Di notte si sentono gli spari nella foresta. Ed i cani che abbaiano. Sono slegati, lanciati per andare a caccia di persone. Devono mordere, fermare, bloccare. Vanno a caccia di bambini, donne, uomini. Di chi corre lungo questo percorso intricato, dove la vegetazione è fitta e gli alberi sono molto alti. C’è chi inciampa tra i corpi dei morti che nessuno ha voglia di recuperare, di cercare. Perché chi passa da queste parti lo fa per trovare un varco che lo porti verso una vita migliore, un nuovo futuro da costruire. «La situazione alla frontiera tra Bulgaria e Turchia è terribile, terribile».

È come un “game”, un gioco, «I migranti provano decine di volte ad attraversare i confini e proprio come in una simulazione di gioco rischiano di essere scoperti e riportati indietro, di perdere la vita lungo il percorso. Alcuni riescono ad arrivare alla loro meta». Francesco Garofano è impegnato da diversi anni in un progetto ambizioso: «Raccontare l’immigrazione. Raccontare il più fedelmente possibile quello che succede alle persone in movimento, perché ancora oggi non tutti sanno cosa deve fare un essere umano per attraversare il centro Europa, i pericoli che corre, le violenze che subisce, in particolare lungo la rotta Balcanica».

Per questo, da un mese e mezzo ha eletto la città di Harmanli, in Bulgaria, come suo quartiere generale da cui muoversi per poter raccontare, incontrare storie, documentare l’orrore di quanto accade in quelle zone. Da quella posizione è più facile per lui raggiungere le varie frontiere. «Sono stato in diverse località, andando a cercare tutti i posti che attraversano le persone che fanno la rotta Balcanica. Sto studiando, approfondendo e ricercando varie frontiere: Bulgaria-Turchia, Serbia-Bulgaria, Ungheria-Serbia, Croazia-Serbia, Bosnia-Serbia». Il suo progetto fotografico “Vite in Transito: Storie di migranti nell’Europa contemporanea” nasce proprio con la finalità di «raccontare attraverso le immagini la vita dei migranti che giungono o attraversano l’Europa. Il progetto è iniziato in Italia dove sto documentando la quotidianità dei beneficiari nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), dei Minori stranieri non accompagnati (Msna), della rete del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Anche perché» dice Garofano «molte delle persone che finiscono nella rete di accoglienza e che ho intercettato vengono dalla rotta Balcanica».

Prima di spostarsi nell’Est Europa, infatti, il fotografo ha girato diversi progetti Sai, come quelli pugliesi di San Ferdinando di Puglia e Cerignola. Garofano si è presentato ai beneficiari, ha spiegato il suo progetto, ha chiesto loro se erano disponibili a farlo entrare nelle loro vite. «Gli scatti di “Vite in Transito” hanno l’obiettivo di rappresentare le condizioni di vita in Europa, esplorando sia le difficoltà sia i successi nel percorso di integrazione e allo stesso tempo di evidenziare la diversità e la ricchezza che i migranti portano alle comunità ospitanti. Le immagini che ho scattato nei Sai, per esempio, si soffermano sulla vita dei migranti, sulla loro quotidianità, sulla loro partecipazione nelle attività sociali, scolastiche e culturali delle comunità in cui oggi sono accolti». Il fotografo, però, ha deciso di ampliare il suo sguardo sulle storie di chi si mette in movimento per offrire una prospettiva umana e autentica sul fenomeno migratorio in Europa. «Il progetto ha l’ambizione di favorire la costruzione di ponti tra culture, mostrando l’umanità che accomuna tutti noi». Quello intrapreso nei Paesi dell’Est, dunque, è diventato un viaggio fondamentale per capire e far capire ancora meglio il dramma e le difficoltà di chi attraversa a piedi le frontiere.

«La prima porta d’entrata per l’Europa è appunto la frontiera della Turchia e della Bulgaria. Quasi nessuno vuole restare in Bulgaria e quindi le persone continuano verso la Serbia e da qui ci sono quattro uscite possibili. Andando in Romania, che è la più economica e non c’è un vero e proprio muro di recinzione. Dirigendosi in Ungheria, dove c’è una doppia recinzione alta ed elettrificata ed è più difficile passare, ma è possibile farlo pagando i gruppi mafiosi, spesso collegati con la polizia serba ed ungherese, che ti fanno attraversare mettendo delle scale che consentono di superare la recinzione. Poi c’è la frontiera con la Croazia, dove non c’è una vera e propria recinzione, ma ci sono gruppi criminali, principalmente afghani ma anche di varie nazionalità, che se non paghi ti sequestrano, ti violentano, in molti casi ti uccidono e la cosa macabra è che realizzano dei video che mandano alle famiglie per avere dei soldi. Un po’ come succede in Libia. Infine, c’è il confine con la Bosnia che è tristemente conosciuto perché bisogna attraversare il fiume Drina. Di solito le persone lo attraversano di notte, non tutte sanno nuotare e ogni settimana si registrano diverse vittime».

Garofano, dunque, è riuscito ad andare in tutti i punti raccontati per vedere con i propri occhi quello che raccontano i migranti incontrati, che sono i protagonisti del percorso fotografico del progetto. Per farlo, ha beneficiato dell’aiuto di associazioni o gruppi che supportano le persone in movimento sulla rotta Balcanica. Come No Name Kitchen, che da circa cinque anni opera in quei posti «distribuendo cibo, vestiti, offrendo soccorsi, ma anche cercando di bloccare i pushback, cioè quando la polizia bulgara intercetta delle persone nel proprio territorio, le mette su un camion, le riporta alla recinzione, le ruba tutto e le manda in Turchia. Tutte cose che ovviamente non sono legali e che vengono fatte in modo piuttosto violento. I gruppi cercano di prevenire i pushback, con la consapevolezza che in Bulgaria la criminalizzazione della solidarietà è molto presente».

Nel corso della sua permanenza in Bulgaria, dunque, Garofano ha potuto incrociare i volti e le voci di molti migranti. «Sono venuto qui ad Harmanli perché c’è uno dei campi più grandi dei Balcani. Quando le persone ce la fanno a passare e non le viene fatto il pushback, cioè non vengono rimandate indietro in Turchia, vengono portate in un campo chiuso in cui restano quindici giorni. In questo lasso di tempo la polizia indaga sui loro nomi e se non ci sono particolari riscontri su precedenti penali vengono liberate e spostate nell’open camp di Harmanli che in passato ospitava migliaia di persone, mentre oggi ne ospita circa 300. E questo anche perché dopo la caduta di Bashar Al-Assad in Siria molti migranti, soprattutto i siriani, si sono visti negare l’asilo in Bulgaria. Tramite l’associazione No Name Kitchen giornalmente incontriamo persone che fanno la rotta Balcanica, in particolare magrebini e siriani che ripetono il “game”. La situazione dai racconti è molto pesante. Se prima della caduta di Bashar Al-Assad c’erano tante persone nei campi e si vedeva la presenza di gente in movimento, adesso è tutto più invisibile. Le persone ci sono, perché andando in foresta trovi vestiti, sacchi a pelo, scatolette di cibo, ma non si vedono più, cercano di non farsi vedere per poter arrivare in centro Europa prima di essere trovate da polizia o bande criminali».

Il racconto fotografico “Vite in Transito” è in continuo movimento. Dopo aver posato l’obiettivo sulle storie dei beneficiari accolti nei progetti Sai e su quanti provano ad arrivare in Europa passando lungo la rotta Balcanica, Garofano punta ad «ampliare la documentazione sull’immigrazione in Europa, perché appena posso vado anche nel Mediterraneo in modo da poter avere uno sguardo maggiore, espandere l’esperienza in altri Paesi, incontrando nuovi testimoni».

Arte e denuncia sociale per provare a smuovere le coscienze, a far riflettere, ad abbattere pregiudizi ed indifferenze. Un primo tentativo si è manifestato con l’allestimento di una piccola mostra fotografica in occasione della “Giornata Mondiale del Rifugiato” che si è svolta a Cerignola, in provincia di Foggia, dove la comunità ha potuto incrociare volti e sguardi di bambini, uomini e donne accolti nei progetti Sai rappresentati dalla macchina fotografica di Garofano nei piccoli gesti quotidiani che fanno tutti, come andare a prendere i figli a scuola, guardare la televisione, passeggiare per le strade, partecipare ad un laboratorio di sartoria.

“Vite in Transito”, appunto, che cercano di ricostruire i loro cammini dopo aver rischiato più volte di non farcela, di tornare indietro, di perdere la vita durante il viaggio che qualcuno paragona ad un interminabile e pericoloso “game”.
Tutte le foto sono di Francesco Garofano
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