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L'arte che cura

Artvocacy: quando l’arte dà voce a chi non ce l’ha

di Alessio Nisi

L’arte, il teatro, la musica possono essere per dare voce ai bambini, agli adolescenti e agli adulti in una situazione di fragilità. Si chiama artvocacy ed è un metodo messo a punto da Formattart. Un esempio? N.i.e.n.t.e, un album appena pubblicato e nato nel laboratorio rap realizzato con i giovani del Corvetto (Milano) dar rapper Kiave. In dialogo con Iris Caffelli, fondatrice e presidente dell'associazione

Un percorso che è anche un metodo. Si chiama artvocacy e si porta dentro l’arte, con la sua capacità di recuperare e trasmettere bellezza e benessere, e l’advocacy, ovvero la capacità e possibilità di dare sostegno e supporto a chi voce non ha. Infanzia e adolescenza, periferia e carcere: è questo l’orizzonte in cui si muove Formattart, un’associazione di promozione sociale nata nel 2011 a Milano.

Basata al Corvetto, un quartiere nella zona sud della città, Formattart si propone come una presenza diffusa sul territorio, attraverso i suoi laboratori. «Solo in quest’area ne abbiamo sette in scuole primarie e secondarie di primo grado. Poi siamo presenti nell’oratorio del quartiere, dove stiamo facendo due corsi, uno di teatro e uno di danza, entrambi gratuiti per bambini dai cinque ai sette anni. Siamo nel Laboratorio di quartiere, dove facciamo rap e dove poi è nato il disco di N.i.e.n.t.e. e con i colleghi della cooperativa La strada facciamo un altro laboratorio rap per i più piccoli», spiega la fondatrice e presidente dell’associazione Iris Caffelli, 58 anni, originaria di Casalmaggiore in provincia di Cremona, che è anche la responsabile degli aspetti organizzativi di tutti i progetti, della costruzione delle reti e dell’attività di fundraising. Sua inoltre la supervisione pedagogica delle attività educative e dei laboratori dell’associazione. «Lavoriamo anche nel carcere di Vigevano, dove abbiamo Rumori d’ali teatro, una compagnia teatrale sostenuta da Per aspera ad astra». L’associazione ha progetti a Venezia «insieme alla fondazione di Venezia, che ha portato l’artvocacy nelle scuole di Mestre» e nella bassa mantovana.


Così il rap diventa parola per crescere

L’ultimo progetto in ordine di tempo si chiama N.i.e.n.t.e. e il nome è anche il titolo di un album uscito il 7 maggio e disponibile su tutte le piattaforme digitali di streaming. Sono otto brani che costituiscono il risultato finale di un percorso di scrittura rap con i giovani del Corvetto guidato dal rapper Mirko Filice, in arte Kiave: una collaborazione che va avanti da tre anni, con un grande coinvolgimento artistico-giovanile del quartiere. «I progetti dell’associazione, sottolinea Caffelli, «partono sempre da uno spunto narrativo».

Il progetto N.i.e.n.t.e non ha fatto eccezione: nasce infatti da un lavoro su Niente, un libro di Janne Teller. «Ne abbiamo parlato con Kiave, che l’ha letto, tradotto e condiviso con i ragazzi del laboratorio rap, che, a loro volta, lo hanno declinato, facendo un grande lavoro sulla parola». Il risultato? Il rap perde lo stigma del legame con la delinquenza «e diventa un momento di crescita, condivisione e advocacy, di un prender parola nella forma bella di un prodotto artistico». L’effetto finale? «Sono in tanti ad ascoltarti».

Essere sé stessi, insieme

Disponibile QUI, N.i.e.n.t.e è frutto del lavoro di un percorso laboratoriale che si è dipanato in 12 incontri formativi ed esperienziali finalizzati alla crescita personale ed artistica dei partecipanti e alla realizzazione di un “prodotto musicale”, come restituzione del percorso. Radin, J.An, Akira, Flo’w, kappaeesse, Kiro, sono i sei rapper che hanno scritto e prodotto gli otto brani del progetto. «Mettere insieme storie di vita, visioni e desideri di giovani artisti significa creare veri momenti di condivisione e di crescita, dove le differenze diventano un punto di forza e fare musica rappresenta la libertà di essere sé stessi, insieme», spiega Caffelli.

Formattart
Al centro Mirko Filice in arte Kiave

Percorso di confronto. Nel corso dei laboratori i ragazzi hanno avuto la possibilità di ripercorrere la storia della cultura hip hop, di confrontarsi su tematiche d’attualità attraverso il linguaggio musicale e di esprimersi liberamente con la scrittura di testi rap, prima della registrazione vera e propria dei loro brani originali presso lo studio “Macro Beats” a Milano, dove Kiave ha anche registrato, mixato e masterizzato in brani in questione.  Il risultato è un lavoro corale che racconta le storie e i desideri degli artisti, tra un passato che ritorna, un presente vibrante e un futuro da immaginare e da costruire. 


Le ragioni e i sentimenti di Formattart

«Volevamo trovare una modalità per rispondere a dei bisogni che sentivamo forti e che riguardavano bambini e adolescenti, ma anche soggetti adulti» con particolare attenzione a situazioni di fragilità legate tanto al disagio mentale, quanto alla privazione della libertà. Queste le parole con cui Iris Caffelli ripercorre la storia dell’associazione.

Teatro e arti performative in contesti di fragilità. Iris si occupa da anni di teatro e arti performative in contesti di fragilità: periferie, carceri, ex-ospedali psichiatrici e comunità. Ha curato l’organizzazione di diversi eventi culturali che avevano lo scopo di veicolare e diffondere temi di carattere sociale e di lotta allo stigma attraverso l’arte e il teatro, tra questi “Odin teatret a Milano” alla Casa della carità e il progetto “La nave dei folli” a sostegno della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari che ha ottenuto la medaglia del presidente della Repubblica per il particolare merito. 

L’arte come cura vuol dire restituire alla comunità le parole e le immagini che arrivano dai bambini attraverso la bellezza e lo sforzo della progettazione

Iris Caffelli, fondatrice e presidente di Formattart
Formattart
Iris Caffelli, fondatrice e presidente di Formattart

Dare voce alle persone che voce non hanno

«Da artisti, ci siamo interrogati su in che modo i nostri linguaggi artistici, in modo particolare il teatro, potessero fare». La risposta? «Dare voce alle persone che voce non hanno» e fare in modo che venga ascoltata da «una platea il più ampia possibile». Già, ma in che modo? Grazie ad un modello di intervento chiamato artvocacy, un metodo che vuole essere una sintesi dell’arte che abbraccia le azioni di advocacy per dar voce a chi non ce l’ha.

Siamo tutti artisti

Se fin dall’inizio della sua attività il team che guida l’associazione è composto da artisti, nel corso degli anni si è ampliato il linguaggio: «La parte teatrale e le arti performative costituiscono il focus originario, poi ci siamo aperti alle arti visive e alla musica». Tutte le attività sono realizzate dunque da professionisti dei linguaggi artistici specifici: drammaturgia, regia, arti visive, architettura e design, didattica dell’arte, comunicazione sociale, musica, danza contemporanea. 

Mi piace immaginare nuovi percorsi artistici nelle fessure, con l’attenzione di provare a non dare risposte calate dall’alto

Iris Caffelli

Come è già successo a molte altre realtà culturali, il periodo dell’emergenza Covid è stato un vero e proprio spartiacque. Anche per Formattart, che proprio nel 2021 ha messo a punto e affinato il metodo artvocacy, «grazie al confronto su un progetto di giustizia riparativa con due drammaturghe, un’artista visiva e un’architetta esperta di urbanistica», che ha coinvolto «i bambini delle scuole primarie e delle scuole medie di Rozzano». In questo comune del milanese, i ragazzi «nei tempi brevi delle due ore di un laboratorio si davano con una generosità incredibile, avevano una grandissima voglia di raccontare, di raccontarsi e di avere voce rispetto alle loro necessità, rispetto ai sentimenti, rispetto alla relazione coi compagni e sul tema del bullismo e delle parole che pesano». Ad accendere questo movimento, il lavoro sulle emozioni, sui testi e sui linguaggi «che partivano dalla letteratura, dalla scelta di alcuni libri illustrati sui sentimenti, sulla riparazione, sulla relazione, sulla relazione con l’esterno».

600 studenti. A quell’esperienza «che è stata una sorta di battesimo», racconta Iris, parteciparono 600 bambini e bambine. «Ne è nata una mostra e un libro fotografico». Di fatto una contingenza, la pandemia, «ci ha permesso di individuare una strada che stiamo continuando ad approfondire», rendendo ancora più chiaro l’obiettivo di Formattart: «mettere l’arte a disposizione delle ragazze e dei ragazzi, per far sì che prendano voce». Dal 2021, entra nel dettaglio Caffelli, «tra percorsi nelle scuole con artvocacy e laboratori arteducativi, coinvolgiamo una media di 500 bambini e ragazzi all’anno, tutti in attività assolutamente gratuite e nella maggior parte dei casi condivise e o progettate con la scuola per favorire il benessere scolastico e contrastare la dispersione».

L’arte come opera collettiva

Messo a punto il metodo e con un orizzonte artistico sempre più ampio, il gruppo ha attivato nel corso degli anni processi di advocacy per i minori e adulti in situazioni di fragilità. Un percorso educativo e formativo che, attraverso differenti linguaggi artistici, dà voce a bambini ed adolescenti in particolare, accompagnandoli nel delicato processo della crescita e dell’autonomia. Ma c’è un ulteriore aspetto del lavoro di Formattart ed è nella importanza dell’arte come opera collettiva. Un elemento che è connaturato al concetto di cura e di artvocacy.

Far arrivare la voce a tutti

«Non lavoriamo mai sul singolo o in un’ottica di chiusura. Se dunque ci muoviamo in un’ottica di opera collettiva», spiega Caffelli, «l’arte amplifica la voce di tutte le persone con le quali abbiamo lavorato», al punto che «i bambini e le bambine o altri», possano rispecchiarvisi e riconoscersi in essa. Quest’opera può essere una mostra fotografica, un libro, può essere una rappresentazione teatrale, e può essere ad esempio anche un progetto musicale.

Anche formazione e produzione

L’attività di Formattart si muove su tre livelli: i percorsi arteducativi, la formazione e la produzione di spettacoli. Sul fronte della formazione, aggiunge Caffelli, «non siamo mai teorici. Se escludiamo una primissima descrizione di base, andiamo a far lavorare gli adulti con i linguaggi che utilizziamo per i bambini». È importante «che l’adulto sappia che cosa significa mettersi in gioco e questo si fa con la pratica».

In apertura, i ragazzi che hanno preso parte al progetto rap N.i.e.n.t.e al Corvetto (Milano), con il rapper Kiave. Tutte le foto sono di Formattart


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