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Ucraina, che possiamo fare per una pace possibile?

Nella serata di lunedì 20 febbraio la Sala degli Angeli di Milano si è riempita di voci, racconti, testimonianze di reti della società civile, associazioni, cittadini ucraini, dissidenti russi. Un evento, a cui hanno partecipato oltre 230 persone, nato dalla collaborazione tra VITA, Teatro Oscar-Desidera e Mean, per raccontare la marea di azioni di pacificazione che la società civile è stata capace di fare in questo anno

di Redazione

L’Ucraina 12 mesi dopo. Nel Paese 17.6 milioni di persone, il 40% della popolazione, ha bisogno di assistenza umanitaria. Otto milioni di persone sono rifugiate in altri Paesi, sei milioni sono diventate sfollati interni. L’anniversario «della sciagurata e crudele invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci pone davanti un catalogo di sofferenze, di crimini, di sangue, difficile da sostenere per gli occhi e per il cuore. Sul corpo della “martoriata Ucraina” come la chiama papa Francesco, e perciò sui corpi dei suoi cittadini, si sono consumate ogni tipo di atrocità», spiega bene Riccardo Bonacina nell’editoriale del numero di VITA di febbraio “Occupy Ucraina”. «Ma l’anno passato dal 24 febbraio 2022», continua, «non ci restituisce solo un catalogo degli orrori, ma anche un’infinità di bene, di azioni che hanno il merito non solo di sostenere le vittime ma anche di indicare la via per un futuro desiderabile, non più di guerra ma di pace e perciò di fraternità. Una fraternità intravista come almeno desiderabile anche se ancora lontana».

Ed è da questa convinzione che è nata – dalla collaborazione tra VITA, il teatro Teatro Oscar di Milano e il Mean – Movimento europeo di Azione non Violenta, una serata, un momento di incontro chiamato “Occupy Ucraina – la pace possibile”. E così nella serata di lunedì 20 febbraio il teatro Oscar si è riempito di voci, racconti, testimonianze di reti della società civile, associazioni, cittadini ucraini, dissidenti russi. Un evento, a cui hanno partecipato oltre 230 persone, nato anche per interrogarci su cosa dobbiamo e possiamo fare noi per la costruzione di una pace possibile nel Paese.

A moderare la serata il fondatore ed editorialista di VITA, Riccardo Bonacina. «Occupy Ucraina», ha spiegato Bonacina, «sta a indicare quanto quella marea di azioni nonviolente sia riuscita a riempire l’Ucraina abbracciandola nei suoi bisogni e che insieme nomina un auspicio, quello di un desiderio forse un po’ visionario ma reale, quello di invadere l’Ucraina con la presenza di milioni di cittadini europei come forza di interposizione che impedisca il protrarsi delle violenze». Da una serata così siamo usciti commossi, pieni, più consapevoli che questa guerra e chi ne vive l’orrore sulla pelle tutti i giorni è una guerra che ci riguarda. Come a riguardarci deve essere l’impegno per trovare una risposta: “Cosa possiamo fare noi, tutti noi, per costruire la pace?”.
«Abbiamo perso la nostra dimora, vale a dire l’intimità della vita quotidiana. Abbiamo perso il nostro lavoro, cioè la fiducia di essere di qualche utilità nel mondo. Abbiamo perso la nostra lingua, ossia la naturalezza delle reazioni, la semplicità dei gesti, abbiamo lasciato i nostri parenti, mentre i nostri migliori amici sono stati assassinati”», ha esordito Bonacina, citando Hannah Arendt per raccontare la sua sofferenza da rifugiata costretta a lasciare il suo Paese. «Ed è la stessa sofferenza», ha continuato, «delle donne ucraine, fuggite dalla guerra con i loro figli». Alcune di loro erano presenti, sono state accolte dalla parrocchia e dai volontari di don Orione, la sceneggiatrice e attrice Carolina de’ Castiglioni è stata con loro per alcune settimane, nel video trasmesso durante la serata ci ha restituito non solo la loro fatica ma anche tutta la loro forza.

«Che cosa deve ancora succedere?», aveva chiosato Papa Francesco nell’Angelus dello scorso 2 ottobre. «Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione?», abbiamo riascoltato il suo appello attraverso la voce dell’attrice Giulia Villa. E in guerra tra le vittime c’è anche la verità ha ricordato Bonacina. «Per questo bisogna esser grati a chi fa di tutto per farci avvicinare agli eventi, per chi fa di tutto per raccontarci ciò che succede». E così abbiamo potuto ascoltare la testimonianza preziosa della giornalista Stefania Battistini, inviata del Tg1, il sottofondo delle sue parole era il suono drammatico delle bombe che stanno cadendo su Bachmut, nell'oblast' di Donec’k.

«E non possiamo non ricordare», ha sottolineato Bonacina, «i giornalisti Andrea Sceresini e Alfredo Bosco, professionisti, reporter che raccontano all’Italia cosa sta accadendo alla popolazione ucraina sin dal 2014. Si tratta di due persone per bene e chiaramente sempre dalla parte delle popolazioni martoriate, come dimostrano i lavori che hanno svolto in tanti altri contesti. In questi anni sono stati voci instancabili del racconto delle sofferenze della popolazione ucraina ma oggi sono in attesa di essere interrogati dei servizi segreti ucraini, ed è stato ritirato loro il pass dei giornalisti. La libertà di espressione, la libertà dei media e il pluralismo sono un valore fondamentale dell'Unione europea di cui l'Ucraina vuole fare parte. Per questo chiediamo di lasciarli liberi di svolgere il proprio lavoro come testimoni civili e coraggiosi di cui la popolazione ucraina, ma anche tutti noi, abbiamo bisogno».

E poi un collegamento commovente direttamente dall’Ucraina, da Leopoli, con Ihor Boyko, rettore del seminario greco – cattolico della città intervistato da Anna Spena. Il seminario è diventato centro di accoglienza per gli sfollati interni. Ora lui passa le giornate a raccogliere e distribuire gli aiuti nelle città dell’Est del suo Paese: «Grazie a tutti gli italiani che ci supportano», ha tenuto a dire. «Le facce dei volontari arrivati qui sono state la nostra speranza. Grazie che siete sempre con noi». Dopo un anno dall’inizio del conflitto: «Noi resistiamo», ha raccontato, «resisteremo finché sarà necessario. La cosa che mi dispiace molto è che Putin e l'esercito russo non riescono a capire che siamo un popolo veramente forte, forte. Siamo uniti, siamo un popolo infrangibile. Ma lui comunque continua a distruggere le nostre città, distruggere edifici dove abita la gente civile, distruggere ospedali, scuole, università, interi villaggi, uccidere tanta gente e uccidere la gente innocente. E questo fa molto male. Ogni giorno chiedo al Signore di aiutarmi a non riempire il mio cuore con l’odio, perché se il mio cuore si riempie d’odio io ho perso tutto».

E ha voluto essere con noi anche in questo appuntamento, come a Kiev lo scorso 11 luglio, l’attore e autore, Alessandro Bergonzoni, «L’idea di pace», ha detto, «viene quasi concepita più stancamente che quella di guerra», ha detto Bergonzoni e qui condividiamo con voi il suo intervento che non può lasciare indifferenti: «Abbiamo reso pacifica la guerra», e ancora «Il mestiere della pace è stato svalutato ed il mestiere della guerra invece riconosciuto e accettato»

Nella serata di ieri con noi anche Maria Gaudenzi di Fondazione Avsi, Marco Chiesara presidente di WeWorld, Alberto Sinigallia presidente di Fondazione Progetto Arca, Paolo Dell'Oca di Fondazione Arché, Sara Turetta presidente di Save the Dogs.

E poi ancora Elena Mazzola che ha vissuto 15 anni a Mosca insegnando letteratura e lavorando per l’Istituto di Linguistica dell’Accademia delle Scienze russa, nel 2017 si trasferisce in Ucraina a Kharkiv dove dirige il Centro di cultura europea Dante e dove diviene presidente di una Ong ucraina, Emmaus, una comunità che si occupa della cura e dell’assistenza a bambini e ragazzi disabili o problematici e agli orfani del conflitto che dal 2014 dilania il Donbass; Anna Barbara docente del Politecnico Milano che dopo aver partecipato alla marcia nonviolenta a Kiev ha portato avanti un progetto di sostegno per i musei e le istituzioni ucraine in collaborazione con il Mean perché la guerra in Ucraina non solo ha sconvolto fisicamente la vita quotidiana, ma ha anche messo in pericolo il patrimonio artistico e culturale di questo Paese.

In chiusura l’incredibile ed emozionante testimonianza di Aleksander Bayanov, il giornalista e sociologo dissidente russo che la scorsa estate ha dovuto lasciare il Paese, la Siberia, dove dirigeva un sito di informazione chiuso per aver usato la parola “guerra”, ora vive in Italia con la moglie e le due figlie. Bayanov ha voluto condividere con tutti, in un pezzo che ha scelto di leggere con coraggio e in italiano, quello che sta vivendo: «Il mio portale, Tayga info, che si occupava della Siberia, era tra i trenta media più influenti della Russia. Questa realtà è stata distrutta dal Governo con una sentenza del tribunale, per avere descritto ciò che stava accadendo utilizzando la parola “guerra”. Dopo numerose minacce a me e alla mia famiglia siamo stati costretti a scappare in Europa, con una valigia a testa. Abbiamo lasciato le nostre madri anziane, i nostri amici e … le nostre illusioni. Io, mia moglie Margarita e le nostre due figlie siamo arrivati in Italia demoralizzati e stanchi, e solo una volta usciti dall’aeroporto abbiamo cominciato a respirare. Perché dopo l’inizio della guerra in Ucraina, questa follia che dura già da un anno, abbiamo vissuto trattenendo il fiato, e solo quando siamo stati abbracciati dagli amici italiani abbiamo potuto respirare di nuovo». Qui il suo intervento integrale che consigliamo

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