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L'arte che cura

Trani, detenuti a scuola di teatro con i propri figli

Il progetto “Il gioco serio del teatro” è promosso dalla cooperativa sociale “I Bambini di Truffaut” e sta coinvolgendo 15 detenuti del carcere di Trani ed i loro figli in un percorso formativo attraverso la pratica del palcoscenico

di Emiliano Moccia

C’era chi non vedeva il proprio figlio da sette mesi. Altri che non potevano incontrarli. E chi, avendo il figlio in comunità, non lo vedeva da due anni. Per questo, quando si è rivolto a Giancarlo gli ha chiesto: «Ti prego, fallo venire a fare teatro! Io e lui ne abbiamo bisogno». Perché quello che la cooperativa sociale “I Bambini di Truffaut” sta portando avanti con gli uomini detenuti nel carcere di Trani, è una sperimentazione che in Italia non era ancora stata realizzata. «Per la prima volta nel Paese che ha le carceri fra le più sovraffollate d’Europa, padri e figli fanno teatro nello stesso spazio. Nel teatro del carcere. Condividono uno spazio orrendo, chiuso, che come sempre accade non rieduca. Il tentativo è rendere quello stesso luogo, diverso, più ampio, perché ci entrano le bambine, i bambini e gli adolescenti, figli di quei padri. E così, quel non luogo può rieducare, ridare speranza e respiro a padri che avranno modo di condividere una probabile bellezza, fra le troppe brutture del carcere: i propri figli. L’amore. Perché, senza questo, nessun umano può cambiare».

Quel non luogo può rieducare, ridare speranza e respiro a padri che avranno modo di condividere una probabile bellezza, fra le troppe brutture del carcere: i propri figli. L’amore. Perché, senza questo, nessun umano può cambiare

– Giancarlo Visitilli
Un momento del laboratorio presso il carcere di Trani

Giancarlo Visitilli è scrittore, insegnante, giornalista e presidente della cooperativa che ha promosso “Il gioco serio del teatro”, un percorso didattico-ludico-formativo rivolto a circa 15 detenuti e ai loro figli che, attraverso la pratica del palcoscenico e l’apprendimento dei mestieri del teatro, punta a far emergere il loro mondo interiore, le emozioni, gli eventuali disagi, aiutando a sciogliere le barriere che rendono difficile l’integrazione e la comunicazione col mondo reale. «Abbiamo cominciato a raccontarci la storia di Ulisse. La maggior parte di loro la conosce meglio dei miei studenti liceali. Per non parlare di quando Ilaria ha proposto a uno di loro di dialogare con la sua Penelope, dopo aver affrontato il mare: un padre ha cominciato a parlare della lontananza e della mancanza con sua figlia-Penolope, quindicenne. Fanno soffrire i loro abbracci, vorresti durassero a lungo».

Padre e figlia abbracciati durante il laboratorio

Ad accompagnare Visitilli, c’è anche l’attrice e regista teatrale Ilaria Cangialosi, con la quale sta lavorando per condurre durante gli incontri settimanali padri e figli in un percorso di cambiamento e integrazione, trasferendo loro i rudimenti delle professioni legate al teatro: regia, recitazione, scenografo, tecnico di sala, tecnico di costruzione e tanto altro.

«In due ore in cui si è insieme» racconta Visitilli «padri e figli non stanno mai in silenzio, e si parlano anche stando senza dirsi nulla, stretti l’uno all’altro». Il progetto – vincitore dell’edizione 2023 di “Orizzonti solidali”, bando di concorso destinato al terzo settore pugliese promosso dalla Fondazione Megamark in collaborazione con i supermercati Dok, A&O e Famila – proseguirà fino al mese di maggio, quando si concluderà con uno spettacolo finale. «Faccio fatica a pensare a un pubblico ideale, dinanzi a uno spettacolo come questo, perché l’incontro dei figli e delle figlie con i loro padri e le loro madri è l’ordinario straordinario di cui non ci accorgiamo più nei nostri logori quotidiani. Per questo, osservando questi padri e i loro figli, non c’è movimento, passo, parola, silenzio che non riporti alla disperazione dell’incomprensione. Specie quando si è fuori da lì, io e Ilaria con le figlie e i figli. Ci si chiede: chi è rimasto dentro, e chi è veramente fuori?».

Giancarlo Visitilli, scrittore e presidente de I Bambini di Truffaut

Partiti dalla consapevolezza del proprio corpo e della voce quali strumenti di comunicazione, il laboratorio sta permettendo ai partecipanti di scoprire anche gioco, improvvisazione, l’arte di sapersi e di saper raccontare. In uno degli ultimi incontri prima del Natale, «con i bambini e le bambine abbiamo provato a farci provocare dalle emozioni di Telemaco: la curiosità, la tristezza e la rabbia, le delusioni. Sentimenti che quei figli conoscono bene e che passano ai padri, nonostante le sbarre che li separa. Lo dimostrano le immagini con il loro tenersi, più tempo possibile, con la scusa del teatro» conclude Visitilli. «In realtà, è quella presa stessa il teatro. Perché il teatro, l’arte, riescono a tenerci, tutti. Tenersi, quando è ormai tempo di lasciarsi è la peggiore costrizione a cui condannarsi».