This camp is no good”, “questo campo non è buono”, chiunque abbia osato avvicinarsi alle recinzioni che circondano il Cara di Mineo avrà sentito almeno una volta qualche migrante ripetere questa frase tra il via vai di militari che dal giorno della sua apertura, il 18 marzo 2011, sorvegliano giorno e notte il centro richiedenti asilo più grande d’Europa, arrivato in passato ad ospitare fino a 4000 persone.
Oggi di “ospiti” ce ne sono meno di 1200 e il piano di sgomberi previsto dal ministero dell’Interno porterà entro la fine dell’anno a svuotare completamente il centro. Giovedì 7 febbraio sono stati 44 i migranti trasferiti nei Cas (centri d’accoglienza straordinaria) tra Trapani, Siracusa e Ragusa, mentre altri gruppi di 50 – al momento solo uomini senza nucleo familiare – verranno trasferiti il 18 e il 27 febbraio. Un piano di trasferimenti costituito da liste di persone che nel corso dell’anno dovranno lasciare il Cara, studiato per non dare troppo nell’occhio, ma che secondo le testimonianze degli ospiti non garantisce né certezze sul proprio futuro, né offre una soluzione a quelle speranze di integrazione maturate invano negli anni di permanenza nel centro.
La vicenda del Cara di Mineo è storia antica. Inaugurato a marzo del 2011 dall’allora governo Berlusconi e dall’ex ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni, quello che fu chiamato “Il villaggio della solidarietà” nasce all’interno del Residence degli aranci: 400 villette che originariamente dovevano essere destinate ai marines della vicina base militare americana di Sigonella. Attorno al Cara, nella strada che da Catania porta a Caltagirone, dominano distese di aranceti e due, tre distributori di benzina. Insomma, il nulla.
È qui che secondo l’ex ministro leghista il mega Cara di Mineo sarebbe servito per rispondere all’emergenza umanitaria della Primavera Araba e ai conseguenti sbarchi di quegli anni a Lampedusa. Un’eccellenza europea fu definita che ben presto si rivela un luogo di affari per alcuni professionisti dell’accoglienza supportati da personaggi politici di rilievo.
Il ramo siciliano dell’inchiesta di Mafia Capitale, quella per cui “il traffico di immigrati rende più della droga”, come hanno rivelato le intercettazioni della nota inchiesta, si svolge proprio qui. Il numero gonfiato di presenze di migranti per far lievitare i compensi delle ditte impegnate nei servizi del centro di accoglienza, la “parentopoli” nelle assunzioni fino a un bando di 97,8 milioni di euro costruito ad hoc coinvolgono l’ex consorzio del Sol. Calatino dietro cui gravitano imprenditori, sindaci e politici. Tra i nomi spiccano quelli di Luca Odevaine, ex componente del tavolo di coordinamento sull’immigrazione del Viminale condannato a sei mesi di reclusione, l’ex presidente del consorzio Sol Calatino terre d’accoglienza Paolo Ragusa, l'ex direttore del consorzio Sol Calatino Giovanni Ferrera, gli ex vertici delle Associazioni temporanee di imprese interessate, l’ex sindaco di Mineo Anna Aloisi e l’ex sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione (Ncd) all’epoca dei fatti presidente della Provincia di Catania e indagato in qualità di soggetto attuatore del Cara di Mineo.
Tra commissioni d’inchiesta, visite di parlamentari, a febbraio 2015 arriva il parere dell’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, che attraverso il suo presidente, Raffaele Cantone, chiede il commissariamento del Cara di Mineo: «Il bando per la gestione del centro era stato costruito in modo tale da escludere completamente la concorrenza, con una logica unitaria e senza divisione in lotti, richiedendo una serie di presupposti specifici in cui davvero mancava solo che indicassero anche il nome diretto del vincitore, era un classico bando su misura», spiegava Cantone.
Il 30 Settembre 2015, a seguito del parere dell’Anac, la Prefettura di Catania nomina come commissari straordinari l’ingegnere Giuseppe Di Natale e il prof. Giuseppe Caruso.
Il Cara di Mineo – nonostante permangono le difficoltà degli ospiti che fronteggiano le lungaggini della burocrazia per aver esaminato il proprio status di rifugiato – si avvia verso una ripresa proprio grazie all’incessante lavoro dei commissari prefettizi.
Dopo anni e anni di richieste da parte dei tanti migranti di fede cattolica viene finalmente adibito un prefabbricato per celebrare la messa cattolica, che si svolge regolarmente ogni domenica alle 18. Viene inaugurata una nuova moschea, si intensificano i corsi di lingua italiana, viene rafforzato il job center riuscendo in diversi casi a far trovare un lavoro agli ospiti , uomini e donne partecipano attivamente ai progetti dell’orto biologico. La squadra di calcio del Cara di Mineo, interamente composta da rifugiati, scala presto tre categorie e si intensificano le attività legate allo sport e alla musica. Qui nel 2017 viene accolta anche la piccola Mercy, la bimba nata a bordo della nave Aquarius che ha ispirato l’omonima canzone del gruppo pop francese Madame Monsieur, l’anno scorso all’Eurovision.
Tanti ragazzi – in ogni spazio libero del centro – giocano continuamente a calcio: «Avevamo creato con sacrificio e impegno una sorta di Università dell’accoglienza, l’integrazione era già un concetto superato, perché il nostro spirito era quello della condivisione. Ricordo ancora il sorriso di due ragazzi del Camerun nel giorno in cui siamo riusciti a trovargli un posto di lavoro in una struttura per anziani» ricorda l’ex commissario prefettizio Giuseppe Di Natale.
Nonostante le numerose attività, dal giorno della sua apertura ad oggi, molti ospiti continuano a sentirsi “prigionieri” dal punto di vista psicologico e questo perché a differenza dei sei mesi (prorogabili di nove in casi straordinari) previsti dalla legge gli ospiti del Cara arrivano ad attendere fino a tre anni, persino quattro anni per conoscere l’esito del proprio status di rifugiato. Gli ospiti protestano e durante gli anni si registrano alcuni tafferugli proprio davanti ai distributori di benzina limitrofi.
L’altra piaga resta il lavoro: pur di rendersi utili alcuni ragazzi accettano di raccogliere arance nelle campagne limitrofe per 20 euro al giorno, pagati in nero e con pochissimi controlli da parte dell’autorità.
Dal 2011 ad oggi, il Cara balza agli occhi solo per casi di cronaca nera: il suicidio del 21enne eritreo Mulue Ghirmay a dicembre del 2013, l’omicidio di una 26enne nigeriana l’1 gennaio del 2018 da parte dell’ex compagno arrivato dal nord Italia. Ed è del 28 gennaio scorso il fermo di 19 persone da parte della polizia su delega della Procura Distrettuale Antimafia per associazione per delinquere di tipo mafioso, traffico illecito di sostanze stupefacenti e violenza sessuale aggravata al fine di agevolare l’associazione mafiosa nigeriana denominata Vikings. La Procura di Caltagirone ha invece condannato all’ergastolo il 18enne ivoriano ai tempi ospite del Cara, accusato di aver ucciso il 30 agosto 2015 i coniugi Solano nella loro villa a Palagonia. Sul Cara di Mineo, a seguito dell’operazione Vikings è intervenuto il Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro che ha definito il Cara di Mineo «un errore enorme che si paga in termini di controllo della legalità». Il Procuratore di Catania ha aggiunto: «È sotto gli occhi di tutti che un centro che ospita un numero di persone così rilevante non può essere monitorato. Al centro accedono anche persone non autorizzate, perché i grossi numeri non permettono controlli consentendo così ad alcune persone di gestire i traffici illeciti».
Frasi subito twittate da Matteo Salvini che da anni chiede la chiusura del centro.
La stagione dei due commissari termina il 31 settembre 2018, il nuovo bando è questa volta suddiviso in lotti e al Cara subentrano nuovi consorzi e cooperative che si aggiudicano un appalto per circa 40 milioni di euro, con una drastica riduzione di personale e servizi. A perdere il posto di lavoro sono oltre 170 persone, mediatori culturali, interpreti, persino i medici. «Dal nuovo bando si intravedeva la fine del Cara a prescindere dalle minacce di Salvini» spiega Isidoro La Spina coordinatori dei mediatori culturali del Cara di Mineo: «Il personale è ormai sottorganico e c’è chi non riceve la busta paga da ottobre. In pochi mesi è stato eliminato il punto mamma, la mensa per i dipendenti, gli accompagnamenti settimanali in autobus a Catania, la squadra di Calcio e il corpo di ballo. E non c’è più la presenza della Croce Rossa» aggiunge La Spina.
A prendere una posizione netta sul Cara di Mineo e sul decreto sicurezza è stato il vescovo di Caltagirone, monsignore Calogero Peri: «È chiaro che si è cercato di chiudere il Cara privandolo di tutte le risorse, nel nuovo bando non erano previsti neanche i pannolini» spiega il vescovo che a dicembre – supportato dalla Conferenza episcopale siciliana- si era fermamente opposto alla lista degli 89 tra cui donne, nuclei familiari e bambini che avrebbero dovuto lasciare il centro. « Adesso bisogna vigilare», aggiunge il vescovo più che mai preoccupato sul futuro degli ospiti.
Nei prossimi giorni “i trasferimenti” degli ospiti del Cara di Mineo riprenderanno e si creeranno nuove liste di persone che corrispondono a numeri. A pagarne le spese saranno soprattutto i migranti che in quel “campo” speravano di restarci per poco e trovare un futuro migliore: «Nessuno ci dice dove andremo, abbiamo aspettato tanti anni qui e ora ci portano via, chissà dove, questo campo non è l’Italia», racconta Antony, nigeriano, che al Cara vive con la moglie e la figlia. Anche lui come tanti altri alla ricerca di un passaggio per Catania.
Foto di Alessandro Puglia
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