Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Prevenzione degli abusi sui minori

Volontari & minori, chi ha paura del certificato giudiziale?

La risposta alla domanda non era scontata, visto che l'obbligo di raccogliere il certificato del casellario giudiziale sarebbe un carico aggiuntivo per le organizzazioni. Ma nessuno si tira indietro, neanche fra le realtà più piccole. Sapendo però che da solo anche questo certificato non basta: per garantire ambienti sicuri per i bambini serve aumentare la cultura del rispetto. In dialogo con cinque organizzazioni

di Sara De Carli

Una volta si chiamava “fedina penale”, oggi è il certificato del casellario giudiziale. Per prevenire abusi e maltrattamenti dei minori, quella di chi fa volontariato a contatto con bambini e ragazzi, dovrà essere pulito. L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti, in occasione della Giornata mondiale dell’infanzia ha avanzato questa proposta: tutti i volontari che svolgono la loro attività a contatto con minori – oratori, palestre, campi da gioco, associazioni, luoghi di ritrovo, campi estivi… – dovrebbero presentare il certificato del casellario giudiziale. Tale obbligo è già previsto per chi lavora a contatto con i minori. «È necessario che vengano disposti controlli più frequenti e più stringenti, visto che le cronache continuano a raccontare casi di abusi compiuti da persone con precedenti specifici», annota Garlatti.

Il senso è chiaro: la tutela dei minori. E pure il carico di lavoro aggiuntivo che l’adempimento comporterebbe e che peserà soprattutto sulle associazioni più piccole e meno strutturate, già affaticate dagli adempimenti legati alla riforma del Terzo settore. Un carico tuttavia che tutti sono disposti ad assumersi, in nome di un obiettivo così grande come la tutela di bambini e ragazzi. Insomma, non era scontato ma un eventuale obbligo di presentare il certificato del casellario giudiziario non fa paura a nessuno.

Chi lo fa già

Save the Children – un’organizzazione grande e dal respiro internazionale – già da qualche anno chiede ai volontari il certificato del casellario giudiziale ai sensi dell’art. 25 bis, D.P.R. 313/2002, racconta Giancarla Pancione, direttrice marketing and fundraising di Save the Children Italia.

«La misura è importante per minimizzare il rischio di coinvolgere persone che abbiano commesso specifici reati in danno di minori, ma da sola non è sufficiente. L’acquisizione di un certificato del casellario “pulito” non rappresenta un’assenza di rischio.  Sono necessarie misure di mitigazione aggiuntive. Per questo nel processo di coinvolgimento dei volontari, Save the Children ricorre ad un insieme di misure valutative: i colloqui volti a rilevare motivazione e attitudini del potenziale volontario, la condivisione preventiva del sistema di tutela vigente nell’organizzazione e la formazione». La reazione dei volontari? Positiva: «Le misure di tutela adottate dall’organizzazione sono accolte dai volontari come espressione di attenzione e cura verso tutte le persone che – a vario titolo – sono coinvolte nelle attività: staff, volontari e beneficiari. Ne deriva un accrescimento del senso di fiducia verso dell’organizzazione per cui hanno deciso di impegnarsi».

La misura è importante, ma da sola non è sufficiente. L’acquisizione di un certificato del casellario “pulito” non rappresenta un’assenza di rischio.  Sono necessarie misure di mitigazione aggiuntive

Giancarla Pancione, Save the Children Italia

L’iter burocratico connesso alla richiesta e all’ottenimento del certificato effettivamente «è impegnativo ed è necessario programmare del “tempo lavoro” dedicato solo a questa funzione». Questo anche quando la procedura avviene online o è delegata al volontario stesso: «Il ricorso ad un’agenzia rimane l’alternativa più agevole, ma anche la più onerosa: i costi sono decisamente più alti rispetto a quelli previsti per le organizzazioni non profit. Inoltre, è indispensabile dotarsi di processi e procedure interni volti a garantire il corretto trattamento dei dati in applicazione delle regole del GDPR», riflette Pancione. Save the Children dal 2011 ha una propria Child Safeguarding Policy e un codice di condotta: «L’adozione di una Child Safeguarding Policy, vincolante per staff e volontari di Save the Children e dei suoi partner ha consentito di implementare un sistema di tutela condiviso, in cui ruoli e responsabilità in tema di tutela dei minori raggiunti dalle attività siano chiari per tutti». 

Il ricorso ad un’agenzia rimane l’alternativa più agevole, ma anche la più onerosa: i costi sono decisamente più alti

Giancarla Pancione, Save the Children Italia

Grandi o piccoli, poco importa: tutti pronti

«Ho parlato con diverse realtà, anche piccole. In realtà anche loro, spesso, fanno già verifiche in questo senso, perché l’obiettivo è tutelare al massimo il minore. Il certificato del casellario giudiziario rappresenta un filtro formale, che però da solo non basta: questo tutti lo diciamo chiaramente. Infatti nelle nostre organizzazioni si lavora tantissimo sulla formazione, per andare a qualificare sempre di più il volontario. Il tema è sempre lo stesso, che il bene va fatto bene», afferma Chiara Tommassini, presidente di CSVnet.

«Chiaramente tutti auspichiamo che le procedure siano snelle, ma nessuno ha mosso obiezioni, nemmeno per segnalare l’appesantimento che questo comporterebbe: c’è assoluta disponibilità. Vale il principio che la verifica deve essere estesa anche a tutte quelle forme di volontariato emergenti, come il volontariato aziendale piuttosto che nelle attività che coinvolgono persone che stanno facendo percorsi di giustizia riparativa e di messa alla prova».

Salvaguardare la socializzazione intergenerazionale

«La norma di riferimento è l’art. 2, d.lgs. 39/2014 che ha obbligato i “datori di lavoro” ad acquisire il casellario giudiziale (la vecchia fedina penale) per le persone che siano impiegate in attività con minori. Il certificato penale del casellario giudiziale deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, al fine di verificare l’esistenza di condanne per taluno dei reati ovvero l’irrogazione di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori», spiega Marco Mini, responsabile della tutela associativa di Arci. «Il perimetro di applicazione era stato chiarito da una nota del ministero della Giustizia che, facendo leva sul comma 2 che espressamente riferisce la sanzione ai “datori di lavoro”, escludeva dall’adempimento le associazioni che facessero ricorso ai volontari, limitando l’insorgere dell’obbligo alla formalizzazione di un rapporto lavorativo».

Note ministeriali «avevano chiarito come dall’obbligo fossero escluse attività che prevedessero un contatto con minori meramente occasionale o non necessario: questo principio deve essere in ogni caso tenuto fermo, per evitare di bloccare attività di socializzazione tra pari e intergenerazionale», afferma Mini.

Note ministeriali avevano chiarito come dall’obbligo fossero escluse attività che prevedessero un contatto con minori meramente occasionale o non necessario: questo principio deve essere in ogni caso tenuto fermo, per evitare di bloccare attività di socializzazione tra pari e intergenerazionale

Marco Mini, Arci

Quanto al carico burocratico, «c’è il rischio che sia non secondario e sproporzionato rispetto all’efficacia prevedibile della misura. Il casellario viene rilasciato da un apposito ufficio del Tribunale e ha durata di sei mesi: un carico forse non coerente, se valutiamo congiuntamente la durata ordinariamente limitata dell’attività del volontario e la durata del certificato del casellario. Marginalmente si deve considerare anche che nel casellario a richieste di privati non risulteranno i reati per i quali è prevista la cosiddetta “non menzione”», annota.

Mi chiedo se non potrebbe essere maggiormente efficace una revisione delle misure interdittive applicate dal giudice penale

Marco Mini, Arci

La sua riflessione continua: «Mi chiedo se non potrebbe essere maggiormente efficace una revisione delle misure interdittive applicate dal giudice penale, considerato che il procedimento è la sede naturale della valutazione della pericolosità sociale e della reiterabilità del reato». Un ulteriore aspetto riguarda il fatto che attività come i centri estivi e i doposcuola si svolgono non di rado in convenzione con la Pubblica Amministrazione: «Prevedere risorse adeguate per il coinvolgimento di figure professionali qualificate nelle funzioni di coordinamento e la richiesta di progetti educativi strutturati potrebbero essere elementi per aumentare la qualità degli interventi e garantire una maggior prevenzione. Lo stesso avverrebbe sostenendo le associazioni di Terzo settore con risorse destinate a supportare la migliore gestione delle dinamiche relazionali, ad esempio mediante coinvolgimento di educatori professionali». 

Il peer to peer

Isabella Di Ruggiero invece è Head of Compliance & Governance di Action Aid, una realtà che all’interno della sua compliance ha già portato gli standard più alti del framework internazionale. Vero è che Action Aid opera soprattutto tramite il suo staff, con operatori per cui è già prevista la presentazione del certificato e sta cominciando ora a sviluppare maggiormente attività con i minori realizzate con il supporto di volontari, in particolare con il volontariato aziendale. «L’obiettivo è mettere i minori al centro, creare un ambiente per loro, sicuro sempre e comunque: questa attenzione deve esserci sia che le attività vengano svolte in modo continuativo, sia che siano meno strutturate. Condividiamo l’idea di “cambiare prospettiva”, passando da una lente che parte dal tipo di rapporto che lega la persona e l’organizzazione (sì al certificato per chi ha un rapporto di lavoro, no per chi è volontario) a una lente che metta la persona al centro: è la prospettiva su cui in Action Aid abbiamo impostato tutte le nostre policy», dice Di Ruggiero.

Condividiamo l’idea di “cambiare prospettiva”, passando da una lente che parte dal tipo di rapporto che lega la persona e l’organizzazione (sì al certificato per chi ha un rapporto di lavoro, no per chi è volontario) a una lente che metta la persona al centro

Isabella Di Ruggiero, Action Aid

È questo framework ciò che conta, perché «il casellario è certamente uno strumento, ma poi sappiamo anche che non ci garantisce di metterci al riparo. Il casellario agisce sul controllo, ci dà indicazioni sulle condanne – quindi sulle situazioni più eclatanti – ma non ci dà indicazioni su possibili atteggiamenti negativi che non siano sfociati in una condanna, per esempio dei provvedimenti disciplinari per comportamenti scorretti. Accanto al certificato quindi bisogna lavorare per creare una cultura condivisa del contrasto alle violenze di qualsiasi tipo, è questo che genera un autentico sistema di prevenzione e la possibilità di creare un ambiente sicuro. Il lavoro sulla cultura ci aiuta anche a far aprire gli occhi alle persone: un altro tema importante sono i canali di segnalazione, che devono essere gestiti con riservatezza ma che sono uno strumento molto utile», spiega.

Lo strumento centrale diventa quindi il codice di condotta, che richiama le regole e le indicazioni che aiutano a regolare i comportamenti delle persone che stanno vicino ai minori, come pure le policy di recruitment, per i volontari così come per lo staff.

Il casellario giudiziale ci dà indicazioni sulle condanne – quindi sulle situazioni più eclatanti – ma non su possibili atteggiamenti negativi che non siano sfociati in una condanna. Bisogna lavorare per creare una cultura condivisa del contrasto alle violenze, di qualsiasi tipo

Isabella Di Ruggiero, Action Aid

Il tema dell’impatto organizzativo c’è e non c’è: «Diversi donatori istituzionali da tempo chiedono che tutti i partner siano allineati sulla Child Safeguarding Policy e dentro queste reti le associazioni, in una logica di peer to peer, spesso hanno già fatto un grosso lavoro che ha portato anche le realtà più piccole a fare risk assessment e ad avere la loro Child Safeguarding Policy», spiega Di Ruggiero.

Infine, «è interessante la possibilità di raccogliere delle referenze, informazioni sulle attività svolte precedentemente: noi per esempio stiamo valutando l’adesione a un sistema di condivisione di informazioni a livello internazionale in cui le organizzazioni aderenti condividono le segnalazioni di persone che hanno avuto comportamenti non corretti, che se assunte potrebbero esporre l’organizzazione a rischi, ovviamente con il principio della minimizzazione delle informazioni». 

Servizio civile, tutti coinvolti

Pronto anche il mondo di Salesiani per il Sociale aps: «Siamo molto d’accordo con questa proposta della Garante. Di più, noi siamo favorevoli all’adozione da parte di tutte le organizzazioni di una policy come quella che dal 1° luglio è obbligatoria per le asd e le società sportive dilettantistiche, che devono individuare un responsabile della tutela minori: lo estenderei a tutte le organizzazioni, non solo l’obbligo di segnalare un responsabile ma anche di avere una policy di salvaguardia», afferma don Francesco Preite, presidente di Salesiani per il Sociale.

Dal 1° luglio le asd e le società sportive dilettantistiche devono individuare un responsabile della tutela minori: estenderei questo obbligo a tutte le organizzazioni, insieme a quello di avere una policy di salvaguardia

don Francesco Preite, Salesiani per il Sociale

L’aps ha già adottato la sua Child Safeguarding Policy, «grazie al confronto con Save the Children e altre realtà», che descrive una serie di comportamenti e atteggiamenti, quello che c’è da fare e da non fare nella relazione con i minori. «È importante questo aspetto culturale, di informazione e di promozione, perché quando parliamo di abusi pensiamo subito a all’abuso sessuale ma c’è anche quello psicologico, quello di comportamenti e quello di potere, perché un adulto è sempre in posizione asimmetrica. A gennaio partiremo sui territori con campagna di informazione su questa policy che abbiamo già adottato a livello nazionale ma che ora deve essere diffusa a livello territoriale, per essere capaci di vera prevenzione». Aggiunge una precisazione efficace, don Preite: «La prevenzione è un’opera culturale ma anche operativa». 

La prevenzione è un’opera culturale ma anche operativa. Dal prossimo bando, tutti i nostri volontari di servizio civile avranno l’obbligo di sottoscrivere la Child Safeguarding Policy, che prevede anche la produzione del certificato giudiziario

don Francesco Preite, Salesiani per il Sociale

Salesiani per il Sociale aps già chiede il certificato ai titolari di un rapporto di lavoro e da qualche tempo ha iniziato a chiederlo ai giovani in servizio civile all’estero: il prossimo step coinvolgerà i giovani volontari del servizio civile in Italia, circa 1.500 all’anno. «Dal prossimo bando, avranno l’obbligo di sottoscrivere la nostra Child Safeguarding Policy, che prevede anche la produzione del certificato giudiziario e che dettaglia anche la procedure da seguire per segnalare al focal point nazionale i comportamenti scorretti». 

In foto, attività al campetto Andrea Parisi allo Zen di Palermo Zen, foto di Francesco Alesi per Save the Children


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA