Franco Lorenzoni

La scuola? Motore di rigenerazione urbana

di Redazione

La scuola come nodo fondamentale per pensare la ripartenza dopo la pandemia. Ma anche la scuola come spazio e come punto di incontro. Dialogo con Franco Lorenzoni fondatore della Casa-laboratorio di Cenci e tra i componenti del comitato tecnico costituito dal Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi

Un maestro, si definisce, Franco Lorenzoni, anche perché maestro elementare lo è stato per più di 40 anni, prima a Roma poi a Giove ha fondato la Casa-laboratorio di Cenci, in Umbria, che è un centro di sperimentazione educativa che si occupa di temi ecologici, scientifici, interculturali e di inclusione. Dal 2013 al 2019 ha fatto parte del Comitato Scientifico Nazionale per l’accompagnamento delle Indicazioni Nazionali e il miglioramento continuo dell’insegnamento, istituito al MIUR con Decreto Ministeriale. Di recente è stato nominato tra i componenti del comitato tecnico costituito dal Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi per analizzare le problematiche connesse ai tempi e ai luoghi degli apprendimenti sia da una prospettiva generale che in relazione alle esigenze poste dalla pandemia. Settimana scorsa a Franco Lorenzoni è stata assegnata la laurea honoris causa in Scienze della Formazione Primaria all’innovatore della pedagogia dall’università di Milano Bicocca, per avere «contribuito in modo originale alla crescita dell’innovazione educativa e didattica».


Trovo assurdo tenere chiuse le scuole laddove sono aperti i centri commerciali: questo è inammissibile. La scuola deve essere l'ultima a chiudere. Ci sono regioni come la Campania dove i bambini hanno fatto scuola in presenza meno di un mese dall'inizio dell'anno scolastico. Dobbiamo tenere conto di situazioni preoccupanti: disturbi di diversi tipi nei bambini, crisi depressive, attacchi di panico e autolesionismo tra gli adolescenti. La pandemia, purtroppo, ci accompagnerà per un tempo ancora lungo: va gestita l'emergenza, ma dobbiamo anche guardare oltre e intervenire sulle carenze strutturali della scuola che il virus ha fatto emergere.

Facciamo un passo indietro e passiamo a quelle che ha definito «carenze strutturali» della scuola. É stato insignito della laurea honoris causa in Scienze della Formazione Primaria allinnovatore della pedagogia dall’università di Milano Bicocca. In quell’occasione, nella sua lectio intitolata “Abitare i luoghi educativi. Il ruolo dello spazio nell’innovazione didattica”, ha lanciato un preciso appello, auspicando che «nel progettare nuove scuole e nel ristrutturare quelle che già ci sono…
Dobbiamo frequentare tanta bellezza per aprire porte e finestre, nutrire la nostra sensibilità e, soprattutto, sperimentare quanto sia efficace farlo insieme agli altri, incuriosendoci di ogni diversità. Dobbiamo pesare la scuola del domani, ma anche e soprattutto quella dell’oggi. Bisogna pesare alla relazioni educative a partire dagli spazi. Sono convito si possa fare scuola nelle città, nei musei, nei giardini. In questo la scuola deve imparare a rompere i suoi muri. L’esperienza tragica che stiamo vivendo della pandemia ha aiutato il sistema a ripensarsi. O almeno iniziare a farlo. È solo creando e ricreando di continuo comunità anche provvisorie, infatti, che ci alleniamo all'arte del convivere e ci dotiamo dei linguaggi e degli strumenti necessari per affrontare la vita ed avventurarci in territori sconosciuti.

Quindi secondo lei gli spazi sono fondamentali per i bambini e i ragazzi, anche le le scuole italiane “raccontano” altro?
Penso si debbano progettare nuove scuole e nel ristrutturare quelle che già ci sono siano chiamate le migliori energie e intelligenze di diverse professioni e siano coinvolti in prima persona bambine e bambini, ragazze e ragazzi perché siano immaginati e realizzati spazi dell'educare ispirati alla bellezza, alla partecipazione e all'arte del convivere, partendo dai territori più isolati e deprivati culturalmente. I bambini hanno bisogno delle relazioni, del corpo a corpo con gli oggetti e una tragedia nella tragedia di questa pandemia è l’aver fatto vivere ai ragazzi il contatto come contagio. Tutto questo anche per affrontare una sfida accentuata dall'esperienza tragica di un virus che ha seminato lutti ed evocato l'ombra di contatti fisici vissuti come possibile contagio. Diradare quest'ombra riappropriandoci del nostro corpo e di spazi da condividere è il compito che ci aspetta nei prossimi mesi e forse anni.

Nel riprogettare la scuola come istituzione cultuale e sociale, oltre che didattica, non si può prescindere dagli insegnanti: lei da dove partirebbe?
È urgente ripensare alla formazione degli insegnanti che deve essere obbligatoria e permanente. Chi insegna credo dovrebbe sentirsi in ricerca tutta la vita. C'è bisogno di intrecciare le discipline tradizionali con saperi nuovi e di sperimentare, soprattutto, comportamenti compatibili con una conversione ecologica più che mai necessaria. Ed esempio: la lotta ai cambiamenti climatici, portata avanti con convinzione dai giovani più coscienti, perché non dovrebbe trovare spazio nella scuola? La transizione ecologica è possibile solo se è c’è una parallela transizione culturale. Da molti anni la scuola è presa in scarsa considerazione nel nostro paese, ma per affrontare la pandemia e le gravi crisi che ci attendono c'è bisogno di più istruzione, più cultura, più scienza e più ricerca. Non possiamo perdere questa occasione per cambiare.

Alla scuola spesso si chiede molto di più rispetto a quando la scuola può fare o deve essere. La scuola però tra i suoi compiti ha ancora – e deve forse avere oggi più che mai – quello di costruire cittadinanza?
La scuola è piazza dove la piazza non c’è. Se la piazza è degrado, criminalità o assenza di relazioni, la scuola deve essere il posto dove i ragazzi, i loro genitori, le associazioni, il Terzo settore si prendono cura degli spazi comuni del quartiere. La scuola lo può fare e facendolo, insegna che le cose comuni sono responsabilità di tutti. Ci aspettano anni di rigenerazione. Meglio ancora: di riconversione ecologica. Questa riconversione deve partire dalle scuole ed essere responsabilità di tutti.

Per far sì che la scuola riparta anche da dai suoi istituti e dai suoi spazi, pensa che le risorse del Next generation EU siano sufficienti? Considerano che è un debito che graverà su di loro, sui nostri ragazzi…
Ci sono grandi investimenti da compiere a partire dalla diffusione dei nidi, dal tempo pieno da ripensare e diffondere in tutto il territorio nazionale a partire dai territori più fragili, da un ripensamento dell'educazione tecnica e professionale, un tema su cui Bianchi è molto sensibile. Il Comitato si occuperà delle competenze digitali e del ruolo strategico che rivestono gli ambienti di apprendimento, focalizzandosi anche sul recupero, ma non solo. E’ vero, ragazze e ragazzi sono rimasti indietro su alcuni apprendimenti, ma hanno anche imparato molto e dove, se non nella scuola, si può elaborare una esperienza così traumatica? C'è da dire che la grande maggioranza degli insegnanti sta lavorando tantissimo, anche se si trova nelle condizioni peggiori per farlo. Non si è perso tempo. L'obiettivo è quello di rimettere la scuola al centro del discorso pubblico e anche dell’immaginario collettivo, perché non c’è uscita dalla stagnazione senza una crescita culturale dell’intera società. L’importante è non sperare che tutto torni come prima nella scuola, perché nel contrasto alle disuguaglianze c'era e c'è ancora tanto da fare”.

Infine una domanda su un tema di cui si discute in queste settimane: la scuola in estate. Lei cosa ne pensa?
Io ho un sogno, che in estate le scuole siano aperte come i teatri e i luoghi della cultura. E che questa ripresa della vita culturale sia dedicata ai ragazzi perché hanno bisogno i bambini di tornare a immaginare. La mia opinione personale è che non si tratta di fare 15 giorni in più di lezioni a giugno, non credo nemmeno sia realistico perché le medie e le superiori hanno gli esami di Stato. Dovremmo cercare, piuttosto, di lavorare per tenere aperte le scuole in estate con il coinvolgimento del volontariato civile e del terzo settore. Penso a patti educativi di comunità, lo stesso ministro Bianchi li aveva indicati nel piano di ripartenza a maggio scorso. Le ragazze e i ragazzi hanno bisogno soprattutto di occasioni di incontro ad alta densità educativa, anche per fare tesoro dell'incredibile esperienza che stanno vivendo in questi mesi. L'idea intorno a cui stiamo cominciando a discutere sarebbe quella di aprire gli istituti proponendo attività artistiche, sportive e musicali, coinvolgendo anche i teatri, le biblioteche, tutte le realtà di un territorio. Non vorrei essere frainteso su una questione importante: la scuola pubblica deve rimanere al centro, non si vuole privatizzare l'educazione cominciando dall’estate. E soprattutto da questa estate di pandemia.

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