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La lezione di libertà del don Giuss

La sua eredità è che il Cristianesimo non é questione di sacerdoti e pratiche ma vera possibilità di passione per l'uomo (di Riccardo Bonacina e Giuseppe Frangi)

di Riccardo Bonacina

«Non solo non ho mai inteso "fondare" niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l'urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del Cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta».

Così, in una lettera inviata a Giovanni Paolo II nel 50° anniversario della nascita di Comunione e Liberazione, nell'ottobre 2004, monsignor Luigi Giussani sintetizzava una storia sorprendente ai suoi stessi occhi.

E il 28 agosto 1985, in un affollatissimo incontro al Meeting di Rimini, se ne uscì con questa sorprendente riflessione: «Il Cristianesimo non è nato per fondare una religione, è nato come passione per l'uomo». La argomentò così: «Teilhard de Chardin aveva scritto che "il pericolo maggiore che possa temere l'umanità è la perdita del gusto di vivere". Quando ho letto questa frase mi è venuto immediatamente al cuore e alla memoria come deve essere nato storicamente l'interesse per Cristo. La gente poteva andarlo a sentirlo chiedendosi: "Costui, perché dice queste cose?". E immediatamente chi avesse formulato questa domanda si sarebbe sentito rispondere: "Perché ama l'uomo". Prese un bambino se lo strinse al seno e disse: "Guai a colui che torce un capello al più piccolo dei bambini" e non parlava di torcere fisicamente un capello, perché in questo fatto tutti hanno un po' di ritegno; parlava del far del male al bambino in termini morali. Oppure si scosta nel sentiero, passa un funerale, una donna singhiozza dietro il feretro e Lui domanda: "Cosa succede?". È una donna vedova. Le è morto l'unico figlio». Fa un passo avanti e dice: «Donna, non piangere». O ancora: «Che importa se ti prendi tutto quello che vuoi e poi perdi te stesso?». Che cosa darà l'uomo in cambio di sé? Così è sorto nel mondo il senso del rispetto, della venerazione, dell'attaccamento, dell'amore, della fiducia, della responsabilità verso la persona. La persona: l'amore all'uomo. Altrimenti, non si può capire il Cristianesimo. Ma forse noi stessi non lo comprendiamo, pur tentando di viverlo».

Giussani terminò quell'incontro con questo augurio: «Io auguro a me e a voi di non stare mai tranquilli, mai più tranquilli». Noi che ci troviamo a dirigere un gruppo editoriale che non ha nulla di cattolico né nel suo statuto né nella sua realtà, e che anzi aggrega professionalità d'ogni provenienza culturale e confessionale e appartiene a una public company che raccoglie realtà d'ispirazione laicissima, ci sentiamo profondamente figli di don Giussani.

Da lui abbiamo imparato quasi tutto, in primis che il Cristianesimo non è questione di preti e pratiche ma vera possibilità di passione per l'uomo, per ogni uomo, abbiamo imparato che una vita desiderabile sta tutta nella possibilità di uno sguardo gratuito e puro su se stessi e sugli altri.

Speriamo, ora che don Giussani ci guarda e c'incoraggia dal Paradiso, di continuare, il meno indegnamente possibile, a far crescere quella capacità di sguardo umile e intelligente sulla realtà, e a camminare come più volte ci aveva insegnato: «Nessuno giudichi sé, né tantomeno gli altri, ma ognuno rialzi il suo sguardo e con l'ideale nel cuore risospinga la sua barca sull'onda ogni mattina».

Riccardo Bonacina Giuseppe Frangi


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