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L'arte che cura

CircoStanza, il circo dove non lo immagineresti mai

di Alessio Nisi

Seconda puntata del viaggio di VITA nelle esperienze di welfare culturale. Ospedali, strutture per anziani o per persone con disabilità, minori in messa alla prova: la Fondazione uniti per crescere usa il circo sociale come motore di benessere. «Le nostre non sono esibizioni, ma attività che aprono spazi di leggerezza e spesso fanno scoprire risorse residuali», raccontano Sara Sibona e Giovanna Sfriso

Dimenticate per un momento l’idea del tendone o dello chapiteau se preferite. Fate un salto a Salvador de Bahia, in Brasile, dove c’è il Circo Picolino, realtà che ha portato in uno spazio piccolo la giocoleria e gli spettacoli di equilibrio dell’arte circense: non performance ma riscatto, rinascita, impegno, fare, crescere. Tutto questo in una manciata di metri quadrati, poco più di una stanza, che può essere un’aula di scuola, un ospedale, una residenza sanitaria assistenziale-Rsa… Ovunque ci sia bisogno.

A contribuire alla diffusione di questo tipo di esperienze nel nostro Paese è stata Sara Sibona. Esperta nei processi educativi in adolescenza, 44 anni, originaria di Alba in provincia di Cuneo, nel corso degli anni Sara ha focalizzato la sua riflessione e il suo lavoro sull’utilizzo, spiega, «delle discipline circensi a scopo educativo, inclusivo e di promozione del benessere in particolare di minori, adolescenti ma anche di adulti in situazioni di fragilità». Così a Torino è nato il progetto “CircoStanza“, un laboratorio permanente di clownterapia e arti circensi rivolto a minori a rischio.

Il processo è contagioso. L’idea del circo come motore di trasformazione sociale e di benessere di comunità con persone in situazioni di fragilità si diffonde. Nasce la Fondazione uniti per crescere insieme di cui Sara è presidente dal 2020, dopo essere stata dal 2009 coordinatore pedagogico di tutti i progetti di circo sociale svolti nelle tre sedi della Fondazione (Torino, Milano e Bologna). Un impegno rivolto in particolare a «persone con problemi di salute, minori ricoverati in una struttura ospedaliera pediatrica, persone con deficit sensoriali, diversamente abili, ma anche ad anziani nelle Rsa».

Casa Circostanza nasce nel 2012 a Torino, nel quartiere Barriera di Milano. È l’unico centro d’Italia interamente dedicato al circo sociale dove ogni giorno si realizzano percorsi socio-educativi rivolti a persone di tutte le età. Attraverso il circo promuove il benessere, l’inclusione e la partecipazione di persone in situazioni di fragilità.

Casa Circostanza, la casa del circo sociale

«Casa Circostanza», precisa Giovanna Sfriso, operatrice di circo sociale della Fondazione uniti per crescere insieme, «è il nostro centro aggregativo». Questo è il luogo, racconta, «in cui ospitiamo scuole, gruppi di ragazzi, persone con disabilità e adolescenti per i laboratori di circo sociale». Poi «andiamo sul territorio: nei giardini, nelle strade, nelle scuole, negli ospedali, nelle comunità per minori, nei centri diurni per disabili».

E i bambini? Molto dipende dall’età. «Nella fascia che va dai tre ai cinque anni lavoriamo sull’aspetto circomotorio, nell’esplorazione di sè, dello stare insieme e dello spazio, sull’equilibrio.

In neuropsichiatria incontriamo anche ragazzi con disturbi alimentari e in transizione di genere: abbiamo lavorato molto sul linguaggio, per ripulirlo e renderlo il più inclusivo possibile

Giovanna Sfriso

Ma come vengono utilizzate le tecniche del circo? «Prima di tutto», spiega Giovanna, «teniamo conto delle possibilità fisiche e psichiche delle persone con cui lavoriamo, poi certo facciamo giocoleria, acrobatica aerea e a terra, equilibrismo: tutte discipline connotate in chiave inclusiva e adattate alle fragilità dei partecipanti per fare in modo che tutti possano avere il loro momento di protagonismo».

Gli attrezzi del circo in corsia

In particolare, nelle corsie dei diversi reparti in cui lavorano, sottolinea Sfriso, «portiamo il piccolo circo in ospedale e lasciamo che i pazienti dei diversi reparti sperimentino gli attrezzi del circo in prima persona, coinvolgendo le famiglie e spesso anche il personale ospedaliero». Giovanna è operatrice di circo sociale da otto anni, ma c’è un episodio che le è rimasto nel cuore: «Sì, quella volta in cui siamo riusciti ad avere un permesso speciale per due ragazzi ricoverati in fibrosi cistica e li abbiamo portati a vedere il Cirque du Soleil. È stata durissima farli uscire dall’ospedale, ho ancora i brividi».

Noi non ci esibiamo, ma proponiamo delle attività in chiave ludica e permettiamo a tutti di sperimentare gli attrezzi e le diverse discipline del circo. Anche in ospedale

Giovanna Sfriso

A scuola: fiducia, empatia e ascolto

Il circo sociale all’interno delle scuole, mette in evidenza Sara Sibona, «ha una valenza educativa perché, soprattutto se svolto in una classe prima, accompagna gli studenti nella conoscenza reciproca: aiuta a fare gruppo, a iniziare il percorso di studi in modo positivo, proattivo e instaurando una dinamica di fiducia, empatia e ascolto». Passaggi che hanno un ruolo nella prevenzione di fenomeni «come il bullismo e la non inclusione di soggetti con fragilità». L’ultima esperienza in questa direzione è stata in una scuola professionale di Torino. L’obiettivo era creare «un gruppo classe da subito. Alla fine del laboratorio si è creata una grande empatia tra studenti, tra studenti e docenti e con i nostri operatori».

Uno spazio dove tutti eccellono

Molti dei progetti della fondazione includono «attività gratuite per le scuole, dando la priorità a quei gruppi classe all’interno del quale ci sono ragazzi con disabilità certificata». In questo quadro le molteplicità delle attività del circo, fa sì che si crei «una sfera dove tutti eccellono e scoprono un talento». In particolare «questo dà protagonismo anche ai ragazzi con disabilità e permette di sperimentare delle esperienze positive insieme ai compagni con delle fragilità e anche a vedere dei talenti dove invece molto spesso si vedono solo dei limiti. Con il circo tutti i ragazzi scoprono di avere un talento, a prescindere dalla disabilità», dice Sara.

Il circo in Rsa

Il percorso della fondazione si è concentrato inizialmente sui minori adolescenti. «Via via però i bisogni dei territori delle città in cui lavoriamo ci hanno portato a dover rispondere a nuove esigenze, in primo luogo dei centri diurni che si occupano di persone con disabilità tra i 25 e i 75 anni». Per il gruppo di Sara si è trattato di «primo avvicinamento a realtà vicine agli anziani». A oggi la fondazione lavora nelle Rsa e ad un programma che si occupa degli anziani, ma anche dei loro caregiver, un progetto triennale dedicato in particolare a persone affette da Alzheimer. «In questo laboratorio è emersa da subito l’importanza di creare uno spazio di gioco e di sollievo per entrambi».

L’idea di CircoStanza è portare il circo proprio in quelle stanze dove si pensa che il circo non ci possa stare

Sara Sibona

Ecco, caregiver e anziani si sono trovati di fronte «ad uno spazio di leggerezza che non si aspettavano, perché assorbiti dalla gestione della malattia». Ma non è finita qui. In questo spazio, fa notare sempre Sara, «queste persone scoprono anche di avere risorse residuali».

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Nelle Rsa, aggiunge Giovanna, in un contesto spesso di mobilità ridotta, «il nostro approccio mira allo sviluppo di uno stimolo sensoriale, sia attraverso i colori, che attraverso le forme dei diversi attrezzi. Con delicatezza si cerca di fare delle piccole manipolazioni con le persone anziane che magari hanno una mobilità molto ridotta o anche delle disabilità acquisite negli anni».

Il circo non è linguisticamente connotato, si può fare anche in silenzio e ha dalla sua l’immediatezza del gesto

Giovanna Sfriso

Ci sono state situazioni in cui, racconta, «abbiamo coinvolto gli ospiti, ad esempio, portando dei foulard (un attrezzo molto leggero, che se cade non fa un rumore eccessivo e non disturba), utilizzandoli con dei piccoli lanci, dei passaggi di coppia, abbiamo usato molto la musica (per permettergli di rientrare in contatto con le loro emozioni), ma anche le palline della giocoleria o dei flowerstick, con lo scopo in questo caso di stimolare la mobilità delle mani».

Un sorriso per ricominciare

«Ospitiamo nella nostra struttura minori in messa alla prova, cioè ragazzi sottoposti a misure alternative al carcere», aggiunge Sfriso. «Fanno volontariato insieme a noi. Come li coinvolgiamo? Entrano subito in gioco e lo fanno molto velocemente. Il gioco li conquista subito». Il circo così diventa anche la strada per un percorso di rielaborazione del reato in un’ottica di volontariato e di cittadinanza attiva.

La foto in apertura e nel testo sono di Silvia Pesce. Questo articolo fa parte di una serie di racconti che VITA dedica alle esperienze di welfare culturale in Italia, per contribuire a far sì che questi strumenti nuovi entrino sempre di più nella “cassetta degli attrezzi” degli operatori sociali.


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