dello Stato ma con poco impatto sui singoli?

Prima di tutto vedo nell’iniziativa un obiettivo e un valore di carattere educativo e culturale, nel senso di avvicinare sin dalla giovane età i ragazzi all’uso responsabile del denaro e alla previdenza: questo certamente è un obiettivo meritorio, che potrebbe venire in buona parte conseguito. Evidentemente c’è anche un obiettivo di alleggerire il peso delle pensioni sulle finanze pubbliche, in reazione al calo nascite, e la necessità di avere un contributo privato a mantenere in equilibrio il sistema previdenziale. Già oggi circa un quarto del budget federale tedesco, circa 117 miliardi di euro, viene utilizzato per coprire il deficit della previdenza.

Ma basterà? Qualcun ha stimato che questi 1.440 euro potrebbero valere – quando questi ragazzini arriveranno all’età della pensione – 65mila euro.

Non mi avventurerei in previsioni di alcuni tipo, su questo piano. Certamente è un seme e come ogni seme per diventare un albero rigoglioso ha bisogno di trovare un terreno fertile. Nulla impedisce, per esempio, che questi dieci euro al mese versati dallo Stato vengano integrati dalle famiglie.

Insomma, idea promossa?

A volerlo cercare il pelo nell’uovo si trova facilmente, ma l’operazione mi sembra abbia molti più connotati positivi. Di educazione finanziaria c’è un grandissimo bisogno ed è qualcosa che fa bene a tutte le età: non è mai troppo presto per riflettere al riguardo. La spinta all’uso responsabile del denaro per costruire la previdenza è particolarmente apprezzabile. E non è vero che le iniziative “piccole” non lasciano il segno: io ricordo che quando ero bambino mi era stata donata una casettina di metallo della allora Cassa di risparmio delle provincie lombarde, che nella sua semplicità era un invito a riflettere sull’uso responsabile del denaro e sull’utilità del risparmio. Sono cose che si ricordano.

Cosa le lascia dei dubbi, invece?

L’obbligatorietà di investire quei soldi in azioni, perché le azioni per natura sono uno strumento volatile e ad alto rischio. Vero è che i risparmiatori tedeschi, come quelli italiani, si caratterizzano per prudenza negli investimenti, accettando rendimenti certi ma bassi: questo obbligo potrebbe scuotere un po’ i comportamenti, andando a creare un mix di scelte. Però obiettivamente non so fino a che punto sia opportuno spingere i giovanissimi a interessarsi dell’andamento del mercato azionario in un’età in cui non lo possono fare con consapevolezza. Tra i nei c’è anche l’aspetto della svalutazione.

Alessandro Azzi, presidente della Federazione Lombarda delle Bcc e della Fondazione Tertio Millennio

Se il valore del progetto tedesco sta soprattutto nella sua dimensione di operazione culturale, in Italia come siamo messi? Ovviamente i problemi derivanti dall’inverno demografico e l’allarme sulla tenuta del sistema pensionistico li abbiamo anche noi. Sull’educazione finanziaria, in particolare dei bambini, a che punto siamo?

La notizia positiva è che da qualche anno al ministero dell’Economia è stato crato un Comitato per l’educazione finanziaria, presieduto attualmente da Donato Masciandaro, che ha un ruolo importante perché deve contrastare il rischio che attraverso l’educazione finanziaria si vogliano vendere prodotti: non si deve fare. Detto questo, ci sono dati della Banca d’Italia per cui l’Italia è 25esima su 26 Stati europei. C’è una arretratezza fortissima quanto a consapevolezza degli strumenti e dei servizi finanziari, che grava in particolare sulle donne e sugli anziani. Sono due target su cui dobbiamo lavorare tantissimo con l’educazione finanziaria. Le donne perché ancora troppo spesso lasciano che a gestire i risparmi in famiglia sia l’uomo, anche dove è la donna che guadagna di più: questo poi ha effetti dannosissimi in caso di separazione. Gli anziani perché sono semianalfabeti digitali e tutte le operazioni ormai si fanno online ma soprattutto perché loro “hanno qualcosa da perdere”, cioè i risparmi di una vita: hanno bisogno di avere un’attenzione particolare. Lavorare con loro, tuttavia, non è facile: i ragazzi, per esempio, li incontriamo attraverso i progetti di educazione finanziaria fatti insieme alle scuole, ma incontrare e accompagnare gli anziani è complicato perché non c’è un “contenitore” per incontrarli. Questo però è il mio sogno: portare la Fondazione a fare educazione finanziaria per gli anziani con la stessa intensità con cui la fa già con i giovani. Bisogna lavorare di concerto con i Comuni, con i servizi sociali, con le Bcc del territorio…

Quanti ragazzi raggiunge la Fondazione Tertio Millennio con i suoi interventi di educazione finanziaria?

Abbiamo tante esperienze positive in questo senso: nello scorso anno scolastico abbiamo incontrato 14mila giovani in tutta Italia e questi numeri cresceranno nell’anno scolastico che sta iniziando. Incontriamo le classi, negli istituti interessati: i ragazzi vengono molto coinvolti dagli esperti della Fondazione o da professionisti del territorio, legati alla Fondazione, che sanno come catturare l’attenzione dei ragazzi… Parliamo di “Finaza epica”, un po’ per prudenza nello scomodare parole importanti come etica, un po’ perché ci piace pensare che stiamo facendo qualcosa di epocale: cambiare la visione scettica o critica che rigetta tout court il mondo della finanza. È un mondo che non deve essere respinto ma capito, imparando a comprenderne i meccanismi e a riconoscere quali sono gli interlocutori che meritano fiducia.

La sostenibilità del sistema previdenziale ovviamente riguarda anche noi. Magari quello tedesco non sarà lo strumento risolutivo, ma è un intervento. L’Italia invece sembra faticare nel fare scelte politiche concrete, al di là delle analisi. Che contributo può dare il sistema del credito cooperativo?

Il tema previdenziale è chiaramente collegato alla denatalità e all’inverno demografico che stiamo attraversando. I pericoli che ci attendono li conosciamo e sappiamo anche che occorrono interventi più incisivi in termini di servizi per giovani, che vanno dagli asili nido ai mutui per la prima casa. Certamente c’è da mettere in campo uno sforzo vero da parte del pubblico e da parte delle banche, con un’azione coordinata, sapendo che gli effetti di un impegno di questo genere non di vedranno immediatamente, ma tra dieci anni. Bisogna passare dalle parole ai fatti, ognuno dando il meglio nel suo ruolo.

Foto di Annie Spratt su Unsplash

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