Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Welfare & Lavoro

Io, serba in Italia, sempre in guerra contro i pregiudizi

Parla Ana, 28 anni, ricercatrice di politica internazionale

di Redazione

«Siete cattivi, criminali di guerra». Pochi conoscono davvero la Serbia, molti ragionano per stereotipi.
E per una giovane immigrata
la vita quotidiana può diventare
molto complicatadi Fatima El Harki
Nessuno sa niente della Serbia. Dove si trova? Con quali stati confina? C’è il mare? Chi sa qualcosa è impreciso e inizia a parlare delle sue vacanze in Croazia, come se fosse la stessa cosa.
La mia amica Ana è serba, ha quasi 28 anni ed è venuta in Italia per studiare. L’ho conosciuta a Bologna. Frequentavamo lo stesso master in «Diritti umani e interventi umanitari». Ora lei sta svolgendo un dottorato su «Sistemi politici e cambiamenti istituzionali» all’Imt di Lucca.
La Serbia è un mistero. Le persone non la conoscono. Ci sono quelli che sanno qualcosa, così per sentito dire, e iniziano a sparare a raffica parole come: genocidio, Milosevic, guerra, bombardamento, Karadzic? senza avere cognizione della storia dei Balcani. E c’è chi, come una psicologa, collaboratrice del Comune di Bologna, che appena appresa la nazionalità di Ana, le si avvicina e le pronuncia queste parole: «Ah, ma voi serbi siete cattivi».
Sono parole che feriscono sempre, e a maggior ragione se queste sono le prime parole che una persona ti rivolge. Si fa sempre così in fretta a parlare e giudicare senza nemmeno conoscere… A mio avviso, la cosa più sconvolgente, in questo caso, è che una psicologa si permetta di usare questi termini. Purtroppo, quando si tratta di esprimersi sugli altri, c’è spesso tanta ignoranza. Si parla per sentito dire e per luoghi comuni considerando l’unica verità possibile quella che viene trasmessa da quella scatola che tutti noi abbiamo in casa.
Molti si rivolgono ad Ana facendo accuse infondate. Un giovane laureato in Scienze politiche e regista di un breve film girato sulla guerra, fa mille critiche e accuse sui serbi. Dipinge i serbi come criminali di guerra. Si accende così una discussione tra lui ed Ana. Tutte le volte che si trovava in difficoltà, lui ripeteva: «Ho fatto la tesi su questa roba». Non si rendeva conto che non si può considerare criminale un’intera popolazione. Sarebbe come dire che tutti gli italiani sono mafiosi o tutti i tedeschi nazisti oppure tutti i musulmani terroristi. Sbagliava perché durante lo scambio di idee ha sempre ritenuto che la sua opinione fosse l’unica possibile e vera in modo assoluto. Ana l’ha vissuta in prima persona la guerra, non l’ha studiata sui libri, o letta nei giornali. Lei stessa afferma che si vergogna per le tante atrocità avvenute durante la guerra, e ribadisce che senza una presa di coscienza e una vera discolpa da parte di tutte le nazioni che hanno partecipato ai conflitti, la società dei Balcani è spacciata, e continuerà ad essere la polveriera d’Europa. Tuttavia sottolinea, più volte, che le sue idee sulla guerra di Croazia e Bosnia sono solo opinioni personali, e che per avere una visione migliore e completa dello stato delle cose c’è il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia che si occupa di perseguire e giudicare tutti coloro che hanno violato gravemente il diritto internazionale umanitario dopo il 1991 in ex Juvoslavia.
Come immigrata in Italia, Ana si è sentita varie volte male, a causa degli stereotipi che la gente ti dipinge addosso, considerandoti sempre come l’altro, il diverso, come se tu fossi un alieno e non una persona che, tutto sommato, non è tanto diversa da chi parla. Dall’altro lato però afferma come la vita nel Bel Paese, al di fuori dagli uffici burocratici, sia molto piacevole e stimolante.
Mi racconta che la cosa più divertente dei Serbi è che assomigliano tanto agli italiani del Sud per quanto riguarda la generosità, il senso dell’umorismo e la leggerezza con la quale affrontano la vita giorno dopo giorno. A tal proposito mi racconta una barzelletta (facendomi la premessa che leone in serbo, si dice “love”): un coniglio e un leone dopo aver fatto uso di droghe vorrebbero movimentare la serata. Il coniglio cerca di convincere il leone ad attraversare un campo minato, lui si rifiuta affermando che è pericoloso. Il coniglio insiste dicendo che lui è il re degli animali e il più coraggioso. Allora il leone si decide e inizia a saltare, ma finisce su una mina, nonostante abbia prestato la massima attenzione. Il coniglio, rimasto ad osservarlo, inizia a cantare: «love is in the air».
Simpatico è anche un dato sull’immigrazione serba. Coloro che emigrano per lavorare come mano d’opera, vanno in Germania, Austria o Francia. L’Italia è invece meta degli studiosi, del famoso gruppo “brain gain”. E chi l’avrebbe mai detto che in Italia c’è anche un import di cervelli e non solo la “fuga”?


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA