Tre risse in un mese a Cantù, di cui l’ultima, nella notte tra 1 e 2 giugno (sabato e domenica), in piazza Garibaldi, la principale della cittadina: tre i feriti, gravi ma non in pericolo di vita. Quattro i fermati, tutti adolescenti. Tre minorenni ( 14, 16 e 17 anni) sono stati collocati in comunità. Per il diciottenne, che si è costituito e che si ritiene possa avere inferto le coltellate che hanno ferito i tre uomini, è stata confermata la detenzione in carcere. È indagato per tentato omicidio. Baby gang? Gruppi organizzati? O forse disagio senza troppi contenitori? Ne abbiamo parlato con le associazioni del territorio, in prima linea nel difficile e complesso dialogo con i minori, protagonisti, loro malgrado, di questa vicenda.
Alle prime luci dell’alba, Cantù, 30mila abitanti, provincia di Como, dal 2019 a trazione leghista (8 e 9 giugno si vota per le elezioni amministrative), è stata teatro di una vera e propria esplosione di violenza. Tra le sessanta e le settanta persone sono state protagoniste di una maxi rissa, scoppiata all’improvviso, apparentemente per futili motivi, e degenerata in un’aggressione. Spintoni, scontri, una transenna utilizzata per colpire i presenti. E poi le coltellate e l’aggressione a colpi di cocci di bottiglia. I fermati, secondo gli inquirenti, erano ubriachi. La violenza è esplosa in pochi istanti, da una banale discussione. In un attimo, il panico: persone che scappavano terrorizzate, sangue in piazza e i feriti a terra. Una violenza preoccupante, che ha riacceso i riflettori sul problema del disagio giovanile a Cantù.
La militarizzazione degli spazi non è la sola risposta
A neanche una settimana da quella notte terribile, le associazioni del territorio, cooperative sociali e gruppi informali hanno fatto un punto. Almeno le 27 che fanno parte della Rete terzo tempo. «Ci siamo interrogati su questi fatti», spiega Michele Bianchi, membro del Circolo Arci Mirabello e della rete, «sì, è emerso il grande lavoro che si fa, ma anche la mancanza di sinergia con le istituzioni pubbliche e la scuola».
Animare i territori. La traccia? «Continuare a confrontarsi sul tema e sull’analisi dei bisogni. Riteniamo sia giusto che la gente si senta sicura e avere un presidio delle forze dell’ordine, ma la militarizzazione degli spazi non è la sola risposta possibile». Per la rete, riporta Michele, «è importante ci sia animazione dei luoghi. Non c’è grande offerta, oltre i bar». Quando non hai niente, aggiunge, «la noia prende il sopravvento e produce comportamenti sbagliati».
Abbiamo fatto poco
«Ma cosa abbiamo fatto per evitarlo? Si sapeva che sarebbe successo. Certo, non in modo così eclatante». La risposta «che ci siamo dati che si è fatto niente o ben poco se non qualche attività sporadica». Sono state queste le prime riflessioni, all’indomani della rissa, di Michele Benazzi, presidente della cooperativa Mondovisione, 37 anni, originario di Carugo, nel comasco, a pochi chilometri da qui. «A Cantù», spiega, «ha una loro storicità la presenza di baby gang e di gruppi di ragazzi molto vivaci in piazza». Per Benazzi «non c’è stato mai un pensiero di un intervento preventivo o comunque di presa in carico delle difficoltà che ha il centro di Cantù».
Disagio per il disagio
Ma si è trattato di baby gang al soldo della criminalità organizzata? «Forse qualche anno fa era così, mi sembra piuttosto che in questo caso si tratti di “cani sciolti”, la classica compagnia che crea disagio in piazza un po’ anche per il gusto di creare disagio». Situazioni in precario equilibrio, che facilmente degenerano in un’aggressione fisica, in una rissa.
La scuola e gli adulti di riferimento
Come educatore, Michele si è chiesto da subito in relazione alla vicenda «quanti di noi Terzo settore hanno deciso, anche se non appoggiati dall’ente locale, di intervenire». Già, intervenire. Ma da dove si comincia con un fenomeno così magmatico come come le baby gang o anche i gruppi organizzati o anche il disagio giovanile? Dove si interviene e quali sono i le linee di intervento da mettere a terra? «Sono convinto che la scuola è un ottimo strumento, perché un’agenzia educativa e almeno alle elementari e alle scuole medie i minori sono presenti, sono obbligati a essere presenti e li hai lì fisicamente ed è anche più semplice fare un lavoro culturale e di promozione di un certo stile di vita». Va fatto anche «un lavoro con gli adulti di riferimento e le in particolare con le famiglie».
La rabbia e l’aggressività
Oltre la forma, oltre il contenitore, oltre il gruppo e la banda, quello che fa strabuzzare gli occhi in questa vicenda è il peso della rabbia scagliata in piazza: i colpi inferti all’addome, le transenne lanciate gli uno contro gli altri, la furia. In un contesto, Cantù, descritto dalle cronache come un luogo non marginale o disagiato. C’è qualcosa che non torna. Molto più di qualcosa. Di epoca segnata dalla cultura dell’aggressività, parla Benazzi, «indipendentemente dai colori della politica», passa come vincente il modello, «più sono aggressivo e più mi faccio rispettare».
Non era la prima rissa
Analisi sulla cultura dominante e modello machista a parte, va chiarita una cosa. La rissa del 2 giugno non era la prima a Cantù. «Sì, ci sono state altre risse e altre violenze. Penso a quello che è successo non molto tempo fa al lunapark». Ma c’è un filo rosso che fa da legante o sono tutti episodi sporadici, frutto del caso? «Sono convinto che si tratti sempre degli stessi ragazzi, magari in carico ai servizi sociali, comunque noti, anche alle forze dell’ordine». E la prevenzione e il recupero? «Se li avessi davanti cercherei di capire il perché di tanta rabbia».
Il lavoro con Hub_Garibaldi
Michele Benazzi e gli altri di Mondovisione, insieme ad altre realtà dell’associazionismo sono a lavoro su Hub_Garibaldi, progetto che ha l’obiettivo di trasformare lo storico capolinea del tram di piazza Garibaldi in uno spazio destinato ai giovani, con uno spazio informativo, uno sportello psicologico e una piccola attività di ristorazione dove ci sarà spazio per la formazione e l’avviamento al mondo del lavoro per persone con disabilità.
Che alternativa abbiamo dato?
I locali di Hub_Garibaldi sono a ridosso della piazza teatro della rissa. «Che alternativa abbiamo dato a questi ragazzi?», riflette ancora Benazzi. «Fino a ieri i ragazzi di queste baby gang giravano per piazza Garibaldi, li vedevi, non erano nascosti, sapevi dove erano seduti. Che cosa ho fatto», si ripete, «per evitare che, minori, fossero in giro alle tre di notte e commettessero errori di cui si pentiranno per il resto della vita?».
Ricreare spazi per la comunità
Il progetto Hub_Garibaldi va nella costruzione di un’alternativa. «Inclusione è la parola chiave» che permette di lavorare sulla creazione di «benessere». Non solo. Benazzi spiega anche che il progetto ha l’obiettivo di migliorare la piazza. «Uno spazio che in questo momento è un luogo vuoto, una grande distesa di lastre di marmo senza ombra, tre panchine e qualche albero». Nelle parole di Benanzi la direzione giusta va anche «nel ricreare spazi per la comunità».
Il nodo integrazione
Pinuccia Porro, assistente sociale in formazione, per 30 anni responsabile di tre comunità per minori, tutrice di minori stranieri non accompagnati, nel direttivo del coordinamento nazionale delle comunità per minori, è importante chiarire questo passaggio. «I tre ragazzi», spiega, «sono figli di stranieri di seconde generazioni, non sono minori non accompagnati. Questo elemento», precisa, «fa la differenza perché sono ragazzi che nascono in Italia, che hanno modo di integrarsi attraverso la scuola e le associazioni sportive, mentre i minori stranieri non accompagnati sono qui soli e senza famiglia».
Le responsabilità degli adulti. Per Porro, «le famiglie vanno sicuramente aiutate». Certo, «un ragazzo di 14 anni in giro alle tre di notte, con quel carico di rabbia». Sulla dinamica, riflette: «Mi fa pensare che tre ragazzi aggrediscano, senza alcun motivo, degli adulti». Che cosa è successo?, si chiede. «Ecco, non sono così convinta che in questa storia gli adulti non abbiano avuto una responsabilità».
Concorso sinergico delle realtà civili ecclesiali e sociali del Terzo settore
Una comunità ferita da una vicenda che lascia interdetto Don Maurizio Pessina, da settembre alla guida della Comunità pastorale San Vincenzo di Cantù (5 parrocchie). «Sono qui da pochissimi mesi. Bisognerebbe avere una conoscenza della realtà della situazione da più tempo, in 6-7 mesi che cosa vuole che possa avere imparato?», sostiene. Eppure dice convinto che per arginare vicende di questo tipo occorre «un concorso sinergico di tutte le realtà civili ecclesiali e sociali del Terzo settore». Poi l’affondo. «Qualcuno ha sostenuto che qui a Cantù, come in altre realtà dove succedono queste cose, ci sia un vuoto e che per i giovani non c’è niente. Non è onesto dire questo, non è vero che non c’è niente. C’è tanto per i giovani».
La necessità di accettare il dialogo. Don Maurizio fa riferimento a «tante realtà ecclesiastiche e della società civile che si offrono di seguire i ragazzi. Il problema», precisa «è far conoscere queste realtà, raggiungere queste persone e dialogare con loro. Ma non è detto che accettino il dialogo e il confronto».
Non è onesto parlare di vuoto
«Ha ragione Don Maurizio, non mi sento di parlare di vuoto» fa Roberta Tosca, 56 anni, originaria del vicino comune di Luisago, e vicepresidente di Progetto sociale. «Come cooperativa gestiamo da tanti anni sul territorio servizi di educativa domiciliare, interventi che mettiamo in atto in collaborazione con il comune di Cantù che hanno come obiettivo quello di intervenire in via preventiva sulle situazioni di vulnerabilità e di fragilità familiare perché poi si possa effettivamente lavorare sul piano educativo con i propri figli».
Ci dice che le associazioni fanno tanto per un territorio che è «molto attivo dal punto di vista della messa in atto di interventi e di azioni preventive». Tanto da definirlo «per certi aspetti all’avanguardia. Abbiamo sottoscritto l’anno scorso anche un protocollo sulla comunità educante che ha coinvolto 15 diverse organizzazioni, tra cui il comune di Cantù».
La necessità di un dialogo diverso
Quindi, spiega, l’attenzione al mondo educativo è molto alta. Con queste premesse, dov’è allora il corto circuito che ha portato 70 ragazzi a picchiarsi selvaggiamente nella piazza del Paese in piena notte? «C’è», chiarisce, «sicuramente una fragilità del mondo adulto dal punto di vista educativo ma anche la difficoltà ad individuare modalità e strategie di lavoro che effettivamente riescano ad agganciare questi ragazzi e il loro disagio». Una difficoltà che riguarda l’individuazione di strategie «preventive e anche riparative».
Sul tavolo restano gli adulti in confusione, il contesto ambientale che individua nell’aggressività un modello vincente e lo sfruttamento (quando c’è, in questo caso specifico non è stato confermato) delle criminalità organizzata dei minori (baby gang all’opera per estorsione e minacce), facendo leva sulla loro fragilità.
Lo spazio urbano e l’alcol
A questi si aggiungono altri elementi che fanno massa critica. Uno di questi è l’ambiente urbano e l’alcol. «Piazza Garibaldi», spiega Tosca, «è la piazza della movida e si presta a grandi assembramenti». Intorno gli esercizi commerciali, aggiunge, ne approfittano e propongono drink a 5 euro. Sembra dunque di capire che piazza Garibaldi abbia una tradizione in fatto di risse. «No, non è la prima volta», ribadisce Tosca.
La politica del pugno duro
E la politica? «Le ultime politiche preventive risalgono agli anni Novanta, con la legge Turco e con la 285» ricorda Tosca. La sindaca uscente, la leghista Alice Galbiati (sua la vittoria al primo turno con una percentuale pari al 60,71% del totale, con il supporto di Forza Italia, Lega Salvini, Cantù Sicura e Fratelli D’Italia), a proposito dei fatti di piazza Garibaldi, sul suo profilo social, ha invocato il 3 giugno, manco a dirlo, «il pugno duro».
Il giorno dopo ha postato su Facebook, in particolare: «Un altro episodio che ci dimostra come la sicurezza delle nostre città debba essere una assoluta priorità dell’azione amministrativa, almeno per quanto di competenza. I quattro responsabili dei gravissimi fatti della scorsa notte sono stati individuati grazie alle telecamere di sorveglianza della nostra Polizia Locale e arrestati grazie all’ottimo lavoro dei Carabinieri di Cantù».
Tolleranza zero per i delinquenti, anche se minorenni
Le sue parole erano state precedute da quelle del segretario della Lega Matteo Salvini. «Chi ritiene di essere il padrone criminale della notte a Cantù e in altri territori della provincia comasca, troverà una risposta dello Stato e delle istituzioni durissima e ferma. Difenderemo le nostre città e le nostre comunità locali iniziando a rafforzare fin da subito la prevenzione e il controllo dei territori anche durante le ore notturne» e chiede «tolleranza zero per i delinquenti, anche se sono minorenni».
In apertura foto Luigi Innamorati/Agenzia Sintesi. Nel testo foto di Mondovisione, di Progetto sociale per l’immagine di Roberta Tosca e di www.facebook.com/sindacodicantu per lo screenshot di Alice Galbiati
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