Rita Mazza

L’accessibilità è un lavoro di squadra

di Antonietta Nembri

Alla vigilia del Festival del Silenzio che prende il via giovedì 20 maggio a Milano, online e in presenza alla Fabbrica del Vapore, la direttrice artistica della manifestazione, artista sorda segnante, affronta il riconoscimento della Lis che «sembra in arrivo» e spiega il perché ci sia ancora tanta strada da fare perché l’accessibilità «è un percorso che richiede tempo» a partire da questa intervista

Prende il via giovedì 20 maggio la quarta edizione del Festival del Silenzio, evento internazionale di Perfomings Arts che dal 2018 propone forme artistiche fruibili da un pubblico misto di presone sorde e udenti. L’iniziativa ideata e promossa da Fattoria Vittadini prevede nei suoi quattro giorni – terminerà infatti il 23 maggio – un focus sulla cultura sorda segnante e sulle Lingue dei Segni avendo tra gli obiettivi quello di portare a conoscenza del grande pubblico la cultura sorda e le espressioni artistiche legate alle lingue dei segni.
Per esempio sabato 22 e domenica 23 Nicola Della Maggiora, Valentina Bani e Gabriele Caia saranno protagonisti di VV and Poetry show, due serate in cui saranno proposte poesie in Lingua dei Segni Italiana e brevi performance in Visual Vernacular, tecnica narrativa utilizzata dai performer sordi per raccontare storie in stile "cinematografico", rappresentando attraverso segni, gesti ed espressioni facciali i diversi personaggi e le azioni che avvengono in scena, come fossero viste da varie angolazioni della macchina da presa. Uno spettacolo unico e perfettamente godibile anche da chi non conosce alcuna Lingua dei Segni.

In cartellone non manca la danza e il cinema con alcune produzioni internazionali anche in lingua dei segni con sottotitoli (per il programma completo qui). Gli eventi sono previsti sia in modalità online sia in presenza nel rispetto dei protocolli sanitari. Quest’anno un ampio spazio è stato dedicato al dibattito sulle nuove sfide dell’accessibilità che saranno al centro anche dell’incontro inaugurale (ore 11.30) con il Convegno "Nuove frontiere di accessibilità" su buone pratiche di inclusione in ambito culturale condotto da Alessandro Cannavò.

In occasione della presentazione delle prima edizione del Festival, nel 2018 era stato sottolineato come l’Italia fosse l’ultimo tra i Paesi europei a non aver ancora riconosciuta la Lis (Lingua italiana dei segni). Ora che il riconoscimento sembra in dirittura d’arrivo (ne abbiamo parlato qui) abbiamo chiesto alla direttrice artistica del Festival, l’artista sorda segnante Rita Mazza (nella foto) di commentare questo auspicabile, anche se tardivo, riconoscimento e il rapporto tra mondo artistico e disabilità.
Le risposte, alle domande scritte, sono state tradotte dalla Lis perché, spiega Mazza «io rispondo con un video in cui io segno, ovvero utilizzo la Lis che è la mia lingua madre, poi siccome l’intervistatore/intervistatrice non conosce la Lis devo passare il video a un interprete che traduce per iscritto le mie riposte, dopodiché il testo scritto ritorna a me per l’ultimo controllo che le parole e le frasi utilizzate siano aderenti al mio pensiero, e solo alla fine di questo processo riesco ad inviare il testo definitivo». In occasione di questa intervista l’ideale, suggerisce Rita Mazza, sarebbe stato un video con la presenza di un interprete Lis perché «accessibilità è lavoro di squadra, nel rispetto dei tempi di tutti per gestire i propri bisogni. Accessibilità è costruire alleanze».

Il riconoscimento della Lis sembra in dirittura d'arrivo…
“Sembra” è il termine corretto. Siamo infatti a pochi passi dall’approvazione del disegno di legge per il riconoscimento che ancora non è stato approvato definitivamente. Ora è tornato alla Camera per la definitiva approvazione per l’ennesima volta, è già successo diverse volte negli anni passati che si arrivasse a questo punto, cambiano i senatori che decidono di sostenere la causa della comunità sorda per il riconoscimento della Lis, cambiano gli interessi ma poi, per un motivo o per un altro, l’iter si blocca, sopraggiungono altre priorità, cade un governo… e si ricomincia da capo. Questo continuo mancato riconoscimento reiterato mi ha fatto perdere ogni speranza, quindi ora rimango in attesa del riconoscimento e mi potrò dire soddisfatta solo quando lo otterremo, non nutro particolari speranze o aspettative, attendiamo e staremo a vedere.

… riconoscere la Lis significa dare visibilità e conoscenza della comunità Sorda e della persona Sorda in quanto tale.

Quali le principali ricadute di questo riconoscimento?
Le conseguenze non posso dire se saranno grandi o piccoli cambiamenti, sicuramente avere una seconda lingua ufficiale, al pari dell’italiano come prima lingua dello Stato, porterà una maggiore ricchezza alla cultura italiana; allo stesso modo di altre lingue insegnate a scuola, come l’inglese, potrebbe esserci anche la Lis che sicuramente darà a tutti i bambini che la potranno studiare una maggiore apertura mentale e uno stimolo alle capacità cognitive legate alla sfera della comunicazione visiva e gestuale. In generale imparare un’altra lingua è sempre un processo di crescita e di assimilazione di una nuova cultura, una diversa visione del mondo che può portare solo benefici. Per quanto riguarda la vita di tutti i giorni per la persona Sorda il riconoscimento della Lis dovrebbe portare ad un ampliamento dell’accessibilità in diversi servizi pubblici e il correlato riconoscimento del diritto di poter richiedere che questi servizi vengano resi accessibili, ad esempio un’accessibilità dei programmi televisivi tradotti in Lis – che ora sono pochissimi, oppure servizi all’interno degli ospedali… in generale significherà poter andare in qualunque ufficio e luogo pubblico e avere il diritto di ricevere ogni tipo di informazione anche in Lis, oltre a poter a nostra volta comunicare liberamente con la nostra lingua. Oltre all’ampliamento dell’accessibilità nei vari servizi il riconoscimento porta con sé un processo di riconoscimento identitario: riconoscere la Lis significa dare visibilità e conoscenza della comunità Sorda e della persona Sorda in quanto tale.


Da sx, Valentina Bani, Gabriele Caia e Nicola della Maggiorana, saranno i protagonisti (sabato 22 e domenica 23) di VV and Poetry show, saranno proposte poesie in Lingua dei Segni italiana e brevi performance in Visual Vernacular


Il riconoscimento della Lis è certo un passo avanti, quali sono gli ulteriori aspetti da tenere presenti per una vera accessibilità? A livello culturale e sociale
In passato, nelle prime proposte di legge per il riconoscimento della Lis, ci si riferiva a questa lingua come “strumento comunicativo” usato dalle persone sorde oppure come una “forma di supporto alla comunicazione” per le persone sorde. Questi termini sono sbagliati e hanno creato diversi equivoci. La Lis è una lingua vera è propria, una lingua naturale che si è arricchita e strutturata nel tempo, con una propria grammatica e sintassi, con delle regole proprie, veicolo di una cultura, quella della comunità Sorda, e fortemente legata alla storia di questa comunità. Come ogni altra lingua, se la Lis è appresa e acquisita in modo corretto come propria lingua madre permette di creare la base per poter poi apprendere altre lingue, sia parlate sia scritte. Ma ancora oggi ci sono tanti equivoci, soprattutto in ambito educativo, che considerano la Lis solo come uno strumento di supporto all’apprendimento e all’accessibilità, non come una lingua vera e propria. Accessibilità per me significa ascolto e attenzione dei reali bisogni della persona, è un processo di scambio e dialogo in cui è importante chiedere al diretto interessato quali sono i servizi di cui ha bisogno, quali sono le modalità e gli strumenti più funzionali, è un percorso condiviso che va attuato insieme al soggetto in questione.
Purtroppo, negli anni, troppo spesso ho visto la persona sorda confrontarsi con la persona udente, che sa poco, se non addirittura nulla, della cultura Sorda e che quindi porta la persona Sorda, cresciuta all’interno della comunità di maggioranza udente e che ne conosce le dinamiche, a dover fare un lavoro doppio per poter interagire e relazionarsi con la persona udente. Per lavoro doppio intendo il doversi sforzare a parlare per farsi capire dall’altro, oppure a scrivere in italiano per permettere all’altro di capirci. Quando ci confrontiamo con lo straniero che parla un’altra lingua si cerca di trovare una lingua comune, si lavora da entrambi i fronti per fare in modo che l’obiettivo comunicativo possa essere raggiunto, perché questo non succede anche con la persona sorda? Perché non si fa uno sforzo per imparare un poco di Lis? Oppure utilizzare altri sistemi comunicativi come la gestualità e la mimica, oppure entrambi utilizzare la scrittura per comunicare. La vera Accessibilità è comprendere e riconoscere l’altro, da entrambi i fronti, e lavorare insieme per raggiungere la parità nelle relazioni interpersonali. Come ho detto prima in riferimento al riconoscimento della Lis e agli equivoci generati dall’utilizzo di termini non corretti, riscontro le stesse problematiche di poca attenzione e consapevolezza anche all’interno di articoli di giornale o riviste. Vedo troppo spesso ancora l’utilizzo di termini come 'audioleso', 'sordomuto', 'non udente' ecc. oppure 'linguaggio' anziché lingua (errore che vedo troppo spesso!) e l’atteggiamento, fortemente maleducato e di non rispetto, è proprio il “non chiedere” ed interpellare la comunità Sorda per capire quali sono i termini corretti, qual è il modo più corretto per parlare di essa; scrivere di una comunità senza conoscerne la cultura e le istanze, senza entrarci in contatto, rischia di diventare dannoso, così come in generale per parlare di qualunque altra cultura è estremamente importante conoscerla ed entrarci in contatto, nel rispetto della comunità stessa.

Il mondo artistico e la disabilità una relazione facile?
Sicuramente c’è ancora tanto lavoro da fare in quest’ottica. Cominciamo ragionando sulla divisione a priori del mondo artistico e quello della disabilità: perché questi due mondi devono essere considerati divisi e dobbiamo cercare il modo in cui possono relazionarsi? Questa divisione in categorie è già inconsciamente un perpetuarsi degli stereotipi che ci vede su due mondi paralleli e su cui bisogna fare un lavoro postumo di integrazione e relazione, molto più difficile e faticoso. È come se l’artista con disabilità si debba confrontare sempre con la maggioranza della programmazione/produzione artistica “abile” e debba adattarsi ai suoi standard, ai suoi sistemi, alle sue modalità, ovviamente con il doppio del lavoro. Ad esempio, la produzione artistica della comunità Sorda è già ricca di proprie produzioni, come il VV (Visual Vernacular) o la poesia in Lis, oppure la canzone in Lis, senza musica ma con un forte componente visiva, che però per farsi “accettare” dalla maggioranza udente spesso è costretta ad aggiungere la musica, come a dover dimostrare che anche noi Sordi ce la possiamo fare a produrre “musica” e che siamo allo stesso livello. Ma noi non abbiamo bisogno di dimostrare di essere al pari degli artisti udenti/abili, dovremmo già esserlo senza dover dimostrare nulla!

Chi l’ha detto che bisogna seguire determinate regole per poter fare arte? Fare arte è anche scardinare le regole imposte dalla norma, partire dal proprio vissuto, dalla propria idea creativa, dal proprio sentire e dalla propria sensibilità, questa è già arte.

Quali gli stereotipi più duri a morire?
La mentalità di vedere il prodotto artistico della persona con disabilità come accettabile se segue o si avvicina agli standard della maggioranza normodotata è sbagliata. Tante volte, parlo in generale, quando si vede una persona con disabilità che fa uno spettacolo di danza o utilizzando la Lingua dei segni ci si stupisce che sia stata in grado di farlo, c’è un po’ l’atteggiamento del “WOW, anche lui/lei può fare queste cose”…ma perché ci si stupisce di questo? Bisognerebbe guardare l’artista con disabilità in quanto persona, in quanto artista, riconoscendone l’impegno, la creatività e il talento e complimentarsi per quello, valutandone i risultati in quanto tali e non perché è una persona disabile.
Troppe volte sono stata chiamata per dei ruoli in cui dovevo interpretare una persona sorda e sono stata scelta solo per quello, non perché ho del talento. È questa la differenza su cui voglio mettere l’accento: è importante essere riconosciuti ed apprezzati per il proprio lavoro, nel mio caso essere scelta perché sono una brava attrice e non per il mio essere sorda. Io credo che nel mondo dell’arte manchi un riconoscimento della diversità e della moltitudine di colori che la diversità può offrire. In generale poter accedere al mondo artistico è difficoltoso e richiede un grande sforzo per superarne i pregiudizi, prendiamo ad esempio il mondo della danza, un mondo fatto su misura del corpo abile, con le sue regole e rigidità estetiche che spesso esclude i corpi diversi con il preconcetto che solo certi corpi possono fare danza; invece non è così, tutti possono danzare. Chi l’ha detto che bisogna seguire determinate regole per poter fare arte? Fare arte è anche scardinare le regole imposte dalla norma, partire dal proprio vissuto, dalla propria idea creativa, dal proprio sentire e dalla propria sensibilità, questa è già arte. Auspicherei un futuro di integrazione, che ancora oggi manca. Ad oggi quando partecipo o vengo invitata a un festival organizzato e realizzato da persone con disabilità mi sento tranquilla e senza preoccupazioni, non sento nessun pregiudizio nei miei confronti, vengo guardata in quanto persona. Mi sento come a casa, all’interno di una safe zone; ancora di più se è un Festival per Sordi dove posso comunicare liberamente con la mia lingua. Al contrario quando devo lavorare all’interno di un contesto di udenti mi sento spesso sotto giudizio, con lo sguardo dell’udente che si chiede se sarò in grado di fare una determinata cosa oppure no, questo nodo alla gola che si crea non mi da la serenità di poter lavorare al meglio ed è la prima cosa che deve essere eliminata.
Altrimenti non si crea una vera integrazione e la persona disabile dovrà sempre lavorare il doppio e sforzarsi per essere riconosciuta e invitata in determinati contesti artistici, come se dovesse essere per forza il più bravo di tutti, per poi dimostrare agli “altri” che lui “può fare”. Ecco credo che questo sia uno degli stereotipi più importanti da dover superare.

Nell'immagine in apertura della Compagnia AiEP/Sofia Casprini e Loredana Tarnovschi che al festival presentano Huracan (21 maggio), nella versione assolo di Sofia Casprini

Tutte le immagini sono fornite dall'ufficio stampa

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