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Droghe

A Palermo il progetto pilota per la Sicilia del centro di crisi contro le dipendenze

In una realtà dove le piazze di spaccio non accennano a svuotarsi di giovani assuntori di sostanze stupefacenti come il crack, il capoluogo siciliano risponde proponendo interventi pensati per fare fronte a un’emergenza diventata tragica quotidianità. Entro il mese di gennaio l’apertura di un centro di pronta accoglienza che possa fare fronte alle crisi che intervengono durante e subito dopo il consumo di droghe. Solo una delle tappe di un lungo percorso che vuole strutturare una catena di servizi in grado di rispondere alle tante esigenze

di Gilda Sciortino

Preoccupa non poco l’aumento registrato a Palermo soprattutto nell’ultimo anno delle problematiche legate al consumo di sostanze stupefacenti, al primo posto delle quali il crack.  Dati che parlano di un’impennata di quasi 2mila pazienti in più rispetto al 2022, quando ci si era fermati a 4mila utenti.

«Ci riferiamo a tutti i sei Serd della provincia di Palermo che sorgono a Montelepre, Lercara, Corleone, Bagheria, Termini e Cefalù», spiega lo psichiatra Giampaolo Spinnato, dirigente dell’Unità Operativa Complessa – Uoc, Dipendenze Patologiche dell’Asp di Palermo, «anche se il grosso riguarda il capoluogo siciliano con i suoi tre Servizi per le tossicodipendenze – Serd. Se consideriamo i nuovi utenti, vediamo che per la prima volta in 30 anni il dato si è uniformato, nel senso che i nuovi accessi in provincia sono tanti quanti a Palermo. Parliamo di 600 pazienti che si sono presentati per la prima volta ai servizi, i Serd del capoluogo siciliano, così come in quelli della provincia. Ne parliamo in maniera così allarmata perché, sino a poco tempo fa, il doppio di utenti lo registravamo solo nel capoluogo siciliano. A differenza di quello che rappresentava l’eroina, la cui diffusione è sempre stata prevalentemente metropolitana, il crack ha diffusione ubiquitaria, si trova ovunque: per esempio, isole come Lampedusa ne sono piene, così come i luoghi dell’entroterra siciliano, inizialmente fuori da questo circuito».

Giampaolo Spinnato, dirigente dell’Unità Operativa Complessa Dipendenze Patologiche dell’Asp di Palermo

Oggi qualcuno parla anche di consumo di ketamina. Corrisponde al vero?

«La troviamo, ma non è quasi mai la motivazione di accesso ai servizi. Scopriamo che i ragazzi ne fanno uso quando vengono a chiederci aiuto per abuso di alcol o di altro. Parliamo di una sostanza molto diversa dalle altre, non dà problemi di dipendenza, ma crea fenomeni dissociativi somigliando lontanamente alle droghe psichedeliche. Ripeto, però, non è predominante rispetto alle altre sostanze perché il consumo maggiore riguarda sempre crack, cocaina e alcol».

Da qui la necessità di rispondere attraverso un progetto pilota per la Sicilia, un “Centro di pronta accoglienza” che aprirà le sue porte entro gennaio 2024, fornendo sostegno medico, farmacologico, terapeutico e psicologico-emotivo ai soggetti con dipendenza da sostanze. Un progetto finanziato per due anni con poco più di due milioni di euro, metà dei quali risorse dell’area Salute mentale del Piano sanitario nazionale 2022, messe a disposizione dall’assessorato regionale della Salute e, per la restante parte, dall’Asp del capoluogo siciliano. Pilota, dicevamo, in quanto andrà a gestire le crisi.

«L’idea di questo centro», aggiunge Spinnato, «parte proprio dalla considerazione che sostanze come il crack, più ancora della cocaina, non avendo farmaci specifici di contrasto, provocano dei drop-out precoci più elevati, nel senso che l’interruzione del percorso di cura è più frequente, soprattutto in età molto giovane. Se con altre droghe abbiamo drop-up di due o tre anni, in questo caso non superiamo le due settimane, al massimo il mese. Ecco il perché della necessità di una struttura che capisca e accolga questo tipo di esigenza attraverso un team specialistico composto da un medico, figura fondamentale in quanto i problemi di chi è dipendente dalle droghe sono principalmente fisici, psicoterapeuti, educatori, tecnici della riabilitazione, assistenti sociali e infermieri».

Stop Crack

Quanto conta la relazione in questo processo di rinascita?

«È fondamentale, ma ha bisogno di tempo per svilupparsi. Certo, può capitare che nasca un’immediata sintonia tra terapeuta e paziente, ma non si può costruire un servizio sul colpo di fulmine. Come si supera il primo periodo di trattamento, durante il quale non puoi offrire una terapia farmacologica e non hai ancora alcun tipo di relazione? In due modi: uno, attraverso i servizi a bassa soglia e quelli di prossimità, grazie ai quali contattare l’utenza al di fuori dell’ambulatorio terapeutico.  Una parte molto delicata perché l’operatore che lavora su strada non è lo stesso che trovi all’interno dei servizi comuni. È proprio quella fase in cui si deve trasferire il valore di quella relazione su un altro rapporto, favorendo quell’ accompagnamento che in qualche modo è un passaggio di testimone. Una parte che dobbiamo curare maggiormente perché bisogna lavorare agganciati ai servizi terapeutici. È la bassa soglia che funge da collante; l’alta funzione non ce la fa per i numeri che deve gestire. Un’altra possibilità, ecco da dove nasce l’idea del centro, è avere una risposta immediata perché, se alla crisi non rispondi velocemente, perdi tutto. È proprio quando entra in crisi il rapporto con la sostanza che giunge il momento della sofferenza che apre una finestra per intervenire».

L’area dell’Asp di Palermo dove sorgerà il centro di ponta accoglienza (foto gentilmente concessa dall’ufficio stampa della Regione Siciliana)

Il centro dovrebbe aprire entro la fine di gennaio, mettendo a disposizione 12 posti letto e la possibilità di essere accolti sino a un mese

«Sarà residenziale ma, lo abbiamo detto, servirà solo per superare la crisi. Potrà accadere che, dopo qualche giorno, non si regga e si decida di andare via. Nelle comunità solitamente non si può rientrare», sottolinea il dirigente dell’Uoc dell’Asp di Palermo, «invece qui le porte resteranno aperte perché la filosofia che adotterà è quella della riduzione del danno. Non esiste una regolamentazione dei centri come questo perché ognuno si adatta alle esigenze delle persone e del territorio in cui sorge. In Sicilia, poi, è il primo in assoluto che nasce.  Avrà un approccio sperimentale con l’ambizione di diventare modello da potere esportare, magari ipotizzando di aprirne un altro nella Sicilia orientale».

Cosa succederà dopo il periodo in cui si verrà ospitati?

«Tre sono le possibilità: la prima, preferibile, potrà dare modo alla persona di seguire un percorso di comunità che, se portato avanti, soprattutto nel caso di assunzione di nuove sostanze, è quello che offrirà migliori garanzie; la seconda, prevede che possa accedere a un programma ambulatoriale come quello offerto dai Serd. La terza possibilità è il centro crisi, visto come momento di pausa: la persona potrà anche uscire e riprendere la propria vita, sapendo di trovare sempre le porte aperte. Legittimo pensare di potercela fare da soli, basta sapere che il centro sarà sempre a loro disposizione».

Quali sono i criteri da tenere in considerazione nella cura delle dipendenze?

«Sono essenzialmente quattro: motivare, fermare, capire e curare. Ai primi due può rispondere il centro crisi; ai restanti, invece, i Serd. Stiamo lavorando sulla programmazione con il Comune di Palermo anche per la creazione di due drop-in e di una struttura notturna con caratteristiche più residenziali, che andranno a rispondere al problema che vivono nei dormitori i tossicodipendenti, una sorta di maledizione: fino a quando una persona è senza fissa dimora viene accolto, ma se è anche tossicodipendente non viene più accettato. L ’unica possibilità rimane dormire per strada, da qui l’esigenza di un luogo a loro dedicato».

Drop-in che dovrebbero sorgere in prossimità dei luoghi di consumo e spaccio

«Stiamo pensando di collocarli nei pressi dei Serd, luoghi ai quali la cittadinanza è abituata, ma anche perché la vicinanza a un servizio sanitario è utile e fondamentale per agganciare i ragazzi. Del resto la filosofia di fondo è che questi luoghi debbano essere di contatto. Se riusciamo a realizzare l’intero progetto, avremmo una catena di servizi che va dall’unità mobile ai drop-in, passando dai Serd per raggiungere la comunità terapeutica. In tal modo, non avremmo mancanze nell’offerta assistenziale».

Per la prima volta si sta guardando alle dipendenze in modo diverso?

«Domanda importante, alla quale non è facile dare risposta.  Molte di queste iniziative nascono sulla spinta dell’emergenza», conclude Giampaolo Spinnato, «premessa per cominciare a costruire veramente tutti insieme. Le cose non vengono fatte perché c’è una visione diversa, ma fare le cose cambia la visione. È anche vero che dobbiamo fare una riflessione sull’indipendenza e la solitudine, due facce della stessa medaglia. Stiamo cambiando la società chiedendo ai giovani di diventare adulti più presto, mentre agli adulti di restare giovani per lungo tempo. Come se avessimo bisogno di creare un’età di giovani adulti che va dai 15 ai 60 anni in maniera indistinta, con persone sempre più performanti.  Un problema sociale che, a mio avviso, ha a che vedere sino a un certo punto con la dipendenza. Un processo molto interessante di adeguamento della società che dovremmo studiare meglio».

In apertura una delle ultime manifestazioni a Palermo contro il crack (foto Gilda Sciortino)