Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Cronache africane

Sos Sudan, la guerra dimenticata

Oltre 8,6 milioni di sfollati, carestia imminente, tantissimi morti e la capitale Khartoum di fatto inaccessibile per le ong. A 12 mesi esatti dall'inizio del conflitto, a Parigi l'Unione europea cerca di mobilitare la comunità internazionale, che deve ancora versare il 94% dei fondi umanitari che servono nel 2024 per evitare la carneficina. Senza un cessate il fuoco immediato, il rischio è che si destabilizzi anche il Ciad, che accoglie 700mila profughi sudanesi e dove il prossimo 6 maggio ci sono le presidenziali

di Paolo Manzo

Medici di MSF soccorrono i feriti (Credit: MSF)

Aun anno dall’inizio della guerra, il 15 aprile l’Unione europea co-presiederà, insieme a Francia e Germania, la conferenza umanitaria internazionale per il Sudan alla presenza dei rappresentanti di organizzazioni internazionali – ONU ed Unione africana in testa – e le ong attive in questo Paese, quasi tutte operanti dalle nazioni confinanti.

Nell’occasione sarà lanciato un allarme anche per il Ciad, che si sta facendo carico del maggior numero di profughi da Khartoum e dove, il prossimo 6 maggio, si terranno le elezioni presidenziali.

L’obiettivo è smuovere i finanziatori e sbloccare l’aiuto umanitario necessario, che l’Onu stima in 3,8 miliardi di euro per i bisogni emergenziali del 2024. Di questi, due terzi per il Sudan ed un terzo ai Paesi vicini che stanno ricevendo i profughi. Tuttavia, sinora, solo il 5% di questo importo è stato messo a disposizione, una goccia nel mare.

La guerra in Sudan è scoppiata il 15 aprile 2023, quando il generale Abdel Fattah al-Burhan, a capo dell’esercito regolare, ed il generale Mohamed Hamdan Dogolo «Hemedti», leader delle forze paramilitari di supporto rapido (Rsf) hanno cominciato quella che è ormai tristemente nota come la «guerra dei generali». (Per approfondire le origini del conflitto, l’articolo “Sudan, chi c’è dietro alla guerra“).

Mentre le iniziative di pace non hanno ottenuto sinora nessun cessate il fuoco, da allora la situazione è sempre più drammatica per la popolazione. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, (Oim) a causa del conflitto, dal 15 aprile 2023 al 4 aprile di quest’anno, 8,6 milioni di persone sono sfollate interne o sono fuggite nei Paesi vicini. Ciad, Egitto e Sud Sudan in primis, ma anche Repubblica Centroafricana, Etiopia e Uganda. Inoltre, su circa quaranta milioni di abitanti rimasti, quasi 18 milioni affrontano una fame acuta e cinque milioni sono a rischio carestia.

Non bastasse, a causa dei combattimenti e la restrizione dell’accesso agli aiuti umanitari, intere parti della popolazione non possono essere salvate, mentre la capitale Khartoum, stretta nella morsa della “guerra dei generali”, oggi è quasi inaccessibile.

La rivista dell’innovazione sociale

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti e funzionalità esclusive

Secondo l’Onu, il conflitto ha provocato migliaia di morti, ma il conteggio è impossibile da fare sul terreno a causa dell’insicurezza dilagante. Oggi è la maggiore catastrofe umanitaria per numero di profughi, ma è anche una crisi dimenticata. Oltre il 70% degli ospedali e dei centri medici del Sudan è fuori uso ed il Paese è sull’orlo della carestia.

«Siamo estremamente preoccupati: la catastrofica situazione alimentare del paese non potrà che peggiorare a meno che il popolo del Sudan non riceva un flusso costante di aiuti da tutti i possibili corridoi umanitari dai paesi vicini e oltre le linee del fronte», ha avvertito Leni Kinzli, portavoce per il Sudan del Wfp, il Programma alimentare mondiale dell’Onu.

Nei giorni scorsi l’ambasciatrice statunitense all’Onu, Linda Thomas-Greenfield, ha denunciato come le parti in conflitto abbiano ripetutamente ostacolato le operazioni di soccorso alle popolazioni civili in estremo bisogno e ignorato l’appello del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per un’immediata cessazione delle ostilità.

«È urgente che i finanziatori garantiscano un finanziamento sostenibile della risposta umanitaria e in particolare delle distribuzioni alimentari su tutto il territorio del Ciad, al fine di sostenere le popolazioni più vulnerabili». Questo, invece, l’appello di Henri Noël Tatangang, direttore di Azione contro la fame in Ciad, che fa capire come la situazione rischi di precipitare anche nel paese che sta accogliendo il maggior numero di profughi dal Sudan. E che sinora ha ricevuto sinora solo il 4,5% delle donazioni necessarie per far fronte all’esodo da Khartoum

Secondo l’Onu e Handicap International, che aiuta i feriti in fuga dal Sudan sotto l’egida della Capacità Europea di Risposta Umanitaria, l’Ehrc, il Ciad ha già accolto circa 700mila profughi. L’ong è presente nella regione di Adré, molto vicino al confine con il Sudan, sia nei campi profughi che nell’ospedale locale dove è presente Medici Senza Frontiere.

Ad Adré è stata riabilitata per l’emergenza una pista per aerei e sono stati costruiti magazzini per garantire il trasporto e lo stoccaggio degli aiuti umanitari. Msf ha allestito 15 punti di raccolta dell’acqua e scavato cinque pozzi intorno ai campi profughi, consentendo di distribuire 600mila litri d’acqua al giorno ma queste infrastrutture non forniscono ancora una quantità d’acqua sufficiente per i sudanesi nei campi profughi nella regione di Adré.

Fabio Mussi, missionario laico del Pime nell’est del Ciad, ha raccontato all’Osservatore Romano che a Farchana e Metché, insieme alla Caritas diocesana e alle organizzazioni internazionali dal giugno scorso «portiamo avanti interventi di tipo umanitario e di assistenza, con aiuti alimentari». Aggiungendo una toccante testimonianza che fa comprendere cosa stia accadendo in Sudan.


Scegli la rivista
dell’innovazione sociale



Sostieni VITA e aiuta a
supportare la nostra missione


«A Metché», racconta Fratel Fabio Mussi, «abbiamo incontrato una ragazza, Fatime, che vendeva tè al mercato. Ci ha raccontato di essere scappata dal Sudan perché il nonno, il padre e due fratelli erano stati uccisi. Lei è riuscita a partire con la madre e due altri fratelli più piccoli e ci ha confidato: ‘Ho solo 14 anni, eppure il mio cuore è ormai vecchio, perché ho visto il male che gli uomini possono fare. Ma adesso sono la sorella maggiore e devo preoccuparmi dei fratelli più piccoli’».

Soprattutto nelle province del Ciad orientale, in particolare quelle di Sila e di Ouaddaï, l’arrivo dei rifugiati del Sudan ha fatto aumentare drasticamente i bisogni. «L’88% dei rifugiati qui sono donne e bambini e solo nel campo di Zabout il tasso di malnutrizione acuta grave tra i bambini sotto i 5 anni è appena sotto la soglia di emergenza stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità», spiega Tatangang.

Anche il Ciad sta dunque attraversando una crisi umanitaria molto grave e molti temono che qualsiasi ulteriore destabilizzazione derivante dal conflitto in Sudan possa mettere a rischio le elezioni presidenziali a N’Djamena, previste per il prossimo 6 maggio.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA