Ambiente

“Taranto chiama”, un docufilm sul sacrificio umano della città dei due mari

L’inchiesta della giornalista e regista Rosy Battaglia ricostruisce la solidarietà tra i popoli inquinati e racconta l’inquietante filo ambientale che lega Trieste a Taranto. Lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa continua a violare il diritto alla salute e alla vita dei cittadini, nonostante le cinque condanne rivolte al Governo italiano dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

di Emiliano Moccia

I delfini che saltano fuori dall’acqua e nuotano liberi in mare rappresentano un segno di libertà e di speranza. Come la speranza e la curiosità che hanno i ragazzi che li seguono con lo sguardo, che li osservano mentre fanno le capriole, che cercano di capire fin dove possono arrivare in quel tratto di mar Ionio circondato da navi, palazzi, storie. Lotte. Come quelle raccontate dalla regista Rosy Battaglia nel suo ultimo lavoro intitolato “Taranto chiama”, che aiuta a dare risposte concrete alle diverse domande che ruotano intorno ai temi dell’inquinamento, della salute, dell’ambiente. Della vita delle persone e del futuro dei luoghi. Che cosa hanno in comune due città di mare come Trieste e Taranto? Qual è il senso di solidarietà che unisce i popoli inquinati di questi territori? Come si promuove il tema della giustizia ambientale, soprattutto nelle nuove generazioni? E che cosa è davvero sostenibile per la vita umana?

L’ilva di Taranto – Foto di Rosy Battaglia

Attraverso un lungo lavoro di documentazione, ascolto e ricerca durato quasi un decennio di riprese, la giornalista ha provato ad offrire delle prospettive. E lo ha fatto realizzando un documentario-inchiesta che racconta l’inquietante filo ambientale che lega la città giuliana con quella che si affaccia sui due mari. «Il 18 settembre 2022, dopo le lotte decennali dei cittadini, è stata abbattuta la Ferriera di Servola, un complesso industriale specializzato nella produzione di ghisa tra i più inquinanti d’Europa. A Taranto, invece, l’ex-Ilva, lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa, è ancora in funzione. Anche se l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha definito la città pugliese “zona di sacrificio”, tra le più inquinate al mondo». Ė da qui che parte la sua ricerca di verità. Un film vero, potente, necessario, che mette in crisi lo spettatore, che avverte nelle voci di chi parla lo stesso senso di impotenza e di frustrazione di chi lotta per il diritto alla salute o ha visto morire un proprio figlio, un parente, un amico a causa dei danni provocati dallo stabilimento ex Ilva.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha definito la città pugliese “zona di sacrificio”, tra le più inquinate al mondo

La regista Rosy Battaglia

«L’idea di questo film nasce dal fatto che nel 2013 ho fondato Cittadini Reattivi, un progetto di civic journalism su salute, ambiente e legalità, prendendo a cuore le vicende delle popolazioni che vivevano sui siti più inquinati d’Italia e pericolosi per la salute umana e gli ecosistemi, i cosiddetti siti di interesse nazionale (Sin), la cui bonifica spetta allo Stato» racconta Battaglia. «Queste realtà negli anni sono diventate una piccola comunità che io seguo sempre. Il mio proposito era di metterle in relazione tra loro, avendo intuito che c’erano delle buone pratiche e che alcune storie si ripetevano sempre allo stesso modo: in alcuni territori si vinceva, mentre in altri si perdeva. La storia raccontata è l’ennesima conferma di tutto questo. Mentre nel periodo del covid l’impianto siderurgico della Ferriera veniva abbattuto, in Puglia i cittadini continuavano a sgolarsi inutilmente. Mi ha colpito molto l’atto di solidarietà e di generosità dei triestini nei confronti dei tarantini, che sapevano bene cosa vuol dire lottare per un proprio diritto senza essere ascoltati. E l’altro spunto l’ho avuto nel corso di una manifestazione che si è svolta a Taranto il 22 maggio 2022, quando cittadini e associazioni si sono auto-rappresentati facendo sentire tutte le loro voci». 

La clip di una manifestazione di protesta a Taranto

In “Taranto chiama”, quindi la giornalista raccoglie quelle voci, le ascolta e si posa sui volti delle madri che lottano per la vita dei propri figli, sui medici impegnati a contrastare gli effetti dell’inquinamento sui bambini del quartiere Tamburi, sulle associazioni e sugli attivisti che da tempo portano avanti battaglie civili per sostenere la tutela della salute pubblica e dell’ambiente, per chiedere la riconversione industriale dell’impianto siderurgico, per far sparire l’acciaieria. Storie e testimonianze. Rabbia e coraggio. Il film è un viaggio tra le due città, tra immagini e racconti, tra chi ce l’ha fatta a veder soddisfatta la sua lotta ambientale e chi lotta ancora per chiedere giustizia di tutti coloro, soprattutto bambini, che in tutti questi anni a Taranto hanno perso la vita a causa di tumori e leucemie, provocati dall’impianto siderurgico che dal 1965 nel quartiere Tamburi produce tonnellate di ferro cambiando negli anni proprietari, nomi, livelli di produzione, ma non i disagi alla popolazione, all’ambiente, alla biodiversità del mare.

L’intervista a Marcos Orellana, Onu

«A Trieste ci sono stati una popolazione ed un ministro (alla guida del Ministero dell’Ambiente c’era Stefano Patuanelli) che hanno trovato un’intesa, come un allineamento dei pianeti. L’istituzione ha risposto all’appello dei cittadini» evidenzia Battaglia «mentre a Taranto questa cosa non è mai successa». Anzi. Quella di Taranto è una situazione oggetto di contenziosi legali nazionali ed internazionali, tanto che sono state cinque le condanne rivolte al Governo italiano dalla Corte europea dei diritti dell’uomo tra il 2019 e il 2022, per non aver tutelato il diritto alla vita privata dei propri cittadini, rispetto alla produzione di acciaio. Battaglia è andata anche a Ginevra per rispondere alla “chiamata” di Tarano. E nel giugno 2023 ha incontrato Marcos Orellana, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle sostanze tossiche e i diritti umani, per conoscere le motivazioni che hanno spinto proprio l’Onu a dichiarare Taranto “zona di sacrificio”. «L’evidenza scientifica indica eccessi di mortalità, impatto sul sistema neurologico, sul sistema cardiovascolare, problemi respiratori» spiega Orellana nel documentario. «L’evidenza epidemiologica dimostra come la popolazione che vive intorno all’acciaieria soffre da decenni intollerabili livelli di sostanze inquinanti».

Il Governo italiano è stato condannato cinque volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per non aver tutelato il diritto alla vita privata dei propri cittadini

Il Governo italiano, però, continua a non prendere provvedimenti, ad ignorare le Direttive europee. «Le riprese del film sono state aggiornate al 7 maggio di quest’anno» aggiunge Battaglia «quando è esploso l’Altoforno 1 dell’ex Ilva andando a fuoco e nello stesso giorno la Commissione Europea ha inviato al Governo italiano una nuova lettera di messa in mora, riaprendo così la procedura d’infrazione rimasta in stand by dal 2013, sul mancato recepimento della Direttiva sulle emissioni industriali che è molto chiara: un impianto deve lavorare non creando danno alle persone e all’ambiente. Lo stabilimento ex-Ilva sta violando la Direttiva europea per le emissioni industriali. C’è una procedura di infrazione aperta».

Coprodotto dalla stessa regista, il documentario è stato realizzato anche con il sostegno di Banca Etica attraverso il crowdfunding di Cittadini Reattivi. «Il film affronta il tema della giustizia ambientale, le aule del tribunale entrano in scena diverse volte, ho seguito i processi e le inchieste, siamo davanti a dei cittadini scientifici che hanno una capacità e una conoscenza tale da poter argomentare nei luoghi della legge con grande competenza insieme agli avvocati. Anche per questo, il mio docufilm è dedicato a Celeste Fortunato, una giovane madre del quartiere Tamburi, e a tutte le vittime dell’ingiustizia ambientale».

Ma il documentario vuole anche lanciare un messaggio di speranza, squarciare un velo di luce sulla vera Taranto, offrire una narrazione diversa rispetto a quella con la quale viene troppo spesso raccontata: «Taranto non è solo la città dell’Ilva» ha detto in più di una circostanza l’attore e regista Michele Riondino, che interviene anche nel film. «Nella seconda parte il film cambia registro ed è improntato a raccontare la bellezza ed il futuro di Taranto. Dal 2017 ad oggi le cose sono molto cambiate. I tarantini dal basso hanno cominciato a costruire un’altra città, hanno preso consapevolezza delle loro ricchezze, come il golfo, culla di delfini e cetacei nel Mediterraneo, il Museo nazionale MarTA, la Città vecchia, ed una nuova generazione di imprenditrici e imprenditori raccontano di una riconversione sostenibile, di un forte interesse turistico culturale e archeologico».

«Taranto non è solo la città dell’Ilva»

Michele Riondino, attore e regista
Un’immagine di “Taranto chiama”

Non è sostenibile un sistema che condanna le nuove generazioni a morire, ad ammalarsi o a doversene andare dalla propria città. I giovani tarantini non se ne vogliono più andare, vogliono restare

Rosy Battaglia, giornalista e regista

Di qui la domanda: che cosa è davvero sostenibile per la vita umana? «Il film è costruito proprio per metterci davanti a questa domanda. Ognuno di noi deve lavorare una propria risposta, ma sicuramente per me non è sostenibile un sistema che condanna le nuove generazioni a morire, ad ammalarsi o a doversene andare dalla propria città. I giovani tarantini non se ne vogliono più andare, vogliono restare. Stanno rimanendo nonostante ci sia un impianto come quello dell’ex-Ilva che fra 10 o 15 anni può provocare loro un tumore. Che responsabilità ci stiamo prendendo nei confronti delle nuove generazioni?» conclude Battaglia. «I più giovani dicono che sono due sono le cose: o te ne vai da Taranto o resta il sogno. E allora le istituzioni devono dare il sogno a questi ragazzi». Il film attraverso le sue immagini e le parole dei cittadini ricorda con forza che i bambini di Taranto vogliono vivere, ma resta un’ombra: anche se il 17 ottobre 2024 il giudice per le indagini preliminari della Procura della Repubblica del Tribunale di Potenza, Ida Iura, ha confermato il sequestro dell’area a caldo dell’ex Ilva, ora denominata Acciaierie d’Italia, l’impianto non ha mai smesso di funzionare.


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Dopo la prima nazionale a Cinemambiente, il più importante festival del documentario ambientale in Italia, il film è partito per un tour partecipato di proiezioni in Italia e in Europa. Fino al 21 giugno sarà disponibile online su OpenDDB.

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