Daniele Novara

I bambini sono sempre gli ultimi

di Sara De Carli

Quand'è che abbiamo smesso di occuparci dell'infanzia, noi che siamo il paese di Maria Montessori? Com'è che li abbiamo rinchiusi in "contenitori" dedicati e allontanati dalla vista e dal cuore della società? Perché il Covid-19 è stato solo il detonatore di una situazione che dura da almeno 20 anni: i bambini in Italia sono spariti dall’immaginario e dall'interesse collettivo. L'analisi di Daniele Novara e le nove azioni per rimetterli al centro. E con loro, il futuro (di tutti)

«I bambini sono sempre gli ultimi». Daniele Novara non le manda a dire. Sempre, non solo nell’emergenza sanitaria in corso. In cui ci sono voluti 53 giorni prima che il Presidente del Consiglio dei Ministri pronunciasse la parola “bambini”. In cui la scuola è stata l’ultima a riaprire. Segnali pessimi, ma il peggio è che non si tratta solo di questo. Perché sono almeno vent’anni che genitori e professionisti dell’educazione assistono al progressivo abbandono dell’infanzia da parte delle istituzioni: durante la recente emergenza legata al Covid-19 la realtà dei fatti è arrivata semplicemente sotto gli occhi di tutti. Ma quando abbiamo smesso di occuparci di infanzia, noi che avevamo una tradizione pedagogica che tutto il mondo ci invidiava? Com’è che dalla fiorente stagione della 285 siamo arrivati al nulla di oggi? Chi sono stati i principali attori di questo disastro? E soprattutto, esiste un modo per rimettere i più piccoli al centro delle preoccupazioni istituzionali? Sono queste le domande attorno a cui nasce e si sviluppa il nuovo libro di Daniele Novara (Bur-Rizzoli) – pedagogista e fondatore del CPP-Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti – in libreria dal 13 ottobre.

Il problema non è tanto il Covid-19 quindi, ma i vent’anni prima…
Il Covid-19 il detonatore di una situazione che dura da almeno 20 anni e cioè che i bambini in Italia – perché questa è una situazione molto italiana, non va così nel resto del mondo – sono scomparsi dall’immaginario collettivo e da una presa in carico complessiva da parte della società. Bambini e ragazzi sono stati relegati in alcuni “contenitori” specifici: le famiglie, i nonni, la scuola, il doposcuola, il calcio, il teatro… Si tratta di una situazione totalmente inedita. Quello che denuncio non è la mancanza di accudimento nei confronti dei bambini – questo c’è, a volte anche troppo – ma la mancanza di un desiderio verso i bambini, di un desiderio di protezione positiva nei loro confronti da parte della società intera, un desiderio di futuro. Non basta dire ok ci sono i bambini, un po’ a scuola un po’ dai nonni ce la caviamo… non funziona così. La dimenticanza che denuncio è la perdita di rilevanza sociale dei bambini, di un senso di appartenenza collettiva: oggi i bambini sono trattati come un problema e ancora di più come un problema che riguarda solo i loro genitori. Genitori che peraltro si danno un gran da fare. Serve che citi i dati italiani sull’occupazione femminile, sui nidi, sulle mamme che abbandonano il lavoro? Abbiamo una classe politica e ammnistrativa che investe sulle rotonde e non mette soldi sull’infanzia: vuol dire palesemente non rendersi conto delle priorità per il futuro.

Con i bambini il fai fa te e le buone intenzioni non bastano: come genitore e come insegnante hai bisogno di sapere quanto i bambini devono dormire, quanto giocare, quando possono stare davanti alla tv o a un videogioco… per educare c’è bisogno di informazioni scientifiche. Oggi invece qualsiasi influencer si sente non solo autorizzata ma in dovere di dire agli altri genitori come si tirano su i figli… I genitori si trovano immersi in un mare di idee scombinate e così si spegne la possibilità di assumersi un progetto educativo nei confronti delle nuove generazioni

Daniele Novara

È una dimenticanza della politica o sociale?
Io non cerco i colpevoli. Dico che c’è una responsabilità molto diffusa in questa dimenticanza. Senz’altro le istituzioni sono assenti. Il recente lockdown ce l’ha messo sotto gli occhi con evidenza, con le istituzioni più alte che hanno deciso che il cittadino con il cane può fare una passeggiata e invece quello con il figlio doveva restare in casa. E quando al 31 marzo una circolare ha consentito di fare uscire i bambini per una passeggiata, c’è stata una polemica assolutamente ingiustificata contro i bambini. Tant’è che in quelle settimane in tv sono scomparse le pubblicità di prodotti per bambini a tutto vantaggio delle pubblicità di prodotti per cani: una conferma del fatto che l’immaginario collettivo ha spostato i propri interessi dalla vita dei bambini. Io non ce l’ho coi cani e coi padroni dei cani, però non capisco come si possa non considerare che abbiamo una intera generazione di bambini con i ritmi circadiani alterati, con il movimento alterato, con la socialità alterata… che fanno e faranno fatica a crescere. Con il Covid-19 le dimensioni della scomparsa dei bambini dal radar della rilevanza sociale è stata davvero imbarazzante. Il fatto è che questa scomparsa dei bambini non riguardano il singolo genitore o il singolo insegnante: è una mancata elaborazione politica di necessità e scelte che, se vengono trascurate, creano danni non solo ai bambini, ma a tutta la società.

Venivamo da una grande stagione innovativa per l’infanzia e l’adolescenza, quella che nel 1997 ha portato alla legge 285. Com’è che è cambiato tutto?
Quella stagione è stata l’ultimo epigono di un’attenzione educativa. Uno dei motivi è la mancanza di un banco di lavoro educativo. In un paese dove la pedagogia è stata eliminata – sì, da noi, il paese di Maria Montessori – diventa difficile occuparsi dei bambini perché manca proprio questo sguardo educativo. Con i bambini il fai fa te e le buone intenzioni non bastano: come genitore e come insegnante hai bisogno di sapere quanto i bambini devono dormire e quanto tempo giocare, quando è il caso di aiutarli o non aiutarli a fare i compiti, quando tempo possono stare davanti alla tv o a un videogioco… per educare c’è bisogno di informazioni scientifiche. Oggi invece qualsiasi influencer o qualsiasi mamma sui social si sente non solo autorizzata ma quasi in dovere di dire agli altri genitori come si tirano su i figli… I genitori si trovano immersi e persi in un mare di idee scombinate e così si spegne la possibilità di assumersi un progetto educativo nei confronti delle nuove generazioni: tutto resta a un livello di “gara” fra le mamme o fra i papà, con i bambini che non riescono più a fare i bambini. Accanto a questo, sull’altra sponda, abbiamo la neuromedicalizzazione – che quest’anno dopo il lockdown avrà un ulteriore boom – per cui questa generazione di bambini di trovare nella scuola una sponda educativa si trova ad essere diagnosticata. Siamo passati dal bambino che disturba al bambino che ha un disturbo ed è la prima volta che succede. Il bambino disturbatore nella scuola c’è sempre stato e gli insegnanti lo hanno sempre gestito con gli strumenti educativi. Adesso no, il bambino che disturba ha un disturbo. E tutto avviene senza una riflessione comune, un dibattito… lasciando i genitori nella solitudine più totale.

Siamo passati dal bambino che disturba al bambino che ha un disturbo ed è la prima volta che succede. Il bambino disturbatore nella scuola c’è sempre stato e gli insegnanti lo hanno sempre gestito con gli strumenti educativi. Adesso no, il bambino che disturba ha un disturbo.

Scusi, però… i pedagogisti dove sono?
Ma la pedagogia in Italia è stata eliminata, non ci sono più le facoltà di pedagogia né la possibilità di esercitare come professione basti pensare che sono stati eliminati a scuola e nei consultori. Manca una funzione pedagogica nella scuola che funzioni come supporto per insegnanti, genitori e dirigenti: ai dirigenti scolastici sono richieste sempre più capacità amministrative, non pedagogiche. E anche come insegnanti non basta conoscere la materia ma occorre gestire processi di apprendimento articolati, anche in relazione alle nuove tecnologie: in tutto il mondo questa scienza dell’apprendimento è la pedagogia, non puoi insegnare senza un metodo. Da noi invece l’insegnante a scuola è solo. E in questi mesi la scuola è stata essenzialmente una questione di logistica. Non è così. Stanno scomparendo in nome della sicurezza la didattica sociale, i lavori in gruppo… ma dobbiamo stare a 1 m di distanza, non a 5! Il fatto è che se dirigenti e insegnanti sono pedagogicamente preparati, si trova il modo per fare una scuola che sia una scuola anche in queste condizioni, così come in dad. Se invece non sono pedagogicamente preparati… trasformano la scuola in un’infermeria, inchiodando gli alunni ai banchi e traumatizzandoli, rendono la scuola angosciante e però tu da buon burocrate sei tranquillo. Ci vuole qualcuno che dica no, fermatevi.

Come si cambia rotta?
Il libro si chiude con nove idee per una nuova alleanza fra le generazioni. Le riassumo qui per “titoli”: Creare un presidio pedagogico in ogni istituto scolastico; garantire alle mamme che hanno avuto un parto critico forme di sostegno psicologico e di assistenza; rendere l’adozione dei bambini, sia nazionale che internazionale, più semplice; mettere a disposizione dei genitori un bonus pedagogico; sostenere economicamente i genitori e le famiglie che mettono al mondo figli; rendere Nidi e Scuole dell’Infanzia gratuiti; rendere la Scuola dell’Infanzia obbligatoria; sostenere la professionalità degli insegnanti; destinare spazi cittadini ai bambini e ai ragazzi, non solo parchi.

Tra le soluzioni, cita l’ascolto dei bambini. Non come beau gest ma come metodo.
Certo, l’ascolto è metafora educativa, non significa prendere alla lettera ciò che i bambini dicono. Vuol dire chiedere ai bambini, coinvolgerli, fare una negoziazione e un patto, costruire un progetto comune. È l’ascolto che hanno fatto tutti i grandi, da Maria Montessori a Danilo Dolci a Mario Lodi, significa riconoscere che il bambino ha risorse, una creatività e che vive una realtà specifica. Significa ascoltare la diversità infantile, è questo che voglio dire. Non “udire” i bambini ma stare profondamente nella loro diversità, viverla, assumerla, accettarla perché ci fa bene e ci dà uno sguardo radicalmente diverso sul mondo. Auguro a tutti di passare più tempo con i bambini, anzi di trovare qualche bambino che abbia voglia di passare il suo tempo con noi. Se sei con un bambino, spegni lo smartphone e interagisci con lui, farà bene a tutti. Sarebbe utile specialmente a chi ha responsabilità, per capire cosa vuol dire lavorare per i bisogni profondi dei più piccoli, che non è regalare tablet ai bambini. Come diceva Grazia Honegger Fresco, appena scomparsa, non ci possono essere bambini felici in una società ingiusta. C’è sempre stato da parte dei grandi pedagogisti e pediatri del passato, penso ad esempio a Benjamin Spock, l’impegno a cambiare il mondo: questi sono i grandi educatori, che non si asserragliano nell’orticello del lavoro con i bambini ma si battono per un mondo migliore.

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