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Kossovo: la testimonianza dei volontari di Operazione Colomba

"Da noi, nell'enclave di Gorazdevac, le persone di notte non dormono per la paura di un attacco albanese, tengono le luci spente. Noi facciamo la spola tra il villaggio e la città"

di Benedetta Verrini

“Abitiamo a Gorazdevac, nei pressi di Pec-Peja (Kossovo), che e` un villaggio serbo circondato da villaggi albanesi, per questo definito “enclave”…praticamente un ghetto”. Comincia così la lettera dei volontari di Operazione Colomba, che fotografa gli ultimi avvenimenti e la tensione di queste ore nella regione. La riportiamo integralmente. Dove iniziano le case serbe c`e` un check-point con un baracchino circondato da pile di sacchi di sabbia e un carro armato con il cannone puntato in aria. Dal baracchino esce il soldato rumeno di turno, ti chiede il passaporto, controlla quante persone ci sono in macchina, detta il numero di targa al collega, ti restituisce il passaporto e via. Gli abitanti di Gorazdevac non valicano quasi mai questo check-point se non con il convoglio che li porta direttamente in Serbia. Non escono per andare in citta` perche` fuori del villaggio si sentono in pericolo. Ecco Gorazdevac, a vederlo non sembrerebbe molto diverso dal villaggio precedente, le case sono pressoche` uguali: non povere e non lussuose, proprio come quelle degli altri villaggi. L`unica differenza sta nelle persone che vi abitano, qui infatti abitano quelli che sono considerati i “cattivi” della guerra in Kossovo. La strada principale e` percorsa tutti i giorni da albanesi che vanno in citta` visto che questa e` la via piu` veloce. Quando succede qualcosa, come l`omicidio di alcuni ragazzi serbi di quest`estate, i due check-point vengono chiusi e non passa più nessuno tranne gli stranieri. Sembrava una giornata normale anche Mercoledì 17 Marzo: tutto si e` svolto come sempre fino alle 2 del pomeriggio. All’improvviso tutto bloccato: grandi sassi in mezzo alle strade. Proteste e manifestazioni in tutto il Kossovo e in Serbia. Il giorno prima erano morti 3 bambini albanesi a causa di alcuni serbi: non immaginavamo che scatenasse una reazione a catena così grande e così ben organizzata. Più di venti morti, più di 250 feriti, moschee, chiese e case serbe bruciate. Sembra di essere tornati indietro di 5 anni. Bjelo Polje è un villaggio serbo, vicino a Peja come Goradzevac, presidiato 24 ore su 24 dalla KFOR italiana, che si trova nelle immediate vicinanze della grande base italiana chiamata “VILLAGGIO ITALIA”. In questo villaggio erano state ricostruite 25 case per altrettante famiglie serbe che sarebbero dovute ritornare. Nell`attesa erano gia` presenti i capi famiglia. Delle 25 case ieri ne sono state bruciate la gran parte, mentre 12 dei 25 capi famiglia sono stati feriti. Da noi, nell’enclave di Gorazdevac, le persone di notte non dormono per la paura di un attacco albanese, tengono le luci spente. Noi facciamo la spola tra il villaggio e la città e tutti ci aspettano fuori dalle case, chiedendoci di notizie. L’UNMIK in queste ore ci ha chiesto di evacuare, ma noi guardando in faccia le persone del villaggio con cui viviamo, la famiglia con i figli portatori di handicap nostri vicini di casa non vogliamo abbandonarli, proprio ora che le altre enclave serbe sono state svuotate. Questi ultimi avvenimenti mettono in luce il fallimento della modalità d’intervento della NATO, lo dimostra anche la scarsa capacità di protezione delle persone in questo momento, e delle Nazioni Unite in Kossovo. Così come è un fallimento il pensare di portare la democrazia e la pace attraverso la guerra. E non solo in Kossovo. Vi lasciamo con le parole di don Lush Gjergij, sacerdote di Vitina (Kossovo), che da anni lavora per la la pace e la convivenza: ?Bisogna aiutare la gente a capire che queste situazioni di conflitto si possono oltrepassare solo con la forza e il coraggio della fede e del perdono. Il perdono viene presentato come qualcosa che avverrà automaticamente, come se la situazione migliorerà semplicemente con il passare del tempo. Ma non è così, perchè molta gente vive ancora nell’odio, ma così non vive, muore dentro. Cosa vuol dire vivere nell’odio? Vivere per fare del male, ma questa non è vita. Noi diciamo alla gente che per la libertà molti hanno dato la propria vita, apprezziamo il sangue di questi eroi e martiri: ma dobbiamo fare con coraggio un passo in avanti. La libertà si conquista solo tramite il perdono, perchè chi odia non è libero, è schiavo dell’odio. Per questa ragione dobbiamo riproporre la pace, la riconciliazione e il perdono in chiave positiva e di servizio a quello che vorremmo tutti, cioè un Kossovo libero e democratico. E per esserlo dobbiamo vincere il dittatore più grande, l’unico che non muore mai. Non è più Milosevic o qualcun’altro, ma è il dittatore dentro di noi.?


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