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Economia & Impresa sociale 

Il professore Luigi Guatri per la Csr

di Redazione

Adesso che anche il Corriere della Sera ed il professore Luigi Guatri dicono: «Crisi, un bilancio non basta» (7 marzo 2009), proviamo a ridire tutta d’un fiato la nostra solfa sulla Csr e sul bilancio sociale che della Csr è il resoconto; non ci voleva la crisi internazionale del 2008-2009 per scoprire che tutte le organizzazioni operano ai margini se non fuori della legge: imprese private e istituzioni pubbliche non osservano la legge; il bilancio sociale non è quindi il resoconto delle elemosine e la Csr non è filantropia, marketing collegato a buone cause o capitalismo del benessere (asili nido); Csr è una cosa che si è, non è una cosa che si fa, è l’insieme delle cose che si fanno nel fare business, hanno un impatto sulla società e non sono riassunte nel bilancio contabile; Csr c’è sempre e per tutti: pubblici, privati e non profit; il lavoro sulla Csr si fa dentro il core della attività aziendale, non è una cosa che si fa fuori, un optional appiccicato sul dorso dell’azienda e della istituzione (entrambe: organizzazioni); la responsabilità organizzativa va dunque provata sulle cose correnti della organizzazione.
Come provare ciò? Ogni organizzazione fa un sacco di cose buone e positive: per descriverle tutte si rischia di versare fiumi di inchiostro e mancare l’obiettivo di trovare il problema e cercare di rimuoverlo. Se ci si focalizza sul buono, c’è il rischio di anestetizzarsi; conviene tenere un altro cammino: con metodo scientifico, capovolgiamo il discorso e ci poniamo di fronte alla organizzazione con l’intento di provare che essa “non è irresponsabile”.
A questo punto dobbiamo trovare un modo organico di cercare i luoghi di potenziale irresponsabilità, ciò che i relatori pubblici chiamano le “issue rilevanti” per la organizzazione, gli architetti le “emergenze” per il territorio, i parametri per gli studi di settore del ministero del Bene: proponiamo l’adozione di quattro valori guida: Disclosure, Attuazione, Microetica e Stakeholder ignoto. Andiamo ad illustrare per punti ed esempi, negativi e positivi.
Stakeholder ignoto: è colui che non ha voce, Pantalone: per prima cosa occorre identificare il quadro competitivo in cui l’organizzazione si muove e le regole cui ottempera in ragione di ciò; esempio negativo: non c’è dibattito sulla destinazione dei sovra-profitti sull’energia autorizzati dall’Antigas grazie al prezzo marginale dei diritti di inquinamento sulla CO2? Occorre fare raffronti specifici di prestazioni con la concorrenza; nello Stato e nei monopoli (Alitalia): confronto internazionale; dare conto degli aiuti di Stato.
Attuazione: cultura della attuazione vs politica dell’annuncio: specie per il non profit e la pubblica amministrazione: contro la crisi servono consuntivi e confronti, non piani e preventivi; misure di efficacia dell’azione pubblica più che volumi di spesa; nel privato: misure del servizio e della qualità dei beni.
Disclosure: raccontare i segreti di pulcinella: esempio positivo: Brembo dà conto delle polveri sottili prodotte dai freni delle auto; esempio negativo: la legge Pinto del 2000 sulla ragionevole durata dei processi (art. 6 di Ginevra sui diritti dell’uomo) fu fatta per evitare la corte di Strasburgo al sistema giudiziario italiano; ho bambini in Cina che lavorano per me? Valgono anche le excusatio non petitae; dire poco e non fare volume: 200 pagine le leggono in pochi, per 3.600 battute basta una seduta di water.
Microetica: niente eroismi, evitare la disinformatia di Isoradio, di Ferrovie sui ritardi che diventano “cambi di orario”, l’immagine di Enel che distribuisce cappellini arancioni agli studenti medi.
Resta solo da trovare un acronimo che fissi nella memoria il test dell’irresponsabilità: DAMS, così si capisce che serve a distinguere la maschera dal volto.


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