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Un saio contro i massacri

Veronese, missionario in Africa da oltre quarant’anni, oggi mediatore per necessità. Ha incontrato il presidente Vieira e il capo dei ribelli. «Li convincerò a trattare.

di Roberto Beccaria

Quando a Selva di Progno, in provincia di Verona, 74 anni fa nacque Arturo Ferrazzetta, figlio di contadini, nessuno immaginava quello che avrebbe fatto da grande. Nel 1948 divenne frate francescano, col nome di Settimio, essendo il settimo di dieci fratelli. E anche allora nessuno poteva supporre dove l?avrebbe portato la sua passione per Dio e per l?uomo. Nel 1955 Settimio partì per la Guinea Bissau per ricostruire un lebbrosario nella capitale, e qualcuno iniziava a intuire l?impatto che quel frate avrebbe avuto sulla storia del Paese africano. Quando, poi, nel 1977 Paolo VI nominò Settimio Ferrazzetta vescovo di Bissau, l?unica diocesi della colonia portoghese, l?intuizione divenne certezza: monsignor Ferrazzetta sarebbe stato un protagonista per la Guinea Bissau. Ma nessuno pensava che il suo protagonismo sarebbe balzato all?attenzione del mondo nel bel mezzo di una guerra. Come uomo di pace. Una pace che ora sembra essere possibile solo grazie a un miracolo. Eppure Arturo Ferrazzetta, da piccolo, ha già sperimentato che cosa sono i miracoli. Era malato di una malattia strana, forse peritonite. E, come si dice dalle sue parti, per quaranta giorni ?ha fatto cantare la civetta?, presagio di morte. Un giorno la mamma prese in mano un crocifisso e con le lacrime agli occhi urlò: «Signore guaritemi questo mio figlio, oppure prendetevelo con voi. Non posso più vederlo soffrire». Preghiera ascoltata: il giorno dopo il bimbo era guarito, come se nulla fosse accaduto. E qualche anno dopo, come detto, il Signore se l?è preso non ?con?, ma ?per? sé, come vescovo in Guinea Bissau. Nel Paese dimenticato dal mondo Molti non sanno nemmeno dov?è la Guinea Bissau. Alcuni, forse, hanno letto del cruente conflitto civile esploso laggiù. Pochi conoscono il perché di questa ennesima guerra tra poveri. Da una parte il presidente Joao Bernardo Vieira, in carica dal 1994, e dall?altra il generale Ansumane Mané, ribelle al regime e amato dalla popolazione. Forse il perché del conflitto è semplicemente la conquista del potere. Ma a monsignor Ferrazzetta non interessa perché si sia arrivati alle armi. A lui interessa solo che ora si mettano a tacere. Quando i primi colpi di mortaio hanno scosso la capitale Bissau, monsignor Ferrazzetta si trovava in Italia per un breve periodo di riposo. Un pastore non può abbandonare le sue pecorelle, e così monsignore prende il primo aereo per Lisbona, da dove avrebbe cercato in tutti i modi di tornare a Bissau. È domenica 7 giugno. Ma dall?aeroporto di Lisbona non decolla nemmeno un ?Hercules? dell?esercito portoghese: i contatti con il Paese africano sono interrotti. Una settimana di sofferenza, alla ricerca di un qualsiasi aereo che possa atterrare a Bissau. «La gente desidera tranquillità e giustizia», dice senza timore monsignor Ferrazzetta. «Mai i guineiani hanno avuto giustizia e questa stessa crisi ha radici profonde». Lotta per il potere, si diceva. «Ho raggiunto a piedi la capitale» Poi, finalmente, domenica 14 giugno uno spiraglio: «Sono arrivato in Guinea», ricorda monsignor Ferrazzetta. «Con un volo di linea fino in Senegal, poi in macchina fino ai confini con la mia diocesi e infine a piedi, fino alla capitale». E lì, senza aspettare un secondo, si dirige verso il palazzo presidenziale: «Voglio incontrare il presidente», dice alle sentinelle. E, forza degli uomini di Dio, si fa ricevere, in un momento in cui nemmeno un neonato sarebbe potuto entrare nel Palazzo se non perquisito da capo a piedi. Un successo? Un fallimento. «Il presidente Vieira non vuol sentir parlare di cessate il fuoco: ?Finché i ribelli non soccombono, non smetto di sparare?, mi ha detto». E anche il capo degli insorti Mané non ne vuole sapere. «Ho incontrato anche lui. Ma delle vere trattative sono rese impossibili dall?esercito senegalese accorso in aiuto del presidente», dice amareggiato monsignor Ferrazzetta. «Si fissa la data dell?incontro e poi al momento giusto i senegalesi sparano e non se ne fa più niente». E così le speranze del francescano, vanno in fumo. Resta solo una cosa da fare: alzare la voce, perché tutto il mondo sappia quel che sta accadendo davvero laggiù. «Aiutatemi a fermare questa guerra» Già, cosa accade? «Accade che per la guerra ci sono già almeno 400 mila sfollati, su un totale di circa un milione d?abitanti in tutto il Paese. E di questi sfollati ben 200 mila sono della capitale», dice monsignore. «Le scorte di cibo stanno per esaurirsi e non è nemmeno la stagione dei frutti: non ce ne sono e la gente rischia di morire di fame». Le frontiere sono sigillate e per adesso non può entrare in Guinea Bissau nemmeno uno spillo. Nel frattempo l?esercito presidenziale ha già conquistato quasi tutta la capitale. A suon di bombe. «La gente è scappata da Bissau», dice monsignor Ferrazzetta, «appena sono arrivati i soldati del Senegal e della Guinea Conakry di rinforzo al presidente. Molti morti giacciono insepolti sulle strade. Nessuno ha il coraggio di seppellirli perché si temono sparatorie». Che fare, allora? «Intervenire subito, aprendo un corridoio umanitario per portare cibo e medicinali», continua monsignor Ferrazzetta. «Anche l?ultimo tentativo di mediazione è fallito: dei carriarmati senegalesi hanno ancora una volta sbarrato la strada a me e ai miei amici musulmani ed evangelici, impedendoci di arrivare di nuovo a Mané». I telefoni sono inagibili. L?unico contatto è un telefono satellitare, di un giornalista portoghese. E, qualche volta, una radio militare. Le parole di monsignor Ferrazzetta, così, sono ancora più lontane. «Tante volte non sono libero di parlare, temo di essere ascoltato. E la paura è che una parola di troppo detta a qualcuno possa provocare ritorsioni sulla gente. La Chiesa è neutrale, perché aiuta la gente, di qualsiasi parte sia. Ma i potenti non lo capiscono e credono che faccia dei favoritismi. L?unico nostro favoritismo è per la pace e per la vita». Un uomo di pace in un mondo di guerra. Con un solo desiderio. «A chi ha il potere dirò che le armi non hanno mai portato il bene», continua monsignore. «Chiederò ancora a Vieira di cercare il dialogo. Mi appellerò al senso di umanità che tutti devono avere». Un senso di umanità che, per ora, non si è visto né da una parte, né dall?altra. Ma monsignor Ferrazzetta non smette di urlare. Ha lanciato un appello alla Caritas internazionale perché si adoperi per far arrivare «quell?aiuto che salvi dalla morte molta nostra gente». Disperare della salvezza è un peccato contro lo Spirito santo. Un peccato che porta dritti all?Inferno. Ma, in certi casi, l?Inferno è già su questa terra. Anche se monsignore di disperare non ci pensa nemmeno. Perché i miracoli, monsignore lo sa, accadono. E la civetta può smettere di cantare anche in Guinea Bissau. ?


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