Volontariato

Per le strade del Niger, il Paese più povero al mondo

di Daniele Biella

Il resoconto del viaggio fra gli ultimi della nazione africana realizzato da Gennaro Giudetti di Operazione Colomba e Laila Simoncelli di Comunità Papa Giovanni XXIII

“La tenuta del Niger come Paese può crollare da un momento all’altro. Non per i migranti di passaggio, che tutto sommato sono monitorati e fino a poco fa, prima delle strette al traffico, generavano reddito alla paopolazione. Piuttosto per una società al collasso su tutti i fronti, e una povertà così elevata che lascia campo aperto a chi vuole approfittarne, estremisti compresi”. Gennaro Giudetti, 28 anni, sa bene di cosa parla: per il Corpo civile di pace Operazione Colomba ha vissuto anni tra Territori palestinesi, campi profughi siriani in Libano e comunità della Colombia prima di salire a bordo, tra il 2016 e il 2017, sempre come volontario, in diverse missioni di salvataggio nel mar Mediterraneo, l’ultima delle quali lo scorso 6 novembre con l’ong Sea-Watch, divenuta famosa per il comportamento violento della Guardia costiera libica presente sullo scenario. Di origini tarantine, Giudetti è appena tornato da una missione esplorativa di 10 giorni in vari punti del Niger – “in particolare la città di Agadez, la capitale Niamey e i loro dintorni, accompagnati da persone del luogo membri di associazioni fidate e della Chiesa locale” – assieme a Laila Simoncelli, responsabile migranti dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, di cui Operazione Colomba fa parte.

Quali sono gli aspetti più evidenti che fanno del Niger un Paese sull’orlo del baratro?
L’immagine più contundente che mi è rimasta impressa di questa nazione, la più povera al mondo ma anche quella che ha uno dei più alti tassi di natalità, è l’enorme numero di bambini di strada. Sono parecchie migliaia e in ogni parte delle città, anche piccolissimi ovvero da 8 anni di vita. Abbiamo passato molto tempo con alcuni gruppi di ragazzi proprio per capire motivazioni e bisogni. Non è stato facile perché hanno abbandonato talmente presto la scuola da non sapere nemmeno il francese, lingua ufficiale oltre all’hausa, la lingua locale più parlata. Sono scappati da casa per cercare lavoro in città, molti di loro non sanno dove sono i genitori oppure hanno i padri in carcere. Non trovando da fare in città, chiedono l’elemosina e passano il tempo sniffando colle che li rendono nervosi e senza lucidità, del tutto anaffettivi. Scappano dalla Polizia perché hanno paura di essere picchiati, ti chiedono centesimi per tornare alle loro case, ma se ciò accade poco dopo tornano in città perché là non c’è alcuna prospettiva di vita. Nessuno di loro pensa di andare all’estero, è una situazione talmente complicata che è già tanto se arrivano a fine giornata. Tra l’altro pochissime organizzazioni non governative si occupano di loro. Lo stesso vale per l’altro problema endemico che abbiamo riscontrato, la prostituzione, anche quella di minorenni.

È così evidente la prostituzione?
Sì, sono soprattutto ragazze nigeriane che si prostituiscono per i ricchi nigerini, che ci sono in grande quantità nei quartieri ricchi delle città, seppure in netta minoranza nel Paese: possiedono 3-4 macchine quando più del 90 per cento della popolazione non ne ha una, è sono gli unici a potersi permettere un volo interno tra le città che costa almeno 350 euro andata/ritorno, un’enormità per i guadagni locali. Il problema è che la prostituzione di minorenni è fuori legge ma solo sulla carta, è molto difficile che qualcuno finisca in prigione per questo. La sera vedi chiaramente il fenomeno, nonostante la Polizia cerchi di pattugliare il territorio. Molte donne si prostituiscono in case che usano a tale scopo, e si recano a incontrare i clienti nei bar cittadini.

Un occidentale può osservare quello che accade girando liberamente?
Un uomo, con tutte le accortezze del caso, non ha problemi in città, mentre la donna soprattutto la sera se vuole uscire deve essere accompagnata da qualcuno che sa muoversi. Durante il giorno, anche nelle zone periferiche, l’accoglienza è quella di persone curiose, e i bambini non smettono di sorridere pur non avendo nulla. Ben fuori dalle città, nelle zone più desertiche, è impossibile andare se non scortati da convogli di militari che battono quelle strade, ma costa almeno 500 dollari al giorno e il pericolo rapimenti è molto alto (a metà aprile è stato rapito un cooperante tedesco, ndr).

Quali argomenti affronta la popolazione locale quando vi incontra?
C’è molto malcontento, in particolare perché è sentimento diffuso il fatto che la presenza internazionale è prevalentemente per le risorse naturali: molti sono risentiti con l’ex colonizzatore, la Francia, accusata di portare via tutto l’uranio dalle miniere del Niger non lasciando nulla dei guadagni al popolo nigerino. Inoltre, un’altra frase comune è “tutti i pensano ai migranti, ma nessuno pensa a noi”, dato che sono pochi i progetti di cooperazione internazionale attivi per i locali. C’è un problema enorme, per esempio, per gli sfollati interni che arrivano da zone confinanti con Mali e Nigeria dove Shabaab e Boko Haram terrorizzano la popolazione. Molti di questi sfollati sono minorenni, almeno per loro è attivo un programma speciale per il reinserimento scolastico, ma non è affatto facile dato che la scuola stessa è stato uno dei settori più colpito dai tagli governativi degli ultimi anni.

Anche la scuola quindi non regge come baluardo?
No. L’alfabetizzazione è molto bassa, molti insegnanti hanno perso il lavoro per i tagli e chi lo fa spesso opera da volontario con tutte le limitazioni del caso. Le scuole sono aperte pochi mesi all’anno proprio per la carenza di figure educative. Molti bambini finiscono a mendicare, soprattutto quelli che vengono dalla madrasa, la scuola coranica, sono insistenti anche se questo fenomeno è in diminuzione dopo alcune azioni culturali governative. In tutto questo, il rischio radicalizzazione è tangibile: ho sentito frasi come “l’Europa ruba tutto”, “gli islamisti fanno bene” e questo è preoccupante perché la tenuta del Paese, ribadisco, potrebbe crollare.

La presenza militare, compresa quella italiana che si è aggiunta pochi mesi fa, non argina il rischio radicalizzazione?
I militari internazionali si occupano di mantenere alto il livello di sicurezza, anche se è visibile il senso di occupazione che suscitano, soprattutto per l’alta presenza di francesi, oltre a tedeschi e statunitensi. Gli italiani finora sono pochi, 40, ma dovrebbero aumentare.

Quali incontri istituzionali avete fatto?
Con il vescovo di Niamey e in particolare il missionario italiano padre Mauro Armanino, presente a Niamey dal 2011, abbiamo avuto incontri molto pieni di contenuti, così come con il console italiano Paolo Giglio e la responsabile per il Niger di Unhcr, Alto commissariato delle Nazioni unite, l’italiana Alessandra Morelli.

Come hai visto la situazione dei migranti di passaggio in Niger?
L’aumento dei controlli e la chiusura delle rotte che si erano consolidate negli e tollerate dalle autorità nigerine, il cui indotto arrivava alla popolazione locali, ha reso sempre più costosi e rischiosi i viaggi dei migranti che arrivano da Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Sudan, Sud Sudan o altri Paesi. A questi si aggiungono i rimpatri dalla Libia, che sta seguendo Unhcr: le persone liberate dai campi di detenzione libici e trasferiti in Niger passano poche settimane in campi appositi gestiti da Unhcr e Oim, Organizzazzione internazionale per le migrazioni, prima del rimpatrio nel Paese di provenienza. Che però non si può fare nel caso dei sud sudanesi, che sono sospesi in un limbo pericoloso. Il governo nigerino, comunque, a parte questa situaizone delicata, nonostante le difficoltà è un governo “accogliente” che sta facendo di tutto per far fronte ai flussi migratori.

Qual è il problema per le persone del Sud Sudan?
Una volta riportati in Niger, luogo da cui sono passati, dalla Libia, questi profughi non possono tornate in patria a causa della guerra ma nemmeno chiedere asilo politico in Niger dato che il governo nigerino non accetta la loro richiesta. Di fatto, quindi, non sono seguiti da nessuno non avendo documenti ufficiali.

Una volta tornati dal viaggio, pensate di tornare in Niger come presenza fissa?
Come Operazione Colomba e Comunità Papa Giovanni XXIII, tale presenza si sta valutando una presenza fissa nel Niger, in particolare per affiancarci alle problematiche che abbiamo riscontrato come più urgenti: le condizioni dei bambini di strada, delle donne che si prostituiscono e degli sfollati interni.

Fotografie: Gennaro Giudetti

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