Classe 2004, Sephani Maddage ha la cittadinanza italiana da tre anni. «L’ho ottenuta subito dopo i miei genitori, poco prima di diventare maggiorenne». Sua madre e suo padre sono arrivati in Italia dallo Sri Lanka. Lei, prima di tre figli, è nata in provincia di Fermo. Studia Scienze politiche, sociali e internazionali all’Università di Bologna. «Ho vissuto tutto l’iter per ottenere la cittadinanza insieme ai miei genitori, che sono diventati cittadini italiani nel 2022 e, per naturalizzazione, lo siamo diventati anche io e i miei due fratelli».
Ci racconta questo iter?
Oggi Fermo è provincia, ma prima del 2010 non lo era. Per rinnovare il permesso di soggiorno, così, dovevamo andare ad Ascoli Piceno, a un’ora e mezza di macchina da casa, perché a Fermo la questura non c’era. All’epoca non c’era nessuno che potesse mediare tra la mia famiglia e gli agenti in questura, e in generale con tutto il mondo della burocrazia. Parliamo di paesini, di borghi in cui si aveva difficoltà ad essere indirizzati verso l’iter da seguire. Anche le informazioni, sia relative alla legge, sia in generale ai passaggi burocratici, erano difficili da reperire. Adesso ci sono varie cooperative sociali, associazioni che accompagnano le persone migranti nelle pratiche per il rinnovo dei permessi di soggiorno o per trovare un lavoro. Io mi sono trovata, sin da piccola, a dare il mio contributo.
In che modo dava il suo contributo?
Fin da bambina mi sono ritrovata a fare da mediatrice, sia a livello linguistico sia culturale, nella compilazione dei documenti, nel rispondere alle domande. Mi sono data da fare per aiutare le persone vicine a me, sin dall’età di cinque-sei anni. Nonostante fossi una bambina, ero spesso allo sportello dell’ufficio immigrazione o della questura, per aiutare chi sapeva la lingua italiana meno bene di me. Io, essendo nata in Italia, sapevo l’italiano meglio dei miei genitori. Questo mi ha portato ad adultizzarmi molto presto.

Spesso accade che una persona con un background migratorio, che dall’accento si percepisce che non è italiana, viene denigrata o trattata in modo infantile. Ricordo che in qualsiasi luogo pubblico, negli uffici, ma anche alle poste o in ospedale, le persone si rifiutavano di parlare in inglese, volevano che i miei genitori (o altri miei connazionali) parlassero in italiano. I miei genitori mi hanno trasmesso l’importanza del sapere, delle parole come strumento sia di “resistenza” sia di autodeterminazione. Più leggevo, più parole imparavo e più ero in grado di “difendermi”: difendere me stessa ma anche loro. Purtroppo, però, questo nel tempo diventa un’arma a doppio taglio.
Perché?
Perché ti ritrovi a dover essere sempre un po’ sull’attenti. Quel tipo di clima ostile ha reso emotivamente più difficile il processo dell’ottenimento della cittadinanza, che già di base è difficile. I miei fortunatamente ci sono riusciti.
I suoi genitori ci sono riusciti: dopo quanti anni in Italia?
I miei genitori hanno ottenuto la cittadinanza dopo quasi 20 anni in Italia. Il problema era il requisito del reddito, deve essere di quasi 8.300 euro per tre anni consecutivi. Loro avevano fatto richiesta insieme e avevano anche figli a carico, è stato un processo abbastanza lungo per questo. Ma sono stati fortunati, perché il momento in cui hanno fatto richiesta era prima del Covid e prima del governo Salvini. Mio padre e mia madre infatti già godevano del permesso di soggiorno illimitato, che si otteneva nel momento in cui si riusciva a dimostrare un reddito stabile: dal momento che hanno sempre avuto un contratto di lavoro, quando avevo 10-12 anni non siamo più dovuti tornare sempre in questura per aggiornare il permesso.
I miei genitori mi hanno trasmesso l’importanza del sapere, delle parole come strumento sia di “resistenza” sia di autodeterminazione
Dopo il governo Salvini, invece, il permesso di soggiorno illimitato ha cessato di esistere. L’abbiamo scoperto attraverso l’esperienza di mia zia che, per il requisito di reddito, non ha mai potuto fare richiesta della cittadinanza. Lei ha scoperto dell’inesistenza del permesso di soggiorno illimitato quando è dovuta andare in ospedale e si è ritrovata con la tessera sanitaria che non era più valida. Non era stata avvisata, non aveva avuto nessuna notifica di avviso, si è trovata in ospedale in una situazione di irregolarità. Le esperienze delle persone vicine a me mi hanno fatto capire quanto pesi la discrezionalità della legge 91 del 1992.
Ci spieghi meglio.
Questa legge è scritta in un modo, però poi nell’atto pratico ci sono tanti cavilli e difficoltà sia legate alla burocrazia sia alle variazioni, a seconda del luogo in cui si fa richiesta di cittadinanza.
Lei è un’attivista di “Dalla parte giusta della storia”, un’iniziativa promossa dalla Rete per la riforma della cittadinanza, per rivendicare il riconoscimento di oltre un milione di giovani nati e/o cresciuti in Italia. Perché ha deciso di diventare attivista?
“Dalla parte giusta della storia” è una delle associazioni promotrici del referendum sulla cittadinanza dell’8 e 9 giugno. Ho fatto un percorso con ActionAid che mi ha avvicinata a questa realtà. Le mie esperienze di vita mi hanno portata, sin da piccola, ad avvertire che nelle norme c’erano delle lacune di cui percepivo il peso. Soltanto recentemente, anche attraverso questa associazione, ho imparato le modalità con cui queste lacune influenzano le nostre vite. Noi sosteniamo la riforma della legge 91/1992 perché è vecchia di oltre 30 anni ed è anacronistica, ormai non rappresenta più la società italiana di oggi perché più di due milioni e mezzo di persone, all’incirca il 9% della popolazione che vive in Italia, ha un background migratorio.
Tra i banchi di scuola, un bambino su nove ha i genitori stranieri, ma nella maggioranza dei casi è nato e cresciuto in Italia. Io sono nata in Italia, ma ho dovuto aspettare quasi 18 anni prima di diventare italiana. I miei genitori hanno ottenuto la cittadinanza poco prima che raggiungessi la maggiore età, altrimenti avrei dovuto aspettare il diciottesimo anno e poi fare richiesta. E in questo caso c’è un altro cavillo.
Quale cavillo?
Se richiedi la cittadinanza tra i 18 e i 19 anni, devi soddisfare solo il requisito della residenza legale e continuativa in Italia per 10 anni. Altrimenti, se fai richiesta dopo aver compiuto 19 anni, devi soddisfare tutti i requisiti, anche quello di reddito. Considerando la situazione di precarietà lavorativa, soprattutto tra i giovani, capisce che diventa difficilissimo per un ventenne ottenere la cittadinanza: spesso ci si mette molto più di 10 anni.
Quali difficoltà ha avuto, quando non aveva la cittadinanza italiana?
Durante gli anni delle scuole medie avrei avuto la possibilità di fare un viaggio a Londra, per imparare meglio l’inglese. Purtroppo mi è stata negata quest’opportunità perché i tempi del visto con il mio passaporto srilankese erano troppo lunghi rispetto all’organizzazione del viaggio. Queste sono le situazioni che vivono tutti i miei coetanei nati e cresciuti qui, che per tantissimi anni non possono partecipare a gite scolastiche all’estero o a gare e competizioni sportive a livello nazionale.
Il percorso verso l’ottenimento della cittadinanza è un vero e proprio gioco dell’oca
Chi non è nato in Italia e ci arriva a 8-10 anni, studia e si laurea, ad esempio a Medicina o Giurisprudenza, se non ha la cittadinanza spesso non può svolgere la professione per cui ha studiato perché non può partecipare ai concorsi pubblici. E neanche ai bandi Erasmus perché deve mantenere il requisito degli anni di residenza: non può permettersi un anno all’estero per studiare o per lo sport. Chi non ha ancora la cittadinanza studia anche a livelli alti, poi si ritrova a non poter lavorare in ospedali, scuole, uffici. È una grandissima risorsa che si perde.
Durante l’università se non hai la cittadinanza non puoi andare in Erasmus. E chi si laurea in Italia ma non ha la cittadinanza non può partecipare ai concorsi: magari ha fatto medicina e ci perdiamo un medico
I contributi versati dai lavoratori e lavoratrici con background migratorio sono di otto miliardi di euro l’anno, per non parlare di tutte le spese, ad esempio per rinnovo del permesso di soggiorno. Chi non è cittadino italiano non può votare, anche se è maggiorenne, se è una persona molto informata e vorrebbe contribuire. Lavora, paga le tasse ma non può avere una voce nel Paese in cui cresce. Le persone che fanno richiesta di cittadinanza lavorano o vivono qui da oltre 20-30 anni. Per poterla richiedere, oltre ai requisiti del reddito e della residenza che dicevo, ne devono possedere altri.
Quali?
Per richiedere la cittadinanza italiana bisogna dimostrare di non avere nessun precedente penale, un livello di italiano B1, di essere in regola con il pagamento di tasse e multe. Si è perennemente in uno di stato di controllo verso le persone che fanno richiesta di cittadinanza e che rinnovano il permesso di soggiorno. Trovo assurdo quello che viene detto, da alcuni, contro il quinto quesito referendario, secondo cui la cittadinanza verrebbe “regalata” dopo cinque anni. Questa frase è estremamente fuorviante, viene smontata da come è strutturata la legge e dalla realtà stessa.

Per lei, cosa rappresenta il referendum sulla cittadinanza?
Per me e per “Dalla parte giusta della storia” questo referendum è un piccolissimo tassello, è un inizio di una riforma che noi vorremmo fosse totale della legge 91 del 1992. Delle informazioni fanno fatica a passare, quindi molti italiani non sanno che il percorso verso l’ottenimento della cittadinanza è un vero e proprio gioco dell’oca: non sai mai in quale casella ti trovi, magari avanzi di una e poi torni indietro di tre, oppure torni al punto di inizio…
Foto fornite dall’intervistata
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.